Giugno 2003

PER UNA NUOVA CULTURA D’IMPRESA

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L’altra faccia
del bilancio sociale
Filippo Cucuccio
 
 

“Esistono due tipi
di persone nella vita. Le persone che
vedono il mondo come è e si chiedono perché. E le persone che immaginano
il mondo come
dovrebbe essere
e si chiedono:
perché no?”.

(G.B. Shaw, citato nel
Bilancio Sociale SABAF).

 

Che l’attenzione al sociale nella nostra società non sia solo un fenomeno passeggero lo si sosteneva in questa sede in altra occasione, soffermandosi sulla diffusione del bilancio sociale nel mondo bancario; dove, vuoi per l’assonanza di denominazione (il termine bilancio), vuoi per una consolidata attività di assecondamento di iniziative volte al sociale, questa attenzione ha trovato e sta trovando un terreno particolarmente fertile.
Peraltro, non si può dimenticare che le prime tipologie di bilancio sociale si sono manifestate nel mondo industriale, ove si è stabilito il nesso bilancio sociale-bilancio ambientale soprattutto per quelle imprese che, da un lato, potevano presentare aspetti rilevanti sotto il profilo dell’impatto ambientale, dall’altro si qualificavano proprio a causa di un marcato radicamento sul territorio quali protagonisti delle economie locali.
In questo senso suonano di conforto e testimonianza, ad esempio, le parole di Alessandro Malvaldi, direttore dello stabilimento Solvay di Rosignano in provincia di Livorno che, nell’accompagnare la presentazione del primo bilancio sociale e ambientale di quell’impresa, sottolinea come «questo strumento innovativo possa contribuire ad un rapporto sempre più fruttuoso e utile per convogliare gli sforzi di tutti verso una crescita armonica dell’intera collettività, rispettosa dei valori e delle esigenze di tutte le componenti sociali ed economiche presenti sul territorio». E non a caso, aggiunge Roberto Marziantonio presidente dell’Istituto per il Bilancio Sociale Europeo, in questo modo «Solvay accredita ufficialmente il suo percorso orientato a consolidare un rapporto sempre più armonico con la collettività, nella consapevole considerazione delle sue aspettative».

Un secondo recente esempio eccellente di attenzione al sociale nel mondo industriale è rappresentato da Sabaf che, presentando a Piazza Affari a Milano la seconda edizione del bilancio sociale, attraverso le parole del suo amministratore delegato, Angelo Bettinzoli, mette in evidenza come «i risultati raggiunti il primo anno con il bilancio sociale sono incoraggianti… saranno gli indicatori delle nostre prestazioni economiche sociali e ambientali che ci confermeranno la validità del percorso intrapreso». Ed è probabilmente non casuale che a fronte di questo impegno Sabaf abbia ricevuto la nomination dalla Giuria dell’Oscar di Bilancio e della Comunicazione Finanziaria 2002 per il Premio Speciale Bilancio della Sostenibilità Grandi Organizzazioni.

Un terzo esempio (e ultimo per ragioni di spazio) in questa rapida galleria dell’eccellenza riguarda TNT Express Italy, che con il proprio documento fa un primo resoconto di un percorso di gestione della responsabilità sociale con la specifica scelta strategica di considerare la qualità del dialogo con i portatori d’interesse come fattore cruciale di successo. Giuseppe Smeriglio, amministratore delegato di TNT, esprime così la sua convinzione: «valore e sostenibilità divengono binomio imprescindibile di fini e princìpi che devono guidare le strategie e i comportamenti di un’azienda protagonista sul mercato; la sfida per il futuro è contemperare armonicamente la grande diversità degli interessi».
Ma il salto di qualità forse decisivo in questa attenzione al sociale si sta verificando nell’area delle aziende pubbliche, degli enti locali e delle organizzazioni no-profit. Qualche esempio gioverà a meglio capire questa realtà in movimento.
Si prenda il caso dell’ACEA l’azienda distributrice di energia elettrica a Roma che ha fatto della recente presentazione del proprio bilancio sociale l’occasione per un momento di forte riflessione e risposta agli interrogativi su quale modello di governance adottare. Si parte così dalla definizione di responsabilità sociale che per ACEA equivale ad acquisire e mantenere un elevato livello di reputazione sociale. Affermazione che si traduce, ad esempio, nel progressivo adeguamento della corporate governance al Codice di Autodisciplina, nella migliore qualità dei servizi offerti, nella garanzia di continuità della comunicazione, nella sperimentazione di modelli di controllo di gestione che integrino gli aspetti sociali e ambientali.
Rientra in questo percorso di consapevolezza l’istituzione di un comitato etico che sovrintende la gestione e l’applicazione della Carta dei Valori Aziendali, promuovendo altresì la sensibilizzazione dei dirigenti e dei dipendenti sulle questioni etiche.

