La Germania, con la sua crescita vicina allo
zero, la sua
disoccupazione
al di sopra
del 10 per cento,
potrebbe trascinare verso il fondo
lintera area
continentale.
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Il Vecchio Continente non è soltanto sempre più diviso
sotto il profilo politico, ma è anche meno solido sul piano
economico. Larea delleuro, dopo essere cresciuta solo
dello 0,8 per cento nel 2002, (contro il 2,4 per cento degli Stati
Uniti), si appresta a fare altrettanto nel 2003. Le aspettative
sono pressoché unanimi, incluse quelle dei più accreditati
istituti privati. Siamo dunque lontani, anzi remoti, dalla ripresa
della produzione del 2-2,5 per cento alla fine di questanno,
come pronosticava con eccessivo ottimismo la Banca centrale europea
alla fine dello scorso anno.
Le risposte di politica economica europee alla congiuntura corrente
sono molto condizionate sul piano fiscale e timide (almeno finora)
sul piano monetario. In più, leuro si sta rivalutando
fortemente e le incertezze che dominano i comportamenti degli operatori,
dovute in parte allinstabilità di diversi scacchieri
planetari (Vicino Oriente, Corea del Nord, vari Paesi dellAfrica
e dellAmerica Latina), sono almeno prolungate, se non anche
approfondite, dalle posizioni politiche di alcuni Paesi europei,
che tendono di fatto a farle persistere.

La bassa crescita nel 2002 e la sua permanenza nel 2003 riguardano
lintero Continente, seppure con Germania e Italia in situazioni
significativamente peggiori di quelle degli altri Stati dellarea.
Non ci sono economie candidate a funzionare da locomotiva, mentre
ce ne sono a fare da zavorra. La Germania, con la sua crescita vicina
allo zero, la sua disoccupazione al di sopra del 10 per cento, lo
scarso spazio di manovra che ha quanto a politiche economiche, le
sue rigidità strutturali molto marcate, la sua minore competitività
allexport dovuta alleuro in apprezzamento, e un sistema
bancario debole, sembra assomigliare sempre di più al Giappone.
Essa potrebbe trascinare verso il fondo lintera area continentale.
Questo sembra essere il rischio interno maggiore. Le risposte di
politica fiscale date da Germania, Francia e Italia sono andate
soltanto nella direzione di dare spazio agli stabilizzatori
automatici tramite la tolleranza di maggiori deficit di bilancio
nella parte bassa del ciclo, e in deroga al Patto di stabilità.

Niente di più e di meglio. Fatto sta che i margini di autonomia
fiscale dei Paesi sono stretti e che la politica fiscale ha effetti
espansivi limitati e temporanei. In economia aperta è la
politica monetaria che tende ad avere maggiore efficacia, anche
se buona parte dei suoi effetti si fanno sentire attraverso i tassi
di cambio. In aggiunta, adesso esistono condizioni di incertezza
tali da rendere i comportamenti dei consumatori e degli investitori
più difficili da influenzare attraverso le politiche macroeconomiche.
Ma è stata la politica monetaria comune a esser maggiormente
carente e timida in questa fase. Preoccupata quasi esclusivamente
dal controllo dei prezzi, nonostante leuro in apprezzamento
rendesse tali preoccupazioni meno forti, e anche refrattaria a considerare
apertamente pure i bisogni della crescita, la Banca centrale europea
ha mantenuto i tassi dellinteresse a breve invariati per quasi
tutto intero il 2002. Neanche a fronte di un eclatante ulteriore
rafforzamento delleuro sul dollaro (di circa il 20 per cento)
nei primi tre mesi del 2003 e di un altro abbassamento significativo
del tasso di inflazione di base, la Bce è apparsa decisa
a puntare al sostegno delleconomia europea. UnIstituzione
rivolta, ripiegata su se stessa, ultragelosa delle proprie prerogative
di indipendenza, non disposta neanche ad interpretare il proprio
mandato allinterno degli spazi che le lascia la specifica
Carta costituzionale, ha finito per dividersi al suo interno e per
restare quasi del tutto paralizzata. Quando, circa un anno fa, un
Rapporto della Fondazione La Malfa proponeva di ribilanciare il
mandato istituzionale della Bce, accomunando in esso sia obiettivi
di stabilità dei prezzi che di crescita economica (un poco
come in quello della Federal Reserve americana), esso fu considerato
quasi sovversivo. Questa è ora diventata la posizione non
solo di molta parte dellaccademia, ma anche di quasi tutto
lestablishment europeo. Ultimo a sottoscriverla è stato
il Governatore della Banca dInghilterra.
Le prospettive di un significativo e rapido riorientamento della
politica monetaria comune europea non sembrano molto buone. E
possibile che i tassi vengano ancora limati, ma in assenza di cataclismi,
quali una crisi bancaria in Europa o una lunga guerra in qualche
angolo del pianeta, un esame degli orientamenti di fondo dovrà
attendere il cambio di leadership alla Bce e dipenderà in
buona misura dagli orientamenti del suo nuovo capo e dagli equilibri
di vedute che verranno a stabilirsi al suo interno.
In più, lefficacia di stimolo di tassi dinteresse
più bassi sarà decisamente più ridotta se dovesse
continuare, come è possibile almeno per un certo numero di
mesi, la tendenza delleuro a rivalutarsi sul dollaro, nonostante
il minor differenziale dei tassi dinteresse a favore dellEuropa
e la continuata maggiore crescita delleconomia statunitense.
