Si deve
modernizzare
lapparato
amministrativo del Paese senza aprire le porte ad una nuova Repubblica
di Weimar.
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Il culto del logo entra di prepotenza nella vita politica e scandisce
tempi e temi della riforma federalista. Sul finire della passata
legislatura il centrosinistra (governo Amato) varò in tutta
fretta la sua riforma. Adesso è la volta del
centrodestra, che ancora nel segno della fretta ha dato il suo
contributo, facendo approvare al Senato, in prima lettura, un disegno
di legge che attribuisce alle Regioni competenza esclusiva
per sanità, scuola e polizia locale (non si capisce perché
restino esclusi ricerca, lavoro e sviluppo, che danno impulsi decisivi
alle vicende delleconomia regionale).
Tra belligeranza e obbedienza alle supreme gerarchie si gioca il
destino dei nuovi califfati, piccoli e grandi. Elevati al rango
di guerrieri della luce i Governatori delle regioni recitano adesso
liturgie da luogotenenti del buio, dando voce al disagio territoriale
e alla richiesta di nuovi poteri salvifici.

La scapigliatura tenta di darsi vesti e virtù di ordine
costituzionale mentre a Bruxelles, dopo il varo della riforma del
Patto di stabilità, qualcuno pensa di avviare contro lItalia
una procedura dinfrazione (le riforme istituzionali hanno
costi compatibili con le difficoltà dei conti pubblici?).
Prima di entrare sul terreno minato delle riforme sarebbe stato
più prudente chiedere alla Società civile se la destrutturazione
dello Stato è condizione indispensabile di progresso; se
il senso della solidarietà è ancora patrimonio dellunità
nazionale; se una lunga crisi istituzionale a tutto campo ha un
rapporto di causa-effetto con il declino economico del Paese; se
può esserci federalismo buono in un caleidoscopio
di particolarità e particolarismi non inquadrati in un disegno
unitario.
Sulla questione federale si gioca una partita di valenza storica,
che non può essere gestita nel segno della fretta e del profitto
politico. Leccesso di prossimità e di confidenza con
il Potere pro tempore è sempre stato il limite
storico della nostra cultura. Ma sul federalismo questatteggiamento
non paga. Cè in gioco il riassetto organizzativo di
una Comunità di 70 milioni di abitanti che deve tener conto
degli effetti della globalizzazione e dellintegrazione europea.
La tentazione di scaricare allesterno (sulla Società
civile) le contraddizioni interne di destra e di sinistra
(per usare uno schema grossolano e stereotipato) può risultare
politicamente irresistibile ma eleva decisamente la soglia dei rischi
sociali.
I sondaggi registrano cittadini distratti e mandano segnali di
indifferenza popolare, a conferma di un argomento tenuto a galla
solo dallinteresse politico contingente, portato avanti tra
dissensi pubblici e pentimenti privati che alimentano equivoci surreali
da bacheca.
Eppure dovrebbe essere chiaro che il progetto federalista va oltre
la normale dialettica politica tra maggioranza e opposizione, impegnando
la sensibilità civile e culturale di tutta la comunità
nazionale sulla necessità di instaurare un frazionamento
di sovranità (per sanità, scuola, fisco, lavoro, sviluppo,
ordine pubblico, giustizia), cosa diversa dal collaudato decentramento
amministrativo.
In assenza di idee innovative si cerca di dare credito alla vecchia
concezione sindacale del federalismo cooperativo. Così
si scrivono pagine di commossa elegia sui valori della solidarietà,
ma restano per intero tutte le difficoltà ad assimilare socialmente
un nuovo ordine costituzionale. Strutturato su fonti plurime di
diritto.
Ci aspettavamo dal genio italico una progettualità originale
volta ad incorporare linformale nel formale, le virtù
di una democrazia allargata, in linea con la visione sociologica
anglosassone rivalutata dopo la scomparsa recente di John Rawls
(una delle sue massime autorità).
Sul piano storico è unossessione unica per affievolire
i disagi della sperimentata democrazia rappresentativa che ha fatto
uso e abuso del principio dellomologazione. Ma la cronaca
ci costringe a registrare il tragico gioco quotidiano della delegittimazione
delle autorità politiche e istituzionali, labitudine
a rendere sempre più elitari e solitari i percorsi della
politica.
Lottimismo della realpolitik appare fuori luogo, resta un
generico ottimismo di maniera e un obbligo di fare imposto dal vento
delle autonomie e dai princìpi di sussidiarietà sviluppati
dalla burocrazia europea.
Poiché sono ancora possibili margini di discussione nel tentativo
di superare gli attuali modelli di dipendenza centro-periferia,
proponiamo alcune riflessioni che a noi non sembrano marginali.

Utilizzare soluzioni istituzionali market-oriented non vuol dire
adottare ricette liberiste, sarebbe semplicemente un mezzo moderno
per fare radicare una democrazia partecipativa, un modo di procedere
istituzionale coinvolgente la struttura molecolare della Società
civile (le proposte di riforma lette finora tendono solo a moltiplicare
filtri e controlli locali che aumentano linquinamento burocratico).
