Giugno 2003

SUD ALLA RIBALTA

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Aspettando la ripresa
S.B. - A.P.
 
 

Quel che occorre
a tutto il Sud sono interventi per la competitività,
a partire
dal recupero del gap
infrastrutturale.

 

La notizia è questa: nel 2002 le esportazioni italiane hanno registrato una diminuzione del 2,8% rispetto al 2001. Nel generale panorama negativo, tuttavia, alcune regioni hanno registrato performances positive: Lazio, Molise, Abruzzo. La prima ha registrato un +5%, la seconda +1,8%, la terza +1,4%. Il primato, comunque, spetta alla Basilicata, che ha segnato un +24,9%, grazie alle prime esportazioni di petrolio della Val d’Agri.
Il valore assoluto delle esportazioni lo scorso anno si è attestato a 265,2 miliardi di euro. Nel periodo ottobre-dicembre, precisa l’Istat, l’export delle regioni italiane ha avuto un incremento rispetto al trimestre precedente. In particolare, c’è stata una crescita del 3% nell’Italia meridionale e insulare, del 2,3% in quella del Nord-Est, dello 0,3% in quella del Nord-Ovest. L’Italia centrale ha registrato invece un calo dello 0,2%. Il viceministro delle Attività Produttive, Adolfo Urso, ha affermato che «esistono segnali di ottimismo che vanno evidenziati».

Altri commentatori hanno poi osservato che nel Sud ormai agiscono imprenditori di qualità, in grado di affrontare il mercato con la sola arma della loro capacità, i quali hanno trasformato una vecchia economia agricola in vera industria alimentare, edile, metalmeccanica, tecnologica, del legno, del cuoio, dell’abbigliamento… Se arriva la ripresa in Europa e in Italia, si azzarda, si possono mettere da parte i tamburi di guerra, per aprire una magnifica stagione.
Completano il quadro i dati negativi. Le peggiori performances fra le regioni del Nord-Ovest sono state realizzate dalla Liguria, con un -10,3% causato dalla flessione delle vendite all’estero di apparecchi meccanici, elettrici e di precisione. Male anche la Val d’Aosta (-6,1%), la Lombardia (-4,5%) e il Piemonte (-4%). La flessione della Lombardia, le cui esportazioni rappresentano ben il 28,2% del totale nazionale, è dovuta a una riduzione delle vendite in tutti i principali settori di attività economica, ad eccezione del comparto agroalimentare e dei prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali.
Nel Nord-Est la riduzione delle esportazioni si è concentrata in Friuli Venezia Giulia (-3,1%) e in Veneto (-2%), mentre nelle altre regioni non si sono registrate variazioni di rilievo. Il risultato negativo del Friuli è imputabile alla riduzione delle vendite di apparecchiature elettriche e di precisione e dei metalli e prodotti in metallo, mentre quello del Veneto è dovuto al calo dei prodotti metalmeccanici (esclusi i mezzi di trasporto), del cuoio e dei prodotti in cuoio.
Nell’Italia centrale, le performances delle regioni sono risultate alternanti: mentre l’Umbria ha registrato un buon +5%, Toscana e Marche hanno rispettivamente perso il 4,5% e lo 0,9%. Sul dato della Toscana ha pesato la marcata riduzione nei settori dell’industria tessile, dell’abbigliamento, del cuoio e dei prodotti in cuoio.
Per quel che riguarda il Mezzogiorno, le esportazioni sono scese in Campania con un -6,6%, in Puglia con un -6,4% e in Calabria con un -3,7%.

Segnali che vanno presi in considerazione, dunque, per quei versanti positivi che vanno emergendo e che potrebbero registrare cifre più consistenti nel futuro. E’ questo che ha fatto dire ad alcuni osservatori che a far da traino alle direttrici dell’esportazione a fine anno è stato il Sud, e non il Centro-Nord, anche se le distanze del Mezzogiorno con il resto dell’Italia e soprattutto con l’Europa restano ancora pressoché siderali. Immagine, questa, che sembra essere del tutto uguale a quella degli anni passati, ma che questa volta ha almeno un’importante novità: sono cambiati i protagonisti. L’aspetto nuovo è il ruolo delle Regioni, che hanno un impatto sempre più visibile e una presenza operativa decisiva. Gli incentivi, ad esempio, a cominciare dalla legge 488, si stanno spostando rapidamente sulle priorità territoriali o settoriali manifestate proprio dagli enti regionali. Altrettanto si verifica sul fronte infrastrutturale, su cui le competenze delle Regioni, fortemente sostenute dall’Unione europea, sono diventate determinanti. Basti pensare che, diversamente da quel che avveniva in passato, il nuovo Quadro comunitario di sostegno per il Sud 2000-2006 (circa 51 miliardi di euro tra risorse nazionali e comunitarie) assegna alle Regioni oltre il 70% dei fondi complessivi.
Sotto questo profilo, c’è da chiedersi se le Regioni meridionali siano all’altezza del compito loro affidato. Da quanto sta emergendo, sembra evidente che parlare del Sud come di una realtà unica, uniforme, è ormai fuorviante. Puglia, Basilicata e Campania stanno dando ampia dimostrazione di saper utilizzare proficuamente le nuove competenze. Il Quadro comunitario di sostegno è senza alcun dubbio un’utile cartina di tornasole, perché, al di là della celerità di spesa dimostrata, il nuovo programma cofinanziato da Bruxelles impone anche una capacità di programmazione degli obiettivi. Programmazione che, soprattutto per le grandi opere, richiede necessariamente un coordinamento e una coerenza tra interventi regionali e nazionali. E’ evidente, pertanto, che la maggiore efficienza (ed efficacia) delle Regioni e della stessa amministrazione centrale rappresenta una delle condizioni necessarie al rilancio del Sud. Più volte, e da più fonti istituzionali, abbiamo sentito dire che il Mezzogiorno rappresenta “la priorità”. A questa affermazione devono corrispondere ora scelte coerenti, risposte legittimamente attese per superare l’emergenza di quei territori in ritardo storico sia sotto il profilo economico che sociale.
Con una premessa fondamentale da tener presente: l’attuale politica di agevolazioni per il Mezzogiorno ha soltanto un carattere compensativo. Quel che occorre a tutto il Sud sono interventi per la competitività, a partire dal recupero del gap infrastrutturale. In caso contrario, continueremo ad assistere all’attribuzione di incentivi che una volta esauriti determineranno fughe e perdita di posti di lavoro, peraltro pagati a caro prezzo dallo Stato.

Gli ultimi dati sulla crescita confermano che, sia pure debolmente, diminuisce il divario Nord-Sud. Nel 2002 il Prodotto interno lordo è cresciuto in Italia dello 0,4%, ma il dato disaggregato ci conferma che al Centro-Nord l’aumento è stato solo dello 0,2%, mentre il Mezzogiorno ha raggiunto lo 0,8%. E’ più che mai evidente che l’attuale congiuntura negativa rende questo risultato poco significativo in valori assoluti, ma è pur sempre un segnale da non sottovalutare, in attesa che parta la ripresa dell’intera economia. E questa ripresa può rimettersi in moto puntando sulla competitività dei territori, spinta anche dai fondi strutturali. Il che significa che il problema non sono le risorse (le disponibilità per il Mezzogiorno sono ingenti), ma l’uso che ne sarà complessivamente fatto perché esse, da medicina compensativa, si trasformino in medicina risolutiva. La parola spetta alle Regioni.

   
   
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