Coll.:
Orlando Todini
Mario Selvaggi
Ricerche:
Enrico Donelli
Francesco Corvetti
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La questione meridionale, cioè il ritardo nella
crescita economica e civile delle regioni meridionali della penisola,
rimane ancora oggi uno dei nodi irrisolti della vita del nostro
Paese, anche se in termini diversi dal passato. Ai nostri giorni,
infatti, alcuni fenomeni considerati mali classici del
Mezzogiorno, come (in buona parte) lemigrazione, lanalfabetismo
o il basso livello dei consumi sono pressoché scomparsi o
hanno decisamente mutato segno.

Tuttavia, altri aspetti sono rimasti a testimoniare il persistente
squilibrio fra il Centro-Nord e la parte Centro-Meridionale della
penisola. Basti pensare alla marcata diversità di potenziale
industriale, al diverso grado di sviluppo delle infrastrutture e
dei servizi, alla cronica insufficienza di iniziativa imprenditoriale
e allalto tasso di disoccupazione che caratterizzano leconomia
di larga parte del Sud. Inoltre, sono preoccupanti gli aspetti di
degrado civile determinati dalla persistenza di cartelli del crimine
organizzato.
Alla luce di questa realtà, si assiste oggi a un preoccupante
mutamento di idee, di valori e di comportamenti nei confronti dei
complessi problemi del Sud. Fino a qualche tempo fa, la questione
meridionale si presentava infatti allopinione pubblica come
il problema dellintegrazione della parte più povera
e arretrata nel resto del Paese, ed era accompagnata da un generale
senso di solidarietà.
In questultimo decennio, o poco più, invece, soprattutto
nelle aree più sviluppate della penisola si è radicata
la convinzione che il problema del Sud non sia una questione nazionale,
ma una faccenda esclusiva dei meridionali, che dai meridionali (con
qualche risorsa europea) debba essere risolta.
E paradossalmente e per la prima volta nella storia del nostro Paese
la questione meridionale tende ad essere soppiantata dalla questione
settentrionale, intesa anche come un indebito flusso di risorse
finanziarie che, spostandosi da Nord a Sud, limita le possibilità
e la capacità di sviluppo del Settentrione. Per questo le
regioni meridionali, con il loro carico di problemi, rappresenterebbero
una palla al piede, che oltre tutto impedirebbe allItalia
che produce e che lavora di inserirsi con pari dignità
allinterno della comunità degli Stati europei.
Le inchieste sul Mezzogiorno
I problemi del Sud affondano le radici nella vicenda storica complessiva
della nazione italiana. Gli eredi di Cavour si posero come obiettivo
principale la costruzione dello Stato. Lesigenza dellunità
portò tuttavia a sottovalutare la diversa realtà delle
regioni italiane, e in particolare le caratteristiche del Mezzogiorno,
dove sopravvivevano condizioni economiche semifeudali, a cominciare
dal latifondo. Per alleviare la miseria dei contadini senzaterra
e stimolare la crescita di unagricoltura moderna, si sarebbe
dovuta attuare una riforma agraria, con la redistribuzione delle
terre e con la creazione di un libero mercato sorretto da vie e
mezzi di comunicazione, da beni e servizi adeguati. Ma ciò
non fu fatto, perché un progetto del genere si sarebbe scontrato
con le resistenze della classe dirigente meridionale che prosperava
sulle rendite fondiarie e i cui capitali venivano regolarmente investiti
nello sviluppo del Nord.

Le conseguenze per il Sud furono crisi economica, ribellione sociale,
ostilità verso lamministrazione dello Stato, con il
risultato finale di un divorzio tra governanti e governati che caratterizzerà
per lungo tempo la storia della società italiana.
I risultati dellindagine della Commissione parlamentare nel
1863, e le riflessioni di alcuni studiosi e uomini politici, come
Pasquale Villari negli anni Ottanta, denunciarono allopinione
pubblica le condizioni di sfruttamento delle masse contadine del
Sud come causa prima dellarretratezza delle regioni meridionali.
Altri, come Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, alla luce dei
dati di uninchiesta sulle condizioni del Napoletano e della
Sicilia, giunsero alla conclusione che l«arretratezza
del Mezzogiorno non fosse un fenomeno circoscritto e isolato in
un Paese per il resto sano e normale, [ma] fosse causa e conseguenza
dei limiti e dello sviluppo dello Stato» (riportato da Rosario
Villari).
