Era dalla fine
degli anni Venti che sui giornali francesi e tedeschi non si leggeva
una critica così netta dei valori degli Stati Uniti.
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Vi era chi lo temeva e vi era chi lo sperava. Ma erano in molti
a credere che dopo la crisi irachena il mondo non sarebbe stato
più lo stesso, e che le categorie con le quali lo si poteva
comprendere non sarebbero state più le stesse. Per quanto
rilevante, la crisi irachena non è stata la causa del cambiamento,
ma ne è stata nello stesso tempo leffetto e il rivelatore.
Lordine atlantico, costruito allindomani
della seconda guerra mondiale, aveva come ragione primaria quella
di contenere lespansione del comunismo internazionale. La
difesa della civiltà occidentale dei suoi valori,
del suo modello politico liberale, della sua economia di mercato
rispetto al nuovo ordine del comunismo realizzato, da Varsavia
a Pechino, aveva permesso per più di mezzo secolo di unire
nella stessa logica di azione i Paesi dellEuropa occidentale
e le democrazie nordamericane, insieme a nazioni come il Giappone,
la Corea del Sud o la Turchia.
Questa contrapposizione tra due civiltà radicalmente opposte
aveva fatto aggio sulla logica antica delle relazioni internazionali:
la logica delle prossimità e delle rivalità territoriali,
delle affinità o dei contrasti etnici e religiosi, della
potenziale competizione o complementarità tra le economie.
Una logica la cui validità aveva continuato ad esser sostenuta
da un numero sempre più ristretto di studiosi e di uomini
di Stato, per i quali né la contrapposizione al comunismo
internazionale né la generale espansione del modello liberaldemocratico
e del modello delleconomia di mercato avrebbero sostanzialmente
modificato la logica antica che vigeva prima dellavvento delle
società di massa nel XIX secolo.

Ciò a cui abbiamo assistito da qualche mese (e continuiamo
a registrare ancora oggi) costituisce unindubbia conferma
di questa visione realistica delle relazioni internazionali.
La questione non è stata soltanto la sostanziale coincidenza
di visione sullIraq tra Paesi come la Francia, la Germania,
la Russia, la Cina. La questione è stata che Francia e Germania
hanno considerato la crisi irachena come inizio di un ordine mondiale
diverso da quello atlantico. Un ordine nel quale il
continente euroasiatico si contrappone a quello americano, e lEuropa
e il suo modello culturale e sociale si contrappongono agli Stati
Uniti e al mondo anglosassone, al loro modello liberista.
Chiunque ricordi la dichiarazione franco-tedesca di Berlino del
1996, con la sua solenne affermazione dellindissolubilità
e della perennità dei legami transatlantici, non potrà
non notare la straordinaria analogia con le dichiarazioni diplomatiche
dellEuropa danteguerra, che puntualmente significavano
linverso di quello che si sarebbe realizzato di lì
a poco.
Sul piano ideologico cè un tremendo ritorno alla fine
degli anni Venti, sia in Germania sia in Francia. Seppure con parole
diverse ma spesso neanche troppo vi è la riproposizione
della contrapposizione resa celebre da Carl Schmitt tra le potenze
di terra e le potenze di mare: le prime contenute
dallemisfero dellAtlantico, le seconde da quello spazio
sempre fluido e talvolta indistinto che va dagli Urali al Reno.
Era dalla fine degli anni Venti che sui giornali francesi e tedeschi
non si leggeva una critica così netta dei valori degli Stati
Uniti, unaffermazione così perentoria della alterità
dellEuropa continentale rispetto al modello anglosassone,
una presa di distanza e un disprezzo così palesi, così
espliciti nei confronti dellInghilterra. E se lo slogan della
destra reazionaria francese di allora era né Mosca
né New York, caduto il comunismo la Russia sembra diventata
non soltanto un alleato strategico, ma addirittura un alleato di
civiltà contro quella americana.

Per quanto si siano potuti a ragione imputare al comportamento
degli Stati Uniti un eccesso di unilateralismo e una ruvidezza di
stampo texano, è evidente come la situazione determinatasi
sia stata in primo luogo il risultato delle volontà di Francia
e Germania, due Paesi che hanno giocato pesantemente la carta dei
rispettivi interessi nazionali, sotto la falsa coscienza di volerli
far passare come linteresse dellEuropa intera. Ma era
stata la Elf-Total-Fina transalpina ad aver firmato contratti straordinariamente
vantaggiosi per 50 miliardi di dollari col regime di Saddam Hussein,
e non unipotetica società petrolifera europea.
Ed era stata la Germania ad avere forti interessi economici nellindustria
chimica irachena, non la Spagna o lItalia.
Attualmente, il punto fondamentale è comprendere se davvero
il resto dellEuropa vorrà seguire Francia e Germania
nella loro volontà di potenza. Una volontà che passa
innanzitutto attraverso laffermazione della propria egemonia
sul Vecchio Continente, ottenuta anche attraverso nuove istituzioni
dellUnione europea, modellate secondo i propri desideri.
Non si tratta di divagazioni storicistiche. Chiunque esamini gli
articoli della futura Costituzione europea prodotti fino a questo
momento dal Presidium della Convenzione non può non essere
colpito dal fatto che essi corrispondono quasi alla lettera al modello
istituzionale tedesco da un lato, e al modello amministrativo francese
dallaltro. Vi è una completa esclusione di ogni altra
tradizione costituzionale, e in particolare di quelle del Regno
Unito e dei Paesi dellEuropa del Nord.
Che il rapporto tra le nazioni del mondo abbia acquistato una fluidità
impossibile nellera dellespansione del comunismo internazionale
non è di per sé una realtà negativa, come evidentemente
non lo è il fatto che lEuropa possa avere una voce
più importante nelle vicende mondiali, soprattutto in quelle
che la riguardano da vicino. Ma vi è una differenza fondamentale
tra questo e il considerare un fatto positivo la fine dellordine
atlantico, con unEuropa che dovrebbe mettere gli
Stati Uniti sullo stesso piano della Cina come alleato. Sarebbe
davvero tragico se il brutale realismo congiunto degli
eredi del nazionalismo di De Gaulle e del genetico neutralismo della
socialdemocrazia tedesca dovesse diventare la regola di comportamento
dellintera Europa. Immaginare che vi sia una contrapposizione
strutturale di interessi con gli Stati Uniti significa non soltanto
dimenticare e sarebbe già un fatto straordinario
che la civiltà americana è figlia della civiltà
europea, ma anche che la sola possibilità posseduta da unEuropa
declinante sul piano demografico e della sua influenza economica
nel mondo per proteggere e sviluppare i propri valori e i propri
interessi materiali è di rafforzare i legami con laltra
sponda dellAtlantico.
Anche dopo la fine del comunismo internazionale, quindi, proprio
dal punto di vista realistico levento più
negativo per lEuropa sarebbe la tentazione da parte degli
Stati Uniti di ritirarsi nel neo-isolazionismo, senza sentirsi più
vincolati al destino del Vecchio Continente.
Ma forse è proprio questo che alcuni in Europa auspicano:
favorire le tendenze isolazionistiche da sempre presenti nella società
e nella politica americana, nella speranza che ciò permetterà
lemergere dellEuropa come forza egemone sulla scena
mondiale. Un gioco, questo, di cui è difficile calcolare
i guadagni, ma di cui è fin troppo facile intuire gli enormi
pericoli.
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