Marzo 2003

PROBLEMI DEL LAVORO ITALIANO

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L’eterna emergenza
James J. Heckman
Premio Nobel per l’Economia
 
 

 

 

 

Le normative
che vincolano
il mercato dei
prodotti e quello del lavoro in Italia minacciano anche la vitalità futura del Paese.

 

L’economia italiana manca di robustezza e vitalità. C’è un elevato tasso di disoccupazione e la ripresa è lenta. La posizione competitiva del Paese nel commercio mondiale è debole nei settori delle alte tecnologie, sintomo di due fattori intrecciati. Primo, la debolezza degli incentivi per gli investimenti in risorse umane e per gli investimenti finanziari, colpa di normative, fiscalità e burocrazia. Secondo, l’incapacità del sistema italiano di reagire velocemente. La new economy del ventunesimo secolo è caratterizzata dalla mutabilità e dalla necessità di risposte flessibili. Questa mutabilità crea opportunità che possono cogliere solo coloro che sono in grado di rispondere rapidamente e con efficienza.
Il sistema sociale in Italia impedisce risposte veloci. Per comprendere il problema che mina l’economia italiana e le possibili soluzioni è importante comprenderne le cause più chiaramente e distinguere quelle a lungo termine da quelle a breve. Secondo me, sono gli incentivi in atto che hanno conseguenze a lungo termine estremamente preoccupanti, sebbene la maggior parte delle discussioni politiche si focalizzino su obiettivi a breve.

Un problema urgente che deve affrontare l’Italia, come gran parte dell’Europa, è quello degli elevati tassi di disoccupazione. C’è un corposo sistema di prove empiriche che evidenziano il fatto che gli incentivi statali sono un problema e che le aziende, gli individui e le nazioni ne subiscono le conseguenze. Disincentivi come i minimi salariali, le imposizioni sindacali sui salari, oppure le normative sull’ingresso nel mondo del lavoro hanno forti effetti, specialmente quando i minimi sono vincolanti. Nell’ambito della discussione sulla creazione di nuovi posti di lavoro queste conseguenze sono minimizzate, quando non ignorate del tutto.
Quando si confronta l’economia americana con quella italiana o con le altre economie europee, non è difficile raggiungere la conclusione che c’è qualcosa, nel sistema degli incentivi del Welfare State, che sta alla base delle differenze tra le performance dei diversi Paesi.

1) Gli incentivi del Welfare in Europa e in Italia causano una distrazione delle risorse e danneggiano l’efficienza. La centralizzazione delle negoziazioni, le normative sulla creazione di nuove imprese, l’attività delle banche: tutto concorre. In particolare, il sistema italiano della Cassa integrazione è inefficiente in confronto agli altri sistemi europei. Non fornisce un’assicurazione universale per tutti i lavoratori né costituisce un sussidio salariale, non promuovendo né il lavoro né l’occupazione.

2) L’economia mondiale è più variabile e meno prevedibile oggi rispetto a trent’anni fa. Questa è un’era di grandi rischi e grandi ritorni. Lo Stato sociale moderno non si può adattare a questa nuova economia mondiale perché scoraggia le iniziative rischiose e l’adattamento a nuovi standard di efficienza, mentre molte routine della old economy non sono più profittevoli. Il problema della disoccupazione in Italia non è solo dovuto al fatto che il costo del lavoro è troppo elevato, sebbene questo sia un problema. E’ anche dovuto all’incapacità dell’economia di adattarsi ai cambiamenti e a sfruttare le opportunità e le sfide della new economy.

3) L’apertura di un mercato globale e la competitività comportano che l’uniformità dei prezzi dei beni commercializzati abbiano ripercussioni decisive sul mercato del lavoro. Quindi, i benefici non salariali per i lavoratori, che sono pagati dalle aziende, devono essere sostenuti dagli stessi lavoratori. I salari più elevati ottenuti dai sindacati o i minimi salariali devono condurre a soluzioni che vanno contro il lavoro se le aziende vogliono rimanere competitive.

4) I marchi di fabbrica della new economy sono: diversità, eterogeneità di opportunità e valore delle competenze locali. Molte opportunità nascono a mano a mano che potenziali partner commerciali e produttivi hanno la possibilità di trovarsi a vicenda. Le vecchie economie si concentravano su tecnologie stabili dove capitale e forza lavoro erano assunti come omogenei. Nel caso dell’Italia, le applicazioni dei salari calcolati su base nazionale nel Mezzogiorno sono causa di scarsa occupazione in quella regione. Una politica di uniformità elimina la possibilità di sfruttare le differenze regionali con il beneficio di tutti.

