E qui, in questo gran lago salato, che
quella Storia dovrà fare ritorno,
se intende ritrovare larmonia perduta dopo sanguinose guerre
civili,
laceranti eresie, scismi religiosi, scempi coloniali, ideologie
totalitarie.
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Il conflitto era ancora in corso, e già da tempo si discuteva
sul modo di esportare un sistema democratico in un Iraq che non
ne aveva mai sentito parlare e che, al pari di altre aree islamiche,
tutto o tanto possedeva, tranne gli anticorpi a nuove satrapie.
Due erano le linee di pensiero dominanti, luna e laltra
in rotta di collisione: quella secondo cui gli anglo-americani dovevano
replicare lesperienza condotta con successo in Giappone alla
fine della seconda guerra mondiale; e laltra, che riteneva
necessaria unamministrazione multilaterale, anche con rappresentanti
di Paesi rimasti fuori dalla spedizione, sotto legida dellONU.
I sostenitori della seconda tesi (i maggiori dei quali fortemente
interessati da contratti per estrazione di greggio o per fornitura
di beni e servizi per miliardi di dollari) consideravano irrilevante
che a pagare con vite e sangue fossero stati solo gli
anglosassoni, né tenevano conto che, da una parte, cera
stato un precedente tuttaltro che edificante, quello della
Somalia che, lasciata dagli americani, lONU aveva abbandonato
a se stessa e ai suoi signori della guerra che tuttora
la dilaniano per bande armate, e che, dallaltra, Cuba poteva
comminare pesanti condanne al carcere e far eseguire fucilazioni
dopo processi sommari, mentre la stessa ONU emetteva un pallido
comunicato subito irriso dal faro di luce, comè
definito dagli inconsolabili paleomarxisti euro-latinoamericani
quel campione di libertador che è Fidel Castro.
E meno che mai ai Paesi che formavano lasse più innaturale
della storia moderna (Germania al traino della Francia, col Belgio
di complemento, da una parte, e Federazione Russa dallaltra)
era sorto il ragionevole dubbio che, appoggiando prima dello scoppio
del conflitto liniziativa alleata, avrebbero potuto esercitare
una pressione decisiva su Baghdad, e nel contempo allontanare limmagine
di unEuropa divisa, costringere Saddam Hussein allesilio,
ed evitare le rovine fisiche e morali di un conflitto armato e degli
strascichi post-bellici.
Comunque, se proprio di guerra doveva trattarsi, la domanda preliminare
era e resta: chi, fra gli anglosassoni e lONU, poteva essere
il migliore o maggior portatore di una cultura democratica con i
suoi valori, sistemi, metodi e procedure? Ebbene: chi conosce il
Palazzo di Vetro newyorkese e le sue agenzie sostiene non
del tutto a torto che sotto il profilo istituzionale lONU
non è rapportata veramente ai princìpi democratici.
Il suo organismo più importante, il Consiglio di Sicurezza,
è un sinedrio la cui composizione (cinque membri permanenti
con diritto di veto: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno
Unito; e dieci eletti a rotazione ogni due anni) e le cui procedure
di voto si basano su rapporti di forza esistenti alla fine della
seconda guerra mondiale, vale a dire a sessantanni fa. Le
istituzioni internazionali (Banca mondiale e Fondo monetario internazionale)
sono a loro volta rapportate a princìpi tecnocratici,
nel senso etimologico del termine: a governarle è, appunto,
la tecnica, e il cosiddetto controllo democratico viene esercitato
non dalle loro assemblee (una sola riunione di tre giorni allanno)
ma dai mercati finanziari che quotidianamente acquistano o meno
i loro titoli.
Le altre agenzie specializzate sono burocratiche, anche
in questo caso nel significato etimologico: dominano gli uffici
dei loro Segretariati, a loro volta controllati dagli uffici degli
Stati membri. In sintesi: le Nazioni Unite possono trasferire procedure
tecniche e amministrative, non valori e princìpi di democrazia.
