Sono convinto
che una volta
distribuiti i semi
delleconomia
di mercato in un Paese arabo,
le radici possono farsi profonde,
e anche
in tempi brevi.
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Cè stata agitazione in Borsa, comè inevitabile
in tempi di guerra. Qualcuno ha mai visto un mercato tranquillo
in una situazione di incertezza? Io no. E sono una persona anziana.
Comunque, per quel che riguarda leconomia, limpatto
della guerra e del dopoguerra non avrà effetti dirompenti.
O meglio: limpatto vero e proprio sarà molto modesto.
Guerre come quelle contro lIraq alla resa dei conti sono molto
circoscritte e in fondo anche contenute dal punto di vista dei costi.
Non stiamo certamente parlando di un impatto globale, di una guerra
a tutto campo. Perciò mi affido alle condizioni di fondo
delleconomia prima dello scoppio del secondo conflitto nel
deserto mediorientale.
E le condizioni di fondo per me erano e sono rimaste sostanzialmente
buone: linflazione è rimasta sotto controllo, la produzione
in rialzo, la disoccupazione ha oscillato fra il 5,5 e il 6 per
cento. Tutto ciò ci dice che si è costantemente rimasti
su un livello storicamente molto buono. Non vorrei sembrare provocatorio,
ma davanti a tanto rumore e a tanta volatilità, la situazione
dei fondamentali economici mi sembra davvero poco interessante,
direi anche alquanto scontata. E non credo che ci sarà un
double dip, vale a dire una doppia ricaduta in recessione.
Ovviamente, fin dallinizio erano chiare le premesse: con una
guerra lunga, il fattore tempo avrebbe avuto un impatto piuttosto
negativo; una guerra corta, al contrario, non avrebbe potuto influire
negativamente sui fondamentali: al contrario, avrebbe contribuito
a dare una spinta psicologica di ottimismo. Per guerra corta,
visto che ogni guerra ha i propri tempi, si prevedeva un conflitto
della durata di poco meno o poco più di tre mesi, parentesi
cronologica entro la quale non potevano esserci problemi creati
dallimpatto psicologico e tanto meno dalla volatilità
dei mercati internazionali.
Soprattutto durante le prime due settimane di guerra limpressione
generale era che non vi fossero segnali di vitalità negli
investimenti di capitale, e anche il petrolio era rimbalzato. Ebbene,
io credo che il mercato si sia abituato a condizioni di volatilità,
anche sul fronte petrolifero. Quel che ci deve interessare è
indubbiamente il medio periodo. E ad esempio per il greggio si è
convinti che nel medio periodo i prezzi saranno abbastanza bassi,
anche dopo le correzioni che si sono avute con lavvio della
guerra. E arriviamo agli investimenti di capitale. Torno a dire:
sarà necessario, e importante, vedere come si comporteranno
i fondamentali.
E parliamo della ricostruzione. Questa prenderà parecchio
tempo, ma intanto le incertezze determinate dalla seconda guerra
nel deserto iracheno dovrebbero essere state superate. Comprese
quelle di chi si dice convinto che sia impossibile introdurre leconomia
di mercato in un Paese arabo. Io, al contrario, sono convinto che
una volta distribuiti i semi delleconomia di mercato, le radici
possono farsi profonde, e anche in tempi brevi. Si veda quel che
sta succedendo in Cina: leconomia di mercato si è diffusa
abbastanza agevolmente, ha fatto miracoli e ritengo che sarà
impossibile ormai eradicarla. E si consideri che la Cina, dal punto
di vista di apertura, di attitudine, di educazione verso leconomia
di mercato partiva da molto più indietro. LIraq, in
fondo, (ma su questo non sono un esperto), aveva un sistema economico
centralizzato per alcuni aspetti, ma aperto per altri aspetti. Cerano
industrie, negozi, proprietà agricole. Il concetto di proprietà
privata o quello del commercio fanno parte della tradizione araba.
La regione irachena era uno dei punti di passaggio tradizionali
per i traffici con lOriente. E mi sembra che si tratti già
di un punto di partenza più che ottimo. Ora, premesso che
mi sono rammaricato che fosse necessario entrare in guerra, chiarisco
che il 2003 per me è la continuazione del 1991: se avessimo
completato quella campagna allora, estromettendo Saddam Hussein,
non avremmo avuto i problemi che poi si sono ripresentati. Avremmo
chiuso il cerchio a quellepoca, e la storia non avrebbe avuto
seguito. Problemi, dicevo. In primo luogo con la Francia: abbiamo
avuto una forte divergenza di vedute con Parigi, anche a livello
di opinione pubblica, e non soltanto di governi. Detto questo, linteresse
comune resta nel commercio, nel libero commercio, essenziale per
aiutare la crescita delleconomia. E questo interesse alla
fine prevarrà sulle differenze e sulle incomprensioni. Sono
convinto che tensioni di questo tipo non possono che essere temporanee.

Per quel che riguarda le Nazioni Unite, mi sia consentita una brevissima
premessa. Le Nazioni Unite, a voler analizzare oggettivamente la
loro attività, hanno funzionato molto male negli ultimi cinquantanni.
Il fatto che abbiano di nuovo funzionato male nella circostanza
americano-irachena non è stata per me una sorpresa. Sottolineato
tutto questo, non mischierei lOnu con le prospettive della
crescita economica. Credo che se la prosperità delleconomia
mondiale fosse dipesa dallOrganizzazione delle Nazioni Unite
oggi saremmo molto più indietro di dove siamo. E nellordine
naturale delle cose: chiusa una guerra, si volta pagina, si deve
necessariamente guardare al futuro, alle ricostruzioni, allo sviluppo,
allazione creatrice della democrazia, a rapporti più
sereni tra i popoli e a rapporti più equilibrati tra aree
diverse del pianeta. E di volta in volta, il resto verrà.
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