Il caso Fiat può
diventare un esempio di modernità
se si utilizza come
laboratorio pilota
per affermare
una nuova cultura
manageriale.
|
|
La crisi del ciclista nasce quando pedalando in salita si rende
conto di essere in discesa. La sindrome del ciclista ora ha colpito
anche la Fiat. Nelle classifiche internazionali si collocava al
quinto posto nel 1990, mentre è scesa al tredicesimo nel
2000. Cosa è successo nellarco di un decennio? Cè
un forte odore dincenso nella sede di Corso Marconi e nei
corridoi del Lingotto. Copre silenzi e domande inevase. Silenzio
sul lungo atteggiamento silente del management (120 top manager
con faccia cementizia). Silenzio sulle ragioni che hanno prodotto
la coincidenza di più crisi: di prodotto, di marketing, di
finanza, di organizzazione.
Gli italiani credevano nelleternità della Fiat, improvvisamente
hanno scoperto la sua fallibilità. I risparmiatori più
fedeli la osservano ormai con la stessa curiosità riservata
ad una donna avvolta nel sudario del burqa (altro segno dei tempi).
Sul fronte del lavoro cera lorgoglio dellappartenenza.
Adesso quadri e operai devono lottare contro linvisibilità.
I numerosi sensori accesi per monitorare la crisi hanno fatto riaffiorare
tic antichi, partorendo piani e cordate di salvataggio. Attorno
al nuovo ordito si sono intrecciate trame di palazzi politici e
salotti finanziari, sono germogliati Vice con la vocazione dei tutor,
sono nati consorzi-elmetto formati con sodalizi improvvisi. Un classico
del folklore italiano che sintreccia con il declino di un
impero celeste.
Tutto ciò potrebbe essere accettato dallestablishment
e dalla pubblica opinione con la solita miscela di fatalismo e pazienza
francescana se la Fiat non fosse unicona del capitalismo italiano,
se non avesse quel forte radicamento sul territorio che la rende
di fatto Stato nello Stato, un crocevia determinante per le politiche
di sviluppo e la crescita sociale. Storicamente la famiglia Agnelli
è stata animata da un forte rispetto per le istituzioni e
da un illuminato liberalismo che hanno consentito di tenere costantemente
aperto il dialogo politico e il dialogo sociale. Con questi due
fari sempre accesi ha potuto svolgere con profitto attività
dimpresa per oltre un secolo, instaurando sul mercato nazionale
una salda egemonia di prodotto e di costume (andare in Fiat era
economico e bello).
Una maxiazienda in un Paese di scarse fortune industriali crea di
fatto un cartello politico-amministrativo, ma si espone anche ai
rischi di una cultura politica adulatrice, tendente a sterilizzare
lindipendenza dimpresa. Nel mare aperto della competizione
globale questa forma di gentleman agreement si è progressivamente
deteriorata. Il reato di lesa maestà è stato derubricato
in facoltativo timore reverenziale.
Il risveglio è stato brusco e traumatico. La necessità
di sopravvivenza e la volontà di potenza sono costrette a
rincorrere tematiche che non assicurano più unagevole
coabitazione, né la possibilità di un lobbistico controllo
del mercato. Nellagonia di unidea di gestione e di prodotto
cè più il dolore della fabbrica che quello dellazienda.
Cè lagonia di un valore impresa identificativo
dei valori sociali nazionali. Allimprovviso un mito italiano
vacilla e diventa simbolo del declino del sistema-Paese.
In positivo cè una cambiale dal credito illimitato
accordata allazienda e alla sua dirigenza. Si continua a credere
nel sole anche quando non brilla. In un Paese che ha sempre percepito
i capitalisti come prìncipi del male (anche tra Cristo e
Barabba le simpatie popolari andavano a Barabba) la famiglia Agnelli
ha rappresentato una gradita e salvifica eccezione. Le riserve attuali
riguardano il come questo credito verrà amministrato.

Messi da parte i richiami flautati dei finanzieri dassalto,
loperazione rilancio parte dalla ricapitalizzazione, dal nuovo
board del Lingotto, dal nuovo organigramma, da una nuova identità
operativa. Nel nuovo Consiglio di amministrazione ci sono segnali
di novità (Umberto Agnelli, Giuseppe Morchio, Luca di Montezemolo)
e segnali di continuità (Alessandro Barberis, Franz Grande
Stevens). Si ha la sensazione che le preferenze vadano ad un lavoro
di squadra più che alla ricerca di acuti di grandi tenori.
Tuttavia esistono e resistono logiche ed emozioni stratificate che
possono produrre pericolose sacche dinstabilità di
fronte al realismo pragmatico sollecitato dalle logiche del mercato
globale. Come le lobbies interne animatrici di partiti aziendali.