La disoccupazione italiana, come nella maggior parte dei Paesi europei, è largamente costituita da disoccupati di lungo termine. La disoccupazione americana è invece tipicamente di durata inferiore ed è associata al cambiamento di lavoro con la nascita e la scomparsa di nuove opportunità. La disoccupazione europea è strutturale, non ciclica. I fattori che producono maggiori livelli di disoccupazione sono dovuti ai fondamentali economici: incentivi, tecnologia, fornitura di lavoro. A fronte di cambiamenti nella tecnologia e opportunità commerciali, è il più giovane, il più preparato, il più capace a beneficiarne. La politica economica dovrebbe ridurre gli “incentivi alla disoccupazione”. I sussidi salariali per tutti i lavoratori coinvolti in questa transizione rappresentano un’opzione per migliorare le possibilità di occupazione, senza ridurre la loro qualità della vita.
Gli italiani e gli altri europei dicono che l’equità o la giustizia sociale sono importanti quanto l’efficienza economica. Non voglio dire che i valori europei siano inappropriati, è certo che vi sia minore disuguaglianza tra i guadagni dei lavoratori italiani ed europei che negli Stati Uniti o in altre economie meno rigide. Allo stesso tempo, è importante però riconoscere che queste statistiche escludono i disoccupati di lungo periodo, che costituiscono più della metà dei disoccupati italiani. Uno studio recente confronta il mercato del lavoro italiano con quello americano in termini di disuguaglianza salariale nell’arco della vita delle persone. Mentre la disuguaglianza salariale in un determinato momento negli Usa è maggiore, nell’ambito dell’intero arco di vita delle persone è meno accentuata. C’è più mobilità e ci sono più opportunità negli Stati Uniti. La recente introduzione su larga scala di contratti a tempo determinato in Italia aumenta l’occupazione a breve termine, ma crea un mercato del lavoro a due livelli e non incoraggia la formazione di capacità e competenze tra gli impiegati a breve.
I mercati europei sono molto più regolamentati e la contrattazione dei salari è molto più centralizzata. La differenza tra quello che l’azienda paga in tasse per unità lavorativa e quello che il lavoratore riceve è molto superiore in Europa rispetto agli Usa, e in particolare in Italia. E’ dimostrato che a questo livello di incentivi la Stato italiano riduce l’occupazione, aumenta la disoccupazione, ritarda la flessibilità e crea un sistema a due livelli.
L’applicazione di tre princìpi (decentralizzazione delle negoziazioni alle imprese, rimozione degli interventi statali dal processo di negoziazione, determinazione locale dei termini su cui è consentito negoziare) promuove la produttività e vincola le retribuzioni alla produttività sul posto di lavoro e non alla politica.
Gli incentivi per acquisire risore umane sono deboli in confronto a quelli di altri Paesi. L’introduzione di contratti a tempo determinato non promuove una cultura del lavoro e della competenza. Gli incentivi per l’eccellenza sono deboli anche nel sistema scolastico italiano. I salari sono bassi. Questi e altri fattori portano a un livello di sviluppo delle competenze più basso in Italia e a una minore produttività della forza lavoro.

Prendendo in considerazione i problemi del mercato del lavoro in Italia, il primo impulso naturale è di guardare alle istituzioni che governano il mercato del lavoro. Ma anche la struttura del sistema produttivo e i mercati dei capitali condizionano la situazione. Il mercato produttivo italiano è fortemente regolamentato e ciò ritarda la capacità dell’economia italiana di rispondere alle nuove opportunità commerciali e tecnologiche e inibisce la creazione di nuovi posti di lavoro. L’Italia è al primo posto nel mondo sviluppato in materia di vincoli normativi, specialmente quelli per lo stabilimento di nuove imprese. Questo ambiente normativo ostile frena anche gli investimenti e i rischi imprenditoriali ed è anche per queste ragioni che il livello degli investimenti diretti all’estero in Italia è sempre stato così basso e gli investimenti italiani in “venture capital” sono scarsi.
Le normative che vincolano il mercato dei prodotti e quello del lavoro in Italia minacciano anche la vitalità futura del Paese. Il commercio è un motore fondamentale per il potere economico italiano. L’Italia mantiene una posizione altamente competitiva in determinati settori a basso contenuto tecnologico. Il fallimento delle istituzioni italiane di formazione superiore nel produrre più studenti e nello sviluppare soluzioni flessibili con le industrie non promette niente di buono per l’economia italiana.

   
   
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