Questo filone di ricerca va depurato delle scorie ideologiche che
restano un nonsenso in un Paese in cui la destra politica, nata
liberista, rischia di morire keynesiana, mentre la sinistra, nata
statalista, rischia il collasso con luso di ricette neoliberiste.
Va sottolineato che in Italia si deve introdurre una sorta di federalismo
alla rovescia, dovendo effettuare su tutto larco istituzionale
unoperazione sostanzialmente anomala, con il trasferimento
di competenze, responsabilità e finanze dal centro alla periferia.
I Paesi con tradizione federalista (Stati Uniti, Canada, Australia,
India, Brasile, Svizzera, ecc.) sono nati con un assetto costituzionale
che dispone invece competenze e responsabilità lungo una
filiera che va dalla periferia verso il centro. Questa diversa cornice
organizzativa ha reso i cittadini culturalmente motivati ad assumere
un ruolo diretto di controllo sulla spesa pubblica e sulluso
dei servizi sociali (con il frequente ricorso al referendum, con
linfluenza delle associazioni private). Con questo assetto
organizzativo sono stati creati controlli diretti della
Società civile, non gestiti da burocrazie intermedie,
teleguidate dalla volontà politica. In un disegno istituzionale
organico di tipo federalista la questione dei controlli resta centrale.
E il nodo che da noi è lontano dallessere chiarito.
Cerchiamo di leggere oltre gli slogan gridati quanto è accaduto
finora. Il federalismo promosso dalla sinistra (legislazione concorrente
sulle venti materie previste dalla legge) aumenta a dismisura i
conflitti di attribuzione, creando un contenzioso perenne che paralizza
di fatto lattività di tutte le amministrazioni. Con
la devoluzione della destra (istituto di origine medioevale
con cui si restituivano alla Corona beni e poteri vassallatici)
questo conflitto non sussiste grazie alla competenza esclusiva
attribuita alle Regioni. Avendo la Stato ceduto tutti i poteri,
i controlli diventano inesistenti o evanescenti una volta eliminati
quelli attuali (prefetti, ecc.).
Si avverte lopportunità di introdurre nel sistema controlli
nuovi e diretti, secondo gli schemi già sperimentati nei
Paesi di tradizione federalista (referendum e altro) che certamente
estendono larea della partecipazione sociale al processo decisionale
(non è forse lobiettivo ultimo di una riforma federalista?).
Purtroppo un disegno di riforma organico ancora non si vede anche
se opinioni informali di governo e rumor parlamentari hanno segnalato
la necessità di altre riforme importanti (forma di governo,
Camere delle Regioni, Corte Costituzionale). Ancora una volta si
è voluto mettere il carro davanti ai buoi, rendendo più
forti le autonomie locali prima di dare altrettanta forza alle istituzioni
del governo centrale. Altra pericolosa anomalia, per il possibile
insorgere di potentati burocratici animatori di antagonismi provinciali,
che possono indurre la Società civile a navigare tra lesaltazione
delle storie di quartiere e la rivalutazione delleconomia
asburgica del naso chiuso (se anche la politica estera dovesse essere
diluita, lItalia si condannerebbe alla irrilevanza politica).
Lo snodo federalista è atteso da tempo dai cittadini, con
laspettativa di conseguire miglioramenti significativi nel
rapporto cittadini-burocrazia pubblica e nella qualità dei
servizi utilizzati. Al momento si vede solo laumento della
pressione fiscale per lincremento di imposte e tasse locali
(addizionali, tasse sulle concessioni, sul diritto allo studio universitario,
sullo smaltimento dei rifiuti, compartecipazioni allIva e
agli olii minerali, bollo auto, imposta sulle assicurazioni per
le Province, ecc.).
Nel lessico politico queste nuove forme di prelievo forzoso vengono
definite federalismo fiscale (ancora da definire tecnicamente sul
piano legislativo), espressione classica di conservatorismo sostanziale
fatta passare per lungimirante riordino del vaso di Pandora. Il
federalismo fiscale cè già.
Ciò che si vuole è laumento delle compartecipazioni
addizionali sulle imposte dirette e indirette. Ma la finanza pubblica
non si basa solo sulle entrate (e dunque sulleterna battaglia
per i trasferimenti), ma anche sui mutui della Cassa Depositi e
Prestiti, sulla vendita di beni, sulla gestione dei servizi, sulla
capacità dei soggetti pubblici di rivolgersi in modo credibile
al mercato, sullefficiente attivazione delle linee di credito
comunitarie. Una finanza locale dipendente da aliquote applicate
alle entrate statali, senza poteri di riscossione e accertamento,
non può avere reale autonomia.