McArthur portò la democrazia in Giappone e i Viceré
di Sua Maestà contribuirono a far diventare lIndia
dei Punjab e dei Moghul la democrazia più popolosa del mondo
perché quei valori e quei princìpi li avevano nel
Dna personale ed erano speculari a funzioni morali e libertarie,
cioè liberali; non furono allora, e continuano a non essere,
valori e princìpi fondanti di unONU ormai obsoleta.
Il dibattito è aperto, anche perché è stato
carsicamente già avviato sul piano storico e politico, incentrato
sullesperienza dellImpero. Impero è
parola che suscita nello stesso tempo repulsione e consenso. In
Europa è associata, particolarmente per le forze socialdemocratiche,
alla brutalità e allimperium, cioè alla negazione
delle legge universale; mentre allarea conservatrice, soprattutto
britannica, piace perché ritenuta fondata su unautentica
superiorità morale. Sicché, considerata nel contesto
della spedizione in Iraq, rappresenterebbe la saldatura storica
tra lImpero inglese e la sua presunta filiazione, lImpero
americano, prosecuzione del dominio anglosassone. Questa rappresentazione
è stato scritto è puro antiquariato
vittoriano, ma nel suo revisionismo coglie una verità: nella
fase ascendente, i grandi Imperi dellantichità sono
stati anche formidabili globalizzatori e propulsori di progresso.

Questo fu anche lImpero britannico, iniziato da Disraeli,
e ultimo fra gli Imperi occidentali. Che fu sfruttamento coloniale
e oppressione, come non avrebbe immaginato il suo profeta, linglese
nato in India Rudyard Kipling, e quale non avrebbe approvato linglese
di origine polacca Joseph Conrad, il capitano di navigazione che
narrò di avventure e di politica. Ma che in pieno Ottocento
fu anche promotore di sviluppo (esportando scuole, ospedali, beni
civili, altri servizi di organizzazione sociale), e fu soprattutto
protagonista di battaglie di civiltà quali quella dellesploratore
David Livingstone, che risalì lo Zambesi e scoprì
i laghi Vittoria, Niassa, Tanganica e Bangweulu, che poi si smarrì
in quel cuore di tenebra e ritrovato da Stanley, ma che nel frattempo
aveva condotto una vasta campagna contro la tratta degli schiavi.
Preceduto, in questopera, dal colonnello Samuel White Baker,
il quale, per organizzare la prima spedizione antischiavista del
Continente Nero, traversò il deserto della Nubia trasportando
su affusti di cannone e su centinaia di tronchi di pini di Trieste
trainati da cammelli le sezioni di tre piroscafi e di una trentina
di grosse imbarcazioni a vela, varandoli nelle acque del lago Alberto,
e con questa flotta diede la caccia ai mercanti di carne umana che
razziavano uomini, donne e bambini tra Khartum e Gondokoro.
Quando il dittatore dello Zimbabwe, Mugabe, paragona gli attuali
dirigenti britannici a queste figure che contribuirono non poco
a metter fine a un errore millenario, non va lontano dalla realtà:
si avverte ancora oggi leco della dimensione etica dellImpero
britannico, sperimentale alchimia di interessi nazionali e di valori
universali, di utilitarismo e di idealismo. E cripticamente imperiale
sembrò essere il nuovo ordinamento internazionale prefigurato
da Londra a partire dal 98, e ancor più dal 99,
nel mezzo della guerra in Kosovo. Lattacco alla Serbia parve
voler fondare il telaio di un motore-Occidente a guida anglosassone
destinato a scrivere con le armi una legalità rivoluzionaria,
con lONU chiamata a ratificarla a fatto compiuto. Ma proprio
la guerra in Kosovo cominciò a mettere a nudo un nervo sensibile:
come hanno suggerito alcuni documenti Nato, in quel 99, allinterno
dellamministrazione democratica americana nacque un retropensiero:
dopo il Kosovo, la Nato doveva entrare nellAsia centrale per
difendere i diritti umani e abbattere brutali Stati di polizia,
ma lungo le rotte di esportazione del petrolio del Mar Nero. Era
il progetto di passaggio degenerante da un Impero morale ad uno
strumentale.