Questione meridionale e questione sociale giunsero così ad
essere un unico problema. A partire dal 1880 fino alla prima guerra
mondiale, le condizioni di arretratezza economico-sociale del Sud
si aggravarono. Ladozione della tariffa protezionistica del
1887 aprì con la Francia un vero e proprio conflitto doganale,
che interruppe il flusso delle esportazioni italiane di natura prevalentemente
agricola verso quel mercato. In tal modo furono colpiti alcuni tra
i settori più vitali dellagricoltura meridionale (produzioni
di vino, di frutta, di ortofrutticoli, ecc.). Ma soprattutto, il
decollo industriale dei primi anni del Novecento, concentrato nel
Nord, accentuò, invece di attenuare, lo squilibrio territoriale
del Paese. Non è un caso se proprio in questo periodo, esattamente
nei primi tredici anni del 900, quando lemigrazione
italiana raggiunse le punte massime, il maggior contributo fu dato
proprio dalle regioni meridionali.
Tuttavia, anche il Sud subì un processo di trasformazione
indotto dalla stessa emigrazione, che alleggerì la pressione
della popolazione contadina sulla terra e ridusse la manodopera,
favorendo in questo modo il miglioramento dei salari e provocando
un certo spostamento di ricchezza tra i ceti meridionali. Ma al
di là dei parziali effetti positivi, lemigrazione comportò
la fuga delle forze più vitali e intraprendenti verso terre
straniere. Da questo momento, linferiorità del Mezzogiorno
si trasformò nel sottosviluppo di una vastissima area del
Paese.
Meridionalismo del dopoguerra
La sfavorevole situazione economica seguita alla prima guerra mondiale
ebbe pesanti conseguenze per il Sud: il disagio dei contadini-reduci
esplose in un vasto movimento per loccupazione delle terre
del latifondo incolto. Il clima del dopoguerra favorì peraltro
la tendenza da parte di tutte le forze politiche, dai cattolici
ai marxisti, a considerare i problemi del Mezzogiorno in unottica
più generale e a prospettarne la soluzione tramite radicali
mutamenti politici e sociali sul piano nazionale.
Per i cattolici del Partito popolare italiano, fondato proprio in
quegli anni ad opera del sacerdote siciliano Luigi Sturzo, il Sud
poteva venir fuori dalla sua condizione di inferiorità sociale
soltanto mediante una profonda trasformazione della struttura accentrata
dello Stato, con listituzione delle autonomie regionali e
con un nuovo sistema elettorale, di tipo proporzionale. Infatti,
solo togliendo ogni potere ai vecchi notabili e trasferendolo in
gran parte alle autonomie locali si sarebbero potute avviare le
riforme a favore della piccola proprietà contadina, con la
divisione del latifondo e il conseguente sviluppo del Sud.
Anche il liberale democratico Guido Dorso, nel saggio La rivoluzione
nazionale, pubblicato nel 1925, attribuiva larretratezza economica
e sociale del Sud a ragioni essenzialmente politiche: per lui, il
Mezzogiorno era stato conquistato per via diplomatica,
sulla base di un compromesso tra i ceti borghesi egemoni del Nord
e le forze dominanti del Sud, cioè i grandi proprietari terrieri.
Ma lesclusione delle masse popolari da ogni partecipazione
attiva alla costruzione dello Stato unitario aveva impedito la modernizzazione
della società meridionale, mentre il ceto dirigente del Sud,
subalterno socialmente e politicamente al Nord, aveva abdicato alla
sua funzione nazionale. Solo un ceto dirigente radicalmente rinnovato
che, alla testa delle masse contadine, combattesse per la trasformazione
democratica del vecchio Stato accentratore avrebbe potuto avviare
uno sviluppo moderno delle regioni meridionali.
Negli stessi anni, il comunista Antonio Gramsci osservò che
il problema del Mezzogiorno non si configurava solamente come arretratezza
economica e ritardo civile, ma era la conseguenza di precise scelte
politiche ed economiche della borghesia italiana, interessata ad
unire gli obiettivi dello sviluppo industriale con le esigenze di
conservazione dellassetto sociale esistente. Perciò
la questione meridionale poteva essere risolta solo contrapponendo
al dominio della borghesia lazione rivoluzionaria di un nuovo
blocco antagonista, basato sullalleanza dei contadini del
Sud e degli operai del Nord. Tesi, questa, in realtà anticipata
da Gaetano Salvemini.