Come i patti di sindacato che premiano una progettualità
finanziaria ispirata al culto del capitalismo prussiano (il fondamentalismo
capitalista dei neoconservatives che produce nevrosi, potere e carriere
allombra di circuiti finanziari dominanti). Come gli obblighi
sulla trasparenza amministrativa e sullinformazione aziendale
relegati nel girone delle virtù morali. Si tratta di capire
se la filosofia gestionale sarà dominata dal capitalismo
dinfluenza che predilige i meccanismi dellingegneria
finanziaria o da politiche industriali adottate per creare valore
reale utilizzando procedure di sicura trasparenza.
Il caso Fiat può diventare un esempio di modernità
se si utilizza come laboratorio pilota per affermare una nuova cultura
manageriale, capace di potenziare una democrazia industriale aperta
alla più ampia partecipazione sociale. Nellelaborazione
di ragionamenti su cose, fatti, scenari e previsioni vorremmo vedere
attuata la rivincita di Kant su Machiavelli. Muove nella direzione
di un rinnovato illuminismo la proposta di fare della Fiat una public
company europea (azionariato diffuso), ripensando il sistema della
sua ricapitalizzazione. Nascerebbe così il primo marchio
automobilistico europeo.
Dalla Fiat si attendono segnali per elevare il livello di coesione
sociale nel momento in cui risparmiatori e consumatori si configurano
come due poli di un arco voltaico. A remare contro cè
la difficile congiuntura borsistica. Ma in positivo ci sarebbe un
atto di fiducia verso il mercato unito al coraggio di proporre un
caso di scuola per levoluzione futura del capitalismo europeo.
A un tempo una sfida economica per scongelare investimenti e consumi
e unopportunità politica per accelerare quei processi
integrativi che larchitettura costituzionale della Convenzione
europea può proporre solo in modo virtuale. Sarebbe una salutare
lezione di europeismo in un momento delicato dellUe multilaterale
per il risorgere di uno spirito nazionalista che spazia dalla rinazionalizzazione
delle politiche economiche e finanziarie agli accordi di reciprocità,
disseppellendo dopo ventanni i vecchi arnesi del protezionismo.
Di fronte ad un gruppo sempre più nutrito di sentimenti svenduti,
una rete di concreti interessi transnazionali irrobustirebbe il
processo integrativo dando nuova linfa allidea di unEuropa
federata. Nel lungo periodo la nuova Fiat dovrà privilegiare
una strategia di movimento rispetto ad una strategia di posizione
e un capitale movimentista sarebbe un utile contraltare al movimentismo
politico.
Ciò potrebbe produrre qualche iniziale defaillance organizzativa
ma sarebbe grave se i protagonisti del rinnovamento dovessero restare
incatenati ai ceppi di accordi ispirati da interessi extraziendali.
La public company consentirebbe di allentare il rigore dei vincoli
fissati dalle banche creditrici avendo come referenti diretti il
mercato e patti di sindacato più flessibili. Gli istituti
di credito sono solo preoccupati del loro denaro, lo rivogliono
indietro nei tempi e nei modi previsti dagli accordi sottoscritti.
Non hanno un loro piano di risanamento anche perché non hanno
la cultura per una diretta partecipazione al rischio industriale
(le nostre banche non sono attrezzate per lavorare come banca universale,
sul modello largamente impiegato in Germania).
Da noi fa anche molta fatica ad affermarsi la saggezza del pragmatismo
americano. Nel caso Fiat il dialogo costante col socio GM può
essere sfruttato per accelerare loperazione di ricambio culturale.
Questapproccio operativo a noi sembra importante (forse più
del capitale conferito da General Motors) dopo la triste sorte toccata
ad altre aziende del nostro tessuto industriale.
Ci riferiamo in particolare ad alcune cessioni effettuate nel contesto
delle dismissioni delle Partecipazioni Statali. Hanno portato capitali
stranieri in Italia, ma hanno bloccato o compromesso lo sviluppo
e laffermazione dei nostri prodotti sui mercati internazionali
determinando fenomeni palesi di deindustrializzazione. Si pensi
ai danni che in termini di marketing, di politica commerciale e
di strategia aziendale ha prodotto lo smembramento di aziende come
Montedison, Enichem, Nuovo Pignone, Breda, Snia, Farmitalia, ecc.
Alla Fiat tutto questo non è accaduto e non deve accadere.
Al contrario, in conformità al suo apprezzato modello cosmopolita
dovrà ancorare il futuro economico alla promozione dellintegrazione
sociale e allincivilimento delle realtà urbane periferiche.
Nellera dei mercati globalizzati ad una grande impresa si
chiede una triplice responsabilità: la tradizionale produzione
di valore, il rispetto e la difesa dellecosistema, la promozione
di modelli di cultura planetaria rispettosi delle tradizioni e dei
valori locali.