E il Regno Unito, dunque, che può ridare un senso
allOccidente, facendo del suo liberale interventismo diplomatico,
e in casi estremi del suo bilanciante interventismo armato uno strumento
per concepire lImpero morale come iniziativa multinazionale,
e non come una pura e semplice estroflessione degli Stati Uniti.
Perché, in questo caso, la sua visione sarebbe fortemente
ridimensionata, diventando simile allazione di uno qualsiasi
dei re di Numidia benvoluti dai Cesari soltanto perché, quando
richiesti, fornivano alle spedizioni di Roma unottima cavalleria,
(sia pure, a differenza, con i vizietti del saccheggio e dello stupro
di massa). Sta a Londra ricostruire un solido reticolo tra America
e Unione europea, e tra Ue e mondo arabo. Altrimenti, persistendo
la frattura lungo la linea di displuvio prodotta dal decisionismo
americano, il Regno Unito non potrà essere più un
ponte atlantico, né un traino europeo, né un propositivo
punto dincontro e di dialogo con lOriente, vicino e
lontano che sia, in un Occidente che rischia di entrare complessivamente
in crisi.
Leggenda (ma non tanto) vuole che sia stato lindice di Churchill,
alla fine della prima guerra mondiale, a disegnare la mappa del
Vicino Oriente, quando vennero tracciati quei confini della Transgiordania,
della Siria, dellIraq, del Libano, dellArabia Saudita,
dello Yemen e, poi, della nebulosa di Emirati affacciati sul Mar
Rosso e sul Golfo Persico, che fecero tramontare due sogni: quello
di una Mitteleuropa estesa da Berlino a Damasco, perseguito da Naumann;
e quello di uno Stato arabo unico per il quale aveva perduto la
vita (per volontario fuoco amico) il colonnello Thomas
Edward Lawrence, larcheologo, orientalista e uomo dei servizi
segreti britannici noto come Lawrence dArabia, autore dei
Sette pilastri della saggezza, conquistatore di Damasco,
che aveva guidato la guerriglia nel deserto contro le truppe turco-tedesche
dellImpero Ottomano. Quel dito spartitore aveva segnato linee
di demarcazione tali che, senza tener conto di etnie turche, turcomanne,
arabe, curde, armene, palestinesi, né di vari e conflittuali
gruppi sciiti, sunniti, drusi, maroniti, alawiti, ismaeliti, contenevano
di per se stesse le radici delle future guerre regionali che avrebbero
fatto di questo scacchiere uno dei punti più roventi del
pianeta. Emblematici, fra gli altri, i casi del Kurdistan e dellArmenia,
repubbliche di effimera esistenza, poi sopraffatte e smembrate,
la prima da Turchia, Russia, Iraq e Iran, e la seconda da Turchia
(col primo genocidio del XX secolo) e Russia. La decisione di concedere
un focolare agli ebrei, nucleo originario dello Stato
dIsraele, avrebbe poi complicato la situazione, alimentando
integralismi, odii e scontri armati per la vita e per la morte,
e, per converso, multipli sogni di espansionismi, dalla Grande Siria
aspirante allassoggettamento del Libano, a un Grande Israele
che includesse tutte le aree di memoria biblica; dal Grande Iraq
che ritiene il Kuwait una sua provincia storica, alla Grande Turchia,
che considera Mosul e Kirkuk territori irredenti e i Paesi turcofoni
medio-e-centrali dellAsia zone di diretta influenza.
Erano stati gli inglesi ad abbattere lImpero di Topkapi,
disintegrandolo, e poi a dare dignità di nazione laica alla
Turchia di Ataturk. Ed erano stati gli stessi inglesi a volere,
dopo qualche breve fase di transizione, la dinastia hashemita sul
trono giordano, su quello iracheno una monarchia ereditaria di emiri
sciiti, su quello arabo la dinastia saudita, su quello egiziano
la dinastia di Fuad I, confermando su quello persiano (il Trono
del Pavone) la dinastia dei Pahlavi, su quello yemenita una dinastia
di imam sayditi... Londra si era distaccata con sufficiente serenità
dal proprio Impero, trasformandolo in Commonwealth, senza transitare
per i bagni di sangue di tipo indocinese o algerino che avevano
finito con lumiliare grandeur, leader e forze armate francesi.