Fascismo e Sud
I problemi del Mezzogiorno non trovarono soluzione, perché
con lavvento del regime i contadini, privati della possibilità
di iniziativa politica e di azione rivendicativa, furono inchiodati
alla terra con provvedimenti tendenti a bloccare lurbanizzazione
e lesodo dalle campagne. La battaglia del grano, se diede
effettivi risultati sul piano produttivo, finì poi per danneggiare
la struttura agricola dellItalia, e in modo particolare quella
delle regioni meridionali e delle Isole. La coltura del grano venne
estesa a scapito delle coltivazioni pregiate, mentre con limposizione
del dazio sul grano straniero si rafforzarono ulteriormente i grandi
produttori.

Gli interventi della bonifica integrale, con la messa
in opera di grandi lavori pubblici, riuscirono senza dubbio a fornire
occupazione alle masse contadine e ad assorbire in parte le tensioni
sociali dovute al blocco dellemigrazione, ma incisero relativamente
sullassetto proprietario delle terre bonificate, poiché
di fatto non si fornì un sufficiente sostegno allo sviluppo
della piccola e media azienda contadina. La bonifica delle paludi
pontine resta comunque unopera nobile, come tale riconosciuta
anche dagli avversari interni ed esterni.
Lo sviluppo mancato dei poli
Negli anni del secondo dopoguerra, il malessere dei contadini meridionali
si manifestò con violente manifestazioni popolari culminate
nel 1949 e represse persino con le armi (come gli assalti a latifondi
in Calabria, in Puglia, in Basilicata e in Sicilia). Sotto la pressione
di queste agitazioni, e sulla spinta della lezione di pensatori
meridionali, da Ciccotti a Labriola, da Fortunato a Salvemini, e
infine da Saraceno a Rossi Doria, il governo presentò un
insieme di provvedimenti legislativi straordinari che miravano ad
attuare una sia pur moderata riforma agraria e ad avviare un processo
di industrializzazione anche nel Mezzogiorno, (in questo quadro
fu istituita da De Gasperi, nellagosto 1950, la Cassa per
il Mezzogiorno).
La riforma fondiaria attuata nel corso degli anni Cinquanta portò
allincremento della piccola proprietà terriera, con
il ridimensionamento del latifondo e la sua trasformazione in grande
azienda capitalistica: essa favorì inoltre la crescita dellagricoltura,
grazie anche allassistenza tecnica e creditizia, e promosse
lallargamento del mercato. Lintervento governativo,
pur attaccando per la prima volta nella storia dItalia la
proprietà latifondista, deluse tuttavia, per molti versi,
le aspirazioni dei contadini, sia perché la terra espropriata
risultò del tutto insufficiente rispetto ai bisogni, sia
perché i lotti di terreno distribuiti erano troppo poveri
e di dimensioni troppo piccole per essere economicamente autosufficienti.
Con listituzione della Cassa per il Mezzogiorno iniziò
la seconda fase dellintervento legislativo, mirante allo sviluppo
industriale delle regioni meridionali. Questa fase trovò
piena maturazione negli anni Sessanta, allindomani del cosiddetto
miracolo economico. Caratteristica, fu limpegno
diretto dello Stato nellattività industriale attraverso
le aziende a partecipazione statale e le agevolazioni fiscali e
creditizie concesse ai privati che intraprendevano iniziative industriali
nelle aree meridionali. Questa linea di intervento si ispirava alla
strategia economica dei poli di sviluppo: essa puntava cioè
alla formazione di grandi concentrazioni industriali che avrebbero
dovuto svolgere la funzione di centri propulsori dello sviluppo
dei territori circostanti. Si vennero così a creare delle
isole industriali, privilegiando i grandi complessi
di base.
I poli di sviluppo contribuirono senza dubbio ad attirare capitali
pubblici e privati e a modificare lassetto prevalentemente
agricolo della società meridionale, introducendo nuove forme
di produzione e di occupazione operaia.
Tuttavia non riuscirono ad attivare lo sperato processo di sviluppo
indotto, e cioè la diffusione di piccole e medie industrie
collegate ai processi lavorativi delle grandi imprese, con i connessi
benefici per la crescita delloccupazione e la conseguente
modernizzazione di tutta la società. Il fallimento di questa
politica veniva rilevato già dal 1963 dal ministro delle
Partecipazioni Statali, che denunciava «il vuoto desolante
di imprese private attorno ai grandi impianti del Sud». Di
qui, la popolare immagine delle cattedrali nel deserto.