In concreto, se una minima riduzione dellimposizione statale
viene compensata da un forte incremento dellimposizione locale,
si crea uno stato di fibrillazione sociale che porta il cittadino
ad accrescere i motivi di risentimento verso le autonomie locali
(centri più vicini alla rappresentanza dei suoi interessi)
restituendo fiducia al vecchio impianto statalista. Lesatto
contrario della riforma federalista che si vorrebbe attuare.
Il latente disordine finanziario richiede un gioco delle parti omogeneo,
un esperimento di collaborazione rafforzata tra i vari livelli di
governo e tra governi e mercato (non a caso abbiamo fatto cenno
prima alle istituzioni market-oriented).
Questa collaborazione rafforzata devessere istituzionalizzata,
deve passare attraverso unAgenzia o altro organismo autonomo
rispetto alle amministrazioni, dotato di competenze specifiche,
per assolvere un ruolo che non può essere né della
Conferenza Stato-Regioni (organo di programmazione generale e dindirizzo
politico), né della Camera delle Regioni (organo legislativo),
né della Corte dei Conti (organo di controllo). Serve un
ente di prestigio, qualificato a gestire con rigore il patto di
stabilità interno, promuovendo nella Pubblica Amministrazione
percorsi di gestione innovativi, capaci di utilizzare un rapporto
virtuoso tra economia ed etica (unesigenza sottolineata
più volte da Benedetto Croce). Il problema centrale non sta
nelle regole e negli Statuti, ma nella qualità e nelle motivazioni
del personale politico e amministrativo.
Il cittadino inerme non può essere catapultato in un dilemma
angosciante: accettare lo zoo di un sistema pubblico
che gli offre servizi mediocri con una spesa incontrollata, oppure
accettare per gli stessi servizi i rischi della giungla assicurativa,
restando in balia delle regole umorali del mercato (in entrambi
i casi pagano il prezzo più elevato le fasce più deboli
della popolazione). Su queste preoccupazioni sinnesta il discorso
federalista, che è innanzitutto domanda di equilibrio istituzionale,
domanda di democrazia con limpiego razionale di pesi e contrappesi,
domanda di professionalità, domanda di servizi efficienti.
Si deve modernizzare lapparato amministrativo del Paese senza
aprire le porte ad una nuova Repubblica di Weimar.
Deve far riflettere una scritta che una mano giovane ha lasciato
sui muri di unUniversità: Il futuro mi interessa
perché è là che intendo passare i prossimi
anni. Un futuro italiano (più ecumenico che bipartisan)
in cui possa essere ancora assicurata quella «dolcezza di
vivere» descritta dallabate Siéyés con
riferimento alla Francia prerivoluzionaria.
Esistono nel Paese istituti universitari, associazioni e fondazioni
culturali ben attrezzati. Potrebbero dare stimoli interessanti ad
un dibattito che non è esclusivamente politico. Avendo sufficiente
sensibilità per considerare la Società civile come
laboratorio di ricerca di valori nuovi: sulla moralità della
politica, sulletica del lavoro, sulla responsabilità
sociale dellinformazione. Qualche riserva riguarda la loro
autonomia, per la presenza di ipoteche ingombranti poste a carico
di un possibile liberalismo reale dallintreccio
istituzionalizzato tra politica ed economia (Berlusconi a destra,
De Benedetti a sinistra).
Oltre i conflitti dinteresse personali, oltre i conflitti
fra interessi di lobby, occorre aprire un cantiere per costruire
una nuova età dei lumi che ha nel momento istituzionale
il suo tratto più qualificante. Ciò farebbe crescere
anche il nostro capitalismo privato, rimasto sempre nano per il
forte protezionismo statale (offerto e sollecitato).
...Occorre risciacquare i panni in Arno! I successi del dopoguerra
erano fondati su identità e motivazioni forti. Cera
la voglia condivisa di costruire e cera la voglia egocentrica
e aristocratica di affermarsi producendo ricchezza (Bruno Visentini,
Enrico Mattei, Enrico Cuccia, Ernesto Rossi, Mario Pannunzio, Raffaele
Mattioli, Gino De Gennaro, Donato Menichella sono stati espressi
da una Società civile che ha saputo dettare stili e metodi
di lavoro rigorosamente estranei alla contiguità politica).
La questione istituzionale è anche questione di orgoglio
professionale, di sensibilità sociale e freschezza culturale.
Vorremmo tanto capire come sarà litaliano del nuovo
patto di cittadinanza. Come saremo quando lambivalenza sarà
istituzionalizzata, quando saremo diversi pur dovendo restare simili.
Cè un problema di identità nazionale che è
diventato improvvisamente attuale. E cè un problema
di appartenenza non campanilistica da vivere in spazi socio-economici
coesi. Certamente bisogna andare oltre la manomissione sistematica
dei fragili meccanismi istituzionali che hanno governato lo sviluppo
nel dopoguerra. Impegnandosi a trovare tra il Nulla e la Grande
Confusione una linea mediana di lavoro proficuo.
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