Londra, pertanto, dovrebbe avere sufficiente understatement per
aggiustare la rotta americana, nel nome di storia e storie nostre
e di un universo mediterraneo ricco di risorse umane, culturali,
religiose che non possono essere semplicemente sopraffatte da strategie
politico-economiche, sia pure in forma di democrazia esportata,
o imposta.
E vero: proprio la guerra irachena ha messo in evidenza i
profondi contrasti tra americani, europei e musulmani genericamente
considerati. E stato scritto che, a differenza degli europei,
gli statunitensi non hanno espulso Dio dal loro discorso pubblico,
(Dio benedica lAmerica), e non lo hanno esiliato
in un pudico ambito privato o in un sia pure impegnato contesto
solidaristico, ma lo ritengono una fonte ispiratrice per i giusti
e un centro essenziale della loro dimensione sociale, senza che
questo tolga alcunché alla separazione tra Repubblica e Chiesa,
alla libertà di pensiero, ai valori civili della nazione.
Ciò chiarisce anche la differenza tra Cristianesimo e Islam
riguardo il modo di intendere la dimensione collettiva della religione.
E ormai soltanto delluniverso islamico questo stato
di cose: la sfera del potere e della politica è inestricabilmente
fusa con quella della religione.
Ciò comporta lidentificazione del cittadino-suddito
con il credente fedele e la contrapposizione delle minoranze integriste
al crociato-infedele, che è sempre e comunque occidentale.
Così si perpetua il perverso strettissimo rapporto tra guerra
e religione, (lammissibilità etica della guerra in
nome della religione), dai tempi dellEuropa carolingia come
fortezza cristiana a quelli della predicazione per reciproche e
violente conversioni, a questi giorni di malintese jihad, mentre
solo intelligenti spiriti musulmani si pongono dilemmi, interrogano
la coscienza individuale, sono impegnati a produrre in qualche modo
un corto circuito tra ciò che appartiene a Cesare e ciò
che è afferente a Dio, perché in futuro si aprano
varchi alla democrazia.
Ci vollero sei anni a McArthur per realizzare la mutazione genetica
dellImpero da teocratico a democratico. Ma il Giappone aveva
sempre tenuto docchio lOccidente, per lo meno mutuandone
tecnologia, sistemi industriali, tecniche di produzione e di commercio,
mentre i gruppi integristi ritengono tutti questi satanici strumenti
di contaminazione della propria antropologia culturale e spirituale:
in questo modo, due universi che un giorno confinavano (compenetrandosi),
ora indiscriminatamente si fronteggiano. E il Mediterraneo sembra
avere un muro nel cuore. Ed è questo che, come ha scritto
Predrag Matvejevic, sembra votarle al destino di un mondo ex,
e la stessa Unione europea si compie senza tenerne alcun conto:
nasce unEuropa separata dalla culla dellEuropa,
privata della sua infanzia e della sua adolescenza. Col baricentro
della Storia inclinato oltre lAtlantico, a predisporre progetti
esterni (estranei) al Mare Nostrum e alle sue purtroppo accanite
frontiere.
Eppure, non è solo nel Nuovo Mondo e nei formicai del basso
ventre sino-indiano che è lAsia Inferiore che si giocheranno
ruoli decisivi per lavvenire del mondo. E anche qui,
in questo gran lago salato interno, che salda tre continenti, che
quella Storia dovrà fare ritorno, se intende ritrovare larmonia
perduta dopo sanguinose guerre civili, laceranti eresie, scismi
religiosi, scempi coloniali, ideologie totalitarie. Perché
qui tutto è stato già pensato, vissuto e consumato.
E qui, dunque, può essere il luogo di unutopia possibile
che travalichi linattuale stato di cose, linquietante
ritardo della cultura e delle culture, della politica e delle politiche,
dispiegate in un mare unico e frantumato: ancora ponte e fossato.
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