Lemorragia migratoria del 60
La conferma del persistente sottosviluppo meridionale durante il
periodo della grande crescita del Paese è fornita dal fenomeno
dellemigrazione, ripreso impetuosamente alla fine degli anni
Quaranta e divenuto nuovamente un esodo biblico dopo il 1955.
Negli anni Cinquanta lasciarono il Sud un milione e mezzo di persone,
e nel decennio successivo altri due milioni e mezzo [per una sintesi
sufficientemente completa dei flussi migratori prima di questa data,
si veda Apulia, n. IV, dicembre 2002, pp. 104-107, N.d.R.]. Dapprima
diretta verso le zone industriali del Nord dEuropa, la nuova
massa di emigranti andò progressivamente spostandosi verso
larea del Triangolo industriale italiano. In alcune
regioni lo spopolamento assunse aspetti catastrofici, come in Calabria,
regione dalla quale in quegli anni emigrò un quinto della
popolazione.
I costi economici e sociali pagati dalle regioni meridionali con
lemigrazione furono pesantissimi: il Sud forniva forza-lavoro
alle industrie del Nord e, con le rimesse degli emigrati allestero
(che nel 1947 erano di 34 milioni di dollari e nel 1961 raggiungevano
il valore di 397,5 milioni), contribuiva ad accrescere la domanda
interna di beni di consumo e ad aumentare la disponibilità
di valuta pregiata, ma perdeva ancora una volta larga parte delle
forze potenzialmente più attive e intraprendenti della propria
popolazione.
In questo modo venne ad essere stravolta tutta la fisionomia produttiva
e sociale del Sud, che a partire da questo momento manifestò
sempre più apertamente i segni della frammentazione sociale
e la precarietà del processo di modernizzazione. Nuove figure
sociali vennero ad affiancarsi o a sostituire quelle tradizionali
dei contadini e dei proprietari terrieri, dando vita a un ceto medio
costituito da piccoli proprietari, commercianti, funzionari statali
e professionisti; ma nello stesso tempo, ai margini del mercato
del lavoro, prosperava «una massa di disoccupati e sottoccupati
esposti a tutte le lusinghe e alla pubblicità di una società
consumistica e con poche risorse atte a soddisfare i loro bisogni»
(P. Ginsborg).
Quale futuro
La mancanza di un tessuto economico davvero vitale e lassenza
di prospettive immediate di sviluppo indussero la classe dirigente
del Sud, complici le autorità nazionali, a utilizzare lapparato
dello Stato come fonte sostitutiva di occupazione. La società
meridionale sviluppò così sempre più diffusamente
forme di parassitismo economico e burocratico, come contropartita
di un consenso garantito alle forze di governo e agli apparati partitici;
e allo stesso tempo veniva devastata da forme sempre più
gravi di illegalità, dal clientelismo alla corruzione e alle
collusioni con le mafie.
A più di cento anni dallUnità dItalia
la questione meridionale si riproponeva come un intreccio indissolubile
tra arretratezza delle strutture economiche e degrado del tessuto
civile e istituzionale, a conferma che i mali del Sud potevano essere
affrontati alla radice solo con coraggiose scelte di natura politica,
prima ancora che economica. Al tempo stesso, incominciava a farsi
strada lidea che lintervento a favore del Mezzogiorno
non potesse più essere condotto come se quella parte dItalia
fosse del tutto priva di differenze al suo interno: in realtà,
cerano e ci sono aree in cui larretratezza
economica e il degrado sociale erano molto elevati, ma anche situazioni
(per esempio, nelle regioni adriatiche) in cui le attività
imprenditoriali e le iniziative civili e culturali denotavano moderna
vitalità.
Vale per allora, come per oggi, lesortazione di uno storico
del Mezzogiorno, Piero Bevilacqua, a non cadere nellerrore
di identificare la vicenda storica delle regioni meridionali con
la storia della questione meridionale, cioè con la storia
del divario Nord-Sud dItalia, «a tal punto che di fatto
la rappresentazione dellItalia meridionale in età contemporanea
ha finito con il ridursi a una sorta di non storia, la frustrante
vicenda di ciò che non aveva potuto essere, il mero risultato
dello squilibrio costante e inalterato nel tempo e perciò
un derivato, un residuo della storia degli altri, incarnata dalle
realtà più avanzate dello sviluppo economico, vale
a dire del Nord [...]».

