Giugno 2003

CHE EUROPA FARÀ

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Ricucire. E poi?
Gary S. Becker
 
 

La scissione che
si è prodotta tra
i leader europei
rischia di esasperare i contenziosi latenti sul terreno delle riforme economiche e di ritardare il varo della Costituzione europea.

 

Fino ad ora, nel corso di circa mezzo secolo d’esistenza, la Comunità europea non si era mai trovata alle prese con una crisi di natura così devastante da far dubitare non soltanto della sua identità, ma anche del suo futuro. E ciò, sebbene non siano mancati, lungo il suo itinerario storico, dissidi di carattere politico e contrasti d’interesse anche aspri e velenosi. Sol che si pensi alle diatribe suscitate dal veto di De Gaulle all’ammissione della Gran Bretagna nella Cee e a quelle poi sollevate dall’ostruzionismo della Thatcher; ai dilemmi posti dalla prospettiva della riunificazione tedesca, di una “Grande Germania”; alle forti difformità di vedute sulla condotta da seguire di fronte alla transizione post-comunista dei Paesi dell’Est e ai conflitti etnici esplosi nella ex Jugoslavia.

E ancora, alle divergenze sulle modalità dell’unificazione monetaria e a quelle sull’interpretazione del Patto di stabilità; alle dispute sulla ponderazione dei voti tra i vari Stati grandi e piccoli del Consiglio europeo. Per non parlare delle battaglie sulla politica agricola e delle risse sulle “quote latte”, delle baruffe sui singoli contributi al budget comunitario e delle tenzoni talvolta estenuanti sulla ripartizione dei principali incarichi istituzionali.
Sennonché, queste e altre contese appaiono tutt’al più delle scaramucce, o delle semplici liti in famiglia, in confronto alla profonda frattura causata all’interno dell’Unione europea dai gravi contrasti insorti in seguito alla decisione unilaterale americana di ricorrere alla “guerra preventiva”, tagliando corto sulle ispezioni dell’Onu, per disarmare l’Iraq e liberarlo dalla tirannia di Saddam Hussein. Sia perché non avrebbe potuto essere più clamorosa e dirompente la spaccatura della Ue in due schieramenti nettamente contrapposti: tra la Francia di Chirac, pronunciatasi senza mezzi termini contro l’opzione militare americana, in ciò spalleggiata dalla Germania e dal Belgio; e la Gran Bretagna di Blair, impegnatasi fin dal primo momento per un intervento armato a fianco degli Stati Uniti (con cui si sono dichiarati solidali la Spagna, l’Italia e vari altri Paesi membri dell’Unione o prossimi a farne parte). Sia perché la scissione che in tal modo si è prodotta tra i leader europei rischia di esasperare anche a distanza di tempo i contenziosi latenti sul terreno delle riforme economiche e, inoltre, di ritardare il varo della Costituzione europea.

Di fatto, la frantumazione dell’Europa dei Quindici sulla vicenda irachena ha dimostrato quanto fosse in realtà fragile e aleatoria la prospettiva di una politica estera e della difesa comune. Che pure costituiva, come veniva ribadito pressoché in ogni vertice dell’Unione europea, il banco di prova dell’effettiva volontà dei governi europei di procedere sulla via di un’autentica integrazione sovranazionale. Poiché quel che ancora mancava affinché l’Ue si trasformasse in un vero e proprio soggetto politico, e potesse quindi svolgere un ruolo di rilievo nello scacchiere mondiale a presidio della pace e della stabilità, era appunto sia un indirizzo omogeneo e coerente nelle relazioni internazionali sia un robusto sistema collettivo di difesa.

C’è perciò da chiedersi se e come sarà mai possibile che l’Europa giunga a parlare con una sola voce e a disporre di una propria struttura militare, dopo che sono emersi in termini così crudi e inequivocabili tanti e così seri motivi di antagonismo e di divisione. Non è dato infatti trovare nel passato un precedente nel quale siano venute a sommarsi tutte insieme e a sovrapporsi simultaneamente discrepanze di giudizio e incompatibilità politiche, dovute sia a pulsioni nazionali e a logiche di potenza o ad ambigue tendenze neutraliste e isolazioniste; sia a questioni etiche e di principio (sul modo di concepire la legalità internazionale e gli ideali pacifisti); sia ancora, e non certo da ultimo, a valutazioni così radicalmente diverse sulla natura dei legami con l’altra sponda dell’Atlantico.
In un contesto europeo così lacerato, i vertici di Bruxelles purtroppo non sono riusciti a sciogliere se non marginalmente lo spesso strato di gelo che ha ibernato le relazioni franco-britanniche, né ad allentare tutte le tensioni e tutti i dissapori che si sono venuti accumulando negli ultimi mesi nell’ambito dell’Unione.
D’altro canto, non si può pensare che un filo così esile come l’impegno di provvedere a piani di ricostruzione (e piani umanitari in favore della popolazione irachena) varrà a ricucire lo strappo che ha scompaginato la Comunità.

Ben altro ci vuole perché si rimarginino le ferite e si ricostituisca un quadro di convivenza e di cooperazione unitaria. Ed è un chiarimento di fondo, a tutti gli effetti, sui nodi a tutt’oggi irrisolti e sulle direttrici di marcia per l’avvenire. Ciò che comporta per l’Europa la necessità di fare infine i conti con se stessa. E di stabilire, dunque, quale debba essere il modello istituzionale più appropriato per reggere una compagine allargatasi a Venticinque membri e per garantire una sovranità popolare europea; quali siano le misure più idonee per affrontare un tornante economico non più soltanto ciclico, ma che prefiguri invece un cambiamento di ordine strutturale; come rendere possibile una convergenza delle diplomazie nazionali verso una politica estera comune, con tutti gli oneri e le responsabilità che ne conseguono; come agire per mantenere in vita la partnership transatlantica senza ridursi a una condizione di subalternità alla superpotenza americana ma convertendola, senza miraggi velleitari o colpi di testa, all’esigenza di un indirizzo multilaterale, in quanto più consono sia a un’efficace lotta al terrorismo sia alla soluzione dei complessi problemi transnazionali del nostro tempo.
In ultima analisi, il compito che attende i Quindici (o, in seguito, i Venticinque) non è di rimettere insieme i cocci e di rattoppare la facciata dell’Unione europea, bensì di ricostruire e, al tempo stesso, di edificare un’autentica Europa comunitaria. Altrimenti, per un Vecchio Continente anatra zoppa non potrà esserci alcun futuro.

   
   
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