Passando dalle aziende pubbliche agli enti locali, sovviene l’esempio dell’Ente EUR SpA il cui nome connota un importante quartiere di Roma, ossia una concreta espressione urbanistica con tutte le problematiche connesse alla realtà dell’operare quotidiano. Ecco allora che seguendo le parole di Raffaele Ranucci, presidente di EUR SpA, la metodologia del bilancio sociale «propone e costringe a rendicontare quel che si è fatto per progredire, per crescere e per condividere».

Due esempi sufficienti ad illuminare l’importanza e la complessità del bilancio sociale sul versante degli enti pubblici. Su questo tema, al di là delle migliori intenzioni, la realtà dei fatti può essere colta, come è stato recentemente ben scritto da Marco Bertocchi e Luca Bisio attraverso quattro orientamenti di significato crescente nella scala dei valori:

a) l’orientamento alla mera rendicontazione, con lo scopo di valorizzare prevalentemente l’immagine esterna e, quindi, offrire un documento con finalità “elettorali”;
b) l’orientamento alla valutazione interna centrando l’attenzione sul processo di valutazione dei risultati, non identificando, peraltro, chiaramente gli stakeholders, né prevedendo momenti strutturati di confronto e di feed-back con loro;


c) l’orientamento alla comunicazione, dove alla focalizzazione sulle relazioni di scambio e di comunicazione con i diversi stakeholders fa da contraltare la carenza di investimenti adeguati nell’integrazione con i normali strumenti di pianificazione e controllo;


d) l’orientamento alla valutazione partecipata che, colmando la lacuna metodologica prima ricordata, realizza un documento chiaro e comprensibile, facilmente alimentabile, traendo le informazioni dagli strumenti di pianificazione e controllo, nonché attendibile e autorevole, perché scaturisce da documenti approvati in modo ufficiale.
E apriamo il capitolo delle organizzazioni no-profit. Qui l’impostazione generale del bilancio sociale, seguendo il modello IBS/GBS, che si muove attorno ai tre cardini dell’identità, del valore aggiunto e della relazione sociale, dovrebbe nelle valutazioni degli addetti ai lavori risultare facilmente applicabile. Anche se, come viene osservato nell’ultimo numero della rivista Social Dialogue, occorrono alcuni adattamenti. Innanzitutto, in tema di organizzazioni no-profit va ricordato che la responsabilità sociale coincide totalmente con la responsabilità gestionale; ne consegue che il bilancio sociale abbraccia la totalità delle relazioni con gli stakeholder e costituisce il “normale” modo di approccio da parte dell’ente nel gestire il rapporto con i propri interlocutori.
In secondo luogo, l’esigenza di offrire agli interlocutori un’informazione «più comprensibile ed estesa rispetto ai rendiconti finanziari» porta a far sì che il bilancio sociale sia più adeguato rispetto al bilancio contabile tradizionale nel fornire «una rappresentazione puntuale del raggiungimento dello scopo sociale istituzionale».
Un terzo punto che merita di essere sottolineato riguarda poi l’attivazione di un processo virtuoso di coinvolgimento partecipativo degli stakeholders nella gestione strategica e operativa dell’ente con conseguenze positive in termini di consenso raccolto e di accessibilità alle agevolazioni finanziarie previste.

Oltre a questi tre aspetti non possono essere sottaciuti quelli che mettono in evidenza come attraverso l’adozione del bilancio sociale l’ente no-profit sia facilitato nella gestione e nell’individuazione della responsabilità amministrativa, nonché sia agevolato nell’introduzione di elementi di contabilità ambientale, ponendo, in definitiva, in risalto gli obiettivi legati alla sostenibilità ambientale.

Anche in questo caso, come si vede, bene si percepisce lo sforzo ad uscire dalle fasi emozionali dell’attenzione al sociale per imboccare con decisione la strada della sistematicità. Ed è proprio nel continuare il nostro viaggio lungo questa direzione che si è confortati dalle conclusioni di una recente indagine condotta per conto di una banca, l’Unicredito, dove testualmente si afferma che «la Corporate Social Responsibility (CSR) non sia ancora compresa appieno in termini di importanza di potenzialità», ma che comunque «il fenomeno appare destinato a crescere e a influire sulle performance finanziarie». Parole da meditare, alle quali fa eco Roberto Marziantonio, che, partendo dalla presentazione del modello PROGRESS, processo di gestione responsabile per lo sviluppo sostenibile, lo qualifica come attuale punto di arrivo dell’affinamento del modello del bilancio sociale, portando quindi acqua al mulino della cultura d’impresa, la cui ricchezza e la cui complessità non possono che risultare accresciute dall’introduzione in essa dei valori del sociale e delle responsabilità connesse.
E qui il cerchio del nostro percorso almeno per ora si chiude, saldando i versanti tradizionali dell’impresa propriamente detta con quelli ancora in parte da esplorare e da approfondire di enti pubblici, enti locali, organizzazioni no-profit nel segno di un cammino in parte comune, ma comunque orientato verso un obiettivo condiviso di progresso consapevole e sostenibile.

   
   
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