Laristocrazia dellindustria meccanica è ancora
una certezza europea, ma deve liberarsi dal linguaggio ellittico
del potere finanziario per scaldare e coltivare linteresse
dei consumatori e dei risparmiatori. Se il governo italiano volesse
sponsorizzare il progetto della public company europea avrebbe molte
frecce al suo arco: ha una forte tradizione europeista che gli consente
un accesso credibile nelle varie Cancellerie e ha buoni rapporti
con la Presidenza americana per spiegare lopportunità
di questa soluzione lungo il percorso integrativo.
Alla base ci dovrebbe essere una convinta ambizione italiana ed
europea alla modernizzazione che passa attraverso una visione meno
elitaria del capitalismo di bandiera e delle sue logiche dinfluenza.
Meno cesarismo fordista e più democrazia industriale. I delusi
dal mercato darebbero sicuro credito a questa opportunità,
che consentirebbe di rinnovare dalle fondamenta le ragioni di prestigio
di un marchio che ha reso famosi un prodotto e una famiglia.

Cè un nesso sempre più stretto tra psicologia
ed economia. Non a caso il Nobel per leconomia 2002 è
andato allo psicologo Daniel Kalneman per le sue teorie sulle illusioni
cognitive, che hanno aperto la strada agli studi sulla finanza comportamentale.
Si vanno sviluppando ricerche economiche sempre più sofisticate
sugli effetti prodotti dal reddito sulla felicità individuale.
Negli Stati Uniti si è costituito un gruppo di lavoro per
studiare se sia oggettivamente definibile la felicità.
Con lo scopo dichiarato di valutare la ricchezza nazionale sulla
base di un nuovo indice del benessere, sostitutivo del PIL (a questi
studi è impegnato leconomista Alan Kruger).
Viene dunque rivalutato il momento psicologico delle scelte economiche,
fattore che a nostro avviso darebbe proficue sollecitazioni al coinvolgimento
in Fiat di un azionariato diffuso, con potere di rappresentanza
nella gestione e nel controllo.
Oltre al momento della ricapitalizzazione cè anche
la necessità di adottare in tempi brevi nuove politiche aziendali.
Nellera degli Internet Cafè linnovazione del
prodotto devessere accompagnata da una rigenerazione dellimmagine
e da una profonda revisione della politica commerciale.
Secondo un rapporto recente della Commissione Ue comprare una Fiat
600 a Londra costa il 59,5% in più rispetto a Madrid (la
questione ovviamente non riguarda solo la Fiat, essendosi rilevata
per ogni modello in circolazione una differenza tra il 20% e il
18% tra i Paesi più cari e quelli meno cari). Al di là
delle decisioni che adotteranno gli eurocrati di Bruxelles sulla
convergenza dei prezzi, appare evidente linteresse dei consumatori
ad usufruire di politiche aziendali tendenti ad uniformare i prezzi
almeno nellarea euro (vale la pena ricordare che la Fiat attualmente
detiene il 30% del mercato interno e l8,9% del mercato europeo).
Comunque, per restituire prestigio al marchio occorre uscire dalla
logica dominante dei prodotti pastorizzati che tendono alla omogeneizzazione
dei gusti e dei consumi.
Occorre inoltre rinnovare profondamente le politiche di marchio
e di comunicazione in ragione di un prodotto con forte proiezione
multinazionale. Adesso ci sono Mercedes, Audi e Bmw in giro per
Mosca, dopo la conversione al credo capitalista. Una vera delusione
per chi ricorda i fasti di Togliattigrad. Ma cè soprattutto
limpegno nella ricerca di tecnologie alternative alluso
della benzina e del gasolio. In California per gli Zev (Zero
emission vehicle) e gli Ev (Electric vehicle)
esistono già crediti fiscali fino a 4 mila dollari per veicolo
e contributi statali per altri 5 mila. E recentemente il Presidente
Bush ha stanziato 1,2 miliardi di dollari per accelerare le ricerche
sullauto ad idrogeno.
Cosa fa lEuropa in questo settore? E cosa fa lItalia?
Anche in questa direzione la voce di una società automobilistica
europea sarebbe più ascoltata nelle sedi politiche e istituzionali,
abituate da sempre ad avere più sensibilità per le
richieste avanzate dal capitalismo di prima schiera.
Se si accetta lidea moderna di una primaria responsabilità
sociale dellimpresa è facile immaginare la necessità
di cercare più stretti rapporti di connessione tra società
e impresa. In questo senso la nuova dirigenza Fiat renderebbe un
buon servizio alla società civile se le consentisse di registrare
nel cuore forme nuove e attive di partecipazione.
|