Esiste infatti anche un «Mezzogiorno normale», «una
realtà inserita a pieno titolo in un Paese industriale, entro
linee politiche tendenzialmente continentali: quella realtà
che poi riguarda la vita e loperare quotidiano della maggioranza
della popolazione». La conoscenza di questa realtà
diviene tanto più necessaria oggi quando, anche a opera dei
media, soprattutto della televisione, si sta diffondendo nel Paese
«un insieme di stereotipi indistintamente negativi»
sul Sud, che non contribuisce certamente ad avvicinare la due parti
del Paese. Quello del Mezzogiorno dItalia è sicuramente
un problema di sviluppo economico, ma anche, e forse soprattutto,
di sviluppo civile e politico: il cattivo funzionamento dellapparato
dello Stato e dei servizi, il clientelismo, la corruzione politica,
i cartelli del crimine. Problemi drammatici nel Sud, ma tuttavia
vivi anche in altre regioni dItalia.
Appendici
allinchiesta sul Mezzogiorno
Federalismo improponibile
Cattaneo fu tra i primi a intuire i difetti del sistema parlamentare
italiano; cè una sua lettera nella quale già
nel 1859, prima ancora dellunificazione, denuncia il circuito
vizioso di un potere che dal centro si estende alla periferia nelle
forme dellaccentramento e che dalla periferia ritorna al centro
attraverso lelezione di deputati federali al governo. In antitesi
a tutto ciò, Cattaneo aveva indicato la formula del federalismo.
Ma la via del federalismo non è stata di fatto quella percorsa.
Oggi si possono correggere i vizi del centralismo, si può
camminare più risolutamente sulla via delle autonomie regionali
secondo il disegno fissato dalla Costituzione del 1948, si possono
combattere le nuove forme di centralismo che nascono dal forte intervento
dei partiti sulle autonomie locali: ma quello che assolutamente
non si può fare è cancellare il passato e il dato
di fatto di ununità costruita su una via diversa da
quella del federalismo. Non si possono fra laltro cancellare
i debiti che, reciprocamente, Nord e Sud dItalia hanno contratto.
Il Sud ha pagato, come tutto il pensiero meridionalista del primo
Novecento ha ben messo in luce, la prima industrializzazione del
Nord; ha pagato in termini di emigrazione mal retribuita negli anni
50 la seconda industrializzazione, quella del miracolo
economico; ha ricevuto a sua volta dal Nord grandi risorse
non sempre ben impiegate per il suo sviluppo...
Tutto questo dare e avere reciproco ha creato contraddizioni e problemi
che non si possono cancellare con un colpo di spugna perché
sono parte integrante della vita e della storia del Paese ed esigono
invece, ancora oggi, risposte ispirate a criteri di solidarietà
nellambito di una visione dinsieme e di un interesse
comune. Ecco perché il federalismo postumo non è praticabile...
Pietro Scoppola

Attualità del federalismo
Il federalismo è per Cattaneo la più valida garanzia
della libertà civile e di quella politica. La preoccupazione
di Cattaneo, comune al più schietto liberalismo, era che
lo Stato unitario, proprio in quanto tale, fosse inevitabilmente
oppressivo, perché livellatore delle differenze, dispotico
perché accentratore. Lantidoto era la molteplicità
dei centri, autonomi non solo amministrativamente, ma anche legislativamente;
e questa autonomia prendeva figura giuridica dello Stato federale,
ma avrebbe potuto prendere, con lo stesso diritto, la figura dello
Stato unificato su base regionale. Perciò, per quanto possa
sembrare un paradosso, lo Stato federale nel senso proprio della
parola non era essenziale alla dottrina del federalismo come teoria
della libertà. Essenziale nel pensiero politico di Cattaneo
non è tanto la formula proposta, quanto la meta chegli
voleva raggiungere, cioè la maggior libertà possibile,
civile e politica, insieme con i mezzi indicati.
Norberto Bobbio
Perché
Il Mezzogiorno è oggi, per lo meno sul piano del costume
politico, dellespressione dello spirito pubblico, quello che
il sistema politico italiano ha voluto che fosse, o quanto meno
ha finito col far diventare. Tutto questo non può essere
dimenticato da chi non si accontenta di esemplificazioni e si accosta
alla storia recente di queste regioni del Paese con la volontà
di esaminare e capire. Soprattutto non può essere dimenticato
da chi oggi rivendica la diversità di ricchezza, di storia,
di capacità dellItalia del Nord.