Fino a quando prevarranno le preferenze verso investimenti in Europa
rispetto agli Stati Uniti, per ragioni di sicurezza, ciò
resta possibile.
Molti operatori si attendono che leuro continui a rafforzarsi
nel corso del 2003. Nulla di tutto questo sembra augurar bene per
la ripresa economica in Europa. E i costi di questa non-crescita,
non si sa quanto coscientemente, sono aumentati dalle posizioni
politiche di quei Paesi europei che, invece di agire di concerto
con gli Stati Uniti, di fatto prolungano le incertezze che smussano,
in Europa e altrove, le tendenze al recupero dei consumi e degli
investimenti.
Passiamo allanalisi delle singole prese di posizione della
Bce. Essa non si fida della legge finanziaria italiana 2003. Né
delle misure prese da alcuni altri Paesi per tener fede al Patto
di stabilità. I comunicati di Francoforte sono carichi di
preoccupazioni sui conti pubblici di molti Paesi dellarea
euro. Essi sostengono: «Non ci si attende che Grecia, Francia
e Italia riescano a soddisfare i requisiti di risanamento per il
2003». E neanche i risultati del 2002 possono essere considerati
soddisfacenti, dal momento che «in Italia la riduzione del
rapporto tra debito e Prodotto interno lordo è principalmente
riconducibile a unoperazione finanziaria con un significativo
effetto una tantum sul debito».
La Bce non si era mai espressa prima con altrettanta chiarezza.
Nei primi tempi si era limitata ad alludere ai Paesi reprobi, senza
tuttavia nominarli. Il principale accusato sul capitolo della finanza
pubblica è la Francia, unico tra i Paesi comunitari a non
avere approvato i criteri di risanamento e che non ha incluso nei
suoi programmi lobiettivo del pareggio di bilancio entro il
2006. Ma altri tre, Italia, Portogallo e Grecia, secondo gli economisti
della Banca centrale non riusciranno questanno a mettere in
atto limpegno che i loro ministri, a differenza di quello
francese, hanno sottoscritto il 7 ottobre 2002: una correzione strutturale
dei conti di «almeno lo 0,5 per cento del Prodotto interno
lordo ogni anno».
La Germania, invece, sembra uscire meglio (guarda caso) dallanalisi.
Ma non è stata proprio la Germania nel 2002 a oltrepassare
di parecchio la soglia di Maastricht, con il 3,75 per cento? Leconomista
Giacomo Vaciago, ad esempio, ribatte: «Non so come faccia
la Bce a non accorgersi che la Germania sta molto peggio di noi».
A Francoforte rispondono che la Germania ha, sì, peccato
gravemente nel 2002, ma gli impegni che ha preso per il 2003 sono
credibili; Berlino avrebbe potuto far meglio, perché anche
nel 2003 il disavanzo pubblico resterà «prossimo al
limite del 3 per cento», ma a quanto si può prevedere
oggi limpegno alla riduzione strutturale del deficit di almeno
lo 0,5 per cento dovrebbe riuscire a mantenerlo, (e poi si dice
che la Bce non è una pura e semplice proiezione della vecchia
Bundesbank!).
Dunque, la Germania viene giudicata più credibile; mentre,
sempre per i conti del 2003, «in Italia e in Portogallo leffetto
di misure temporanee è in qualche misura incerto».
Precisa freddamente lItalia: «E vero che nella
nostra legge finanziaria 2003 ci sono misure una tantum, ma è
anche vero che il rapporto deficit/Pil è lontano dal 3 per
cento. Forse nel 2004 le entrate e le spese saranno sostenibili
a lungo termine e quindi non ci sarà più bisogno di
una tantum». La Banca centrale europea, tuttavia, si dice
preoccupata anche per gli anni successivi. A proposito del 2004,
non menziona di preciso alcun Paese, ma nota che «il conseguimento
degli obiettivi dipende dalleffettiva realizzazione delle
ipotesi di crescita, non sempre realistiche, su cui si basano gli
scenari previsti dai diversi Paesi». Per lappunto, il
programma di stabilità italiano contiene una
previsione di crescita nel 2004 pari a +2,9 per cento, superiore
a quella di tutti gli altri Paesi che negli anni scorsi hanno conseguito
risultati simili ai nostri, e inferiore soltanto a quelle di Spagna,
Irlanda e Grecia, che sono costantemente cresciute più in
fretta.
Sempre senza fare nomi, la Bce teme che a causa delle previsioni
troppo ottimistiche «in diversi Paesi» il deficit pubblico
potrebbe superare il limite del 3 per cento. Per il 2004, gli uffici
della Commissione europea hanno indicato questo rischio a proposito
dellItalia. Più in generale, la Banca conferma che
«le prospettive di crescita per leconomia dellarea
delleuro nel 2003 si sono deteriorate rispetto alle attese
precedenti»; non indica, però, la nuova previsione,
che secondo quanto anticipato dal presidente Wim Duisenberg dovrebbe
collocarsi attorno all1 per cento. Può essere questo
un motivo valido per rilassare un po la disciplina di bilancio?
Su questo argomento, che divide gli economisti in due campi opposti,
la Bce continua a schierarsi dal lato del rigore, e risponde di
no. Nei Paesi con gravi squilibri strutturali, (questa è
la tesi di Francoforte), diminuire le tasse senza tagliare la spesa
non riesce ad alimentare la fiducia di operatori economici e cittadini,
tutti consci che senza un risanamento dovranno tornare a pagare
più tasse in un futuro neanche tanto lontano.
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