LItalia meridionale è alle prese con i problemi che
conosciamo, anche per effetto di un modello di sviluppo industriale
che ha cumulato vantaggi incomparabili nellarea economicamente
più forte della penisola. Mentre lemigrazione [...]
ha poi finito col privare le regioni meridionali delle energie umane
più intraprendenti e attive, delle sue intelligenze più
creative, segnando alla fine un altro punto di vantaggio per il
Sud: perché esso è venuto perdendo, per questa via,
grandissima parte delle sue energie e delle sue figure intellettuali,
quelle che oggi, disseminate in ogni angolo dItalia, fanno
parte della classe dirigente nazionale, operando nelle Università,
negli ospedali, nei quadri della magistratura, nelleditoria,
nei giornali, nella scuola. E ciò va peraltro ricordato anche
per unaltra ragione: un po di memoria storica è
spesso utile per togliere qualche boria di troppo a rivendicazioni
di diversità che tendono a scivolare, senza mediazioni e
spesso disinvoltamente, nel pregiudizio razzistico.
Ma unulteriore considerazione [...] credo vada avanzata nei
confronti di chi di fronte ai gravi problemi che segnano
la vita della Repubblica in questa fase sogna assurde e pericolose
scorciatoie, invocando la strada del distacco e della fuga. Sullidea
della separazione non nasce nessuno Stato nuovo: è solo un
indistinto coacervo di egoismi sociali che si mette insieme. E se
vengono meno le ragioni della solidarietà, la volontà
di contribuire a un destino comune, non solo scade e si scolora
lidentità nazionale, ma crollano le ragioni stesse
dello stare insieme, si taglia alla radice ogni motivo della convivenza
umana, qualunque sia la dimensione istituzionale in cui si sceglie
di isolarsi.
Un tale disegno, di certo, non ha futuro. Mentre appare oggi ben
drammaticamente chiaro che le nazioni che perdono di vista idealità
collettive da conseguire subiscono tracolli tragici nella loro identità
e coesione interna. Anche per questa ragione, dunque, una nuova
visione solidale dei problemi dellItalia meridionale dovrebbe
costituire uno degli orizzonti imprenscindibili nello sforzo presente
di ricostruzione dello Stato nazionale.
Piero Bevilacqua
Inaccettabile boria
Ai mali economici del Mezzogiorno e della Sicilia, i fratelli del
Settentrione hanno provveduto considerando tali regioni quali una
colonia popolata da barbari una colonia dove vi era soltanto
un buon mercato per i loro prodotti industriali. Ai mali politici,
intellettuali e morali della Sicilia e del Mezzogiorno, i fratelli
del Settentrione hanno provveduto guardandoli altezzosamente, trattandone
gli abitanti brutalmente e sprezzantemente...
Non è tutto: nellanno di grazia 1898, quando il regime
costituzionale si vuole esteso anche alla Russia, un pubblicista,
del resto coscienzioso, come Adolfo Rossi, nel Corriere della Sera
di Milano cioè nellorgano magno delle classi
dirigenti settentrionali per fare leducazione politica
della Sicilia e per incamminarla ad un migliore avvenire non sa
presentare che questa ricetta: sospendervi per cinquantanni
almeno le garanzie costituzionali e amministrarla con un governatore,
con prefetti e con commissari comunali scelti tra i più onesti
e capaci del continente. Ma perché allora si mandarono per
38 anni in Sicilia i funzionari più disonesti e più
incapaci come in luogo di punizione?...
Ora i settentrionali vanno troppo orgogliosi delle loro buone e
innegabili qualità; e in questo stato danimo cè
già un germe di decadenza, di degenerazione che bisogna sradicare
senza pietà e non coltivare amorevolmente [...]. Lignoranza
sulle vere condizioni delle singole regioni dellItalia è
in tutti; ma è maggiore nei settentrionali sul Mezzogiorno
e sulla Sicilia sui quali trinciano sentenze cervellotiche, quando
non sono calunniose...
Questo dellignoranza è male gravissimo. Non ci può
essere unità morale se le parti unite non si conoscono tra
loro e conoscendosi non imparino a stimarsi, a rispettarsi, ad emendarsi
e migliorarsi reciprocamente. Ma come è stata fatta lItalia,
lunità morale non cè più e non
può esserci. Cè solamente nelle leggi e nelle
sofferenze; non cè nei costumi e nelle abitudini buone.
Napoleone Colajann

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