Lo hanno definito, mentre spirava
furibondo durante la guerra, lo scialle di Allah, quasi
fosse
uno sterminato
tappeto volante
disteso da Dio
a protezione
dellIraq.
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Si usciva da Mosul, in direzione nord, per raggiungere Ninive,
e in direzione sud per entrare a Nimrud. Si andava a Ctesifonte
da Baghdad, e a Babilonia da Hilla. Si lasciava alle spalle al-Diwaniyya
per valicare le mura di Nippur, e Nasiriyya per incantarsi fra le
rovine della mitica Ur. Da Mosul a Kirkuk era la terra degli Assiri,
al centro-sud avevano dominato i Sumeri e i Babilonesi, nel cuore
di palme tra Tigri ed Eufrate che aveva preso il nome di Mesopotamia.
In alto, il sigillo del Deserto Siriaco, in basso quello del Deserto
Arabico con una sua Finisterre ad al-Fau, spiraglio aperto sullimbuto
blu del Golfo Persico. Al centro, palmizi e campi a risaie fin dove
potevano scrutare gli occhi. Divise le sorgenti dei due fiumi, che
nascono nel Kurdistan turco, scendono vagamente paralleli lungo
il Kurdistan iracheno, e unendosi nella provincia di Bassora simpaludano,
cambiano nome in Shatt al-Arab, e sfociano a delta fra isole erratiche
e mobili sabbie di silice.
Era (lo è ancora?) il mio Iraq. Mosul, che galleggia sul
petrolio, è una vasta pianura di cotone: stoffe pregiate
(le mussoline) e bronzi, ciuffi di carrubi di querce di pistacchi,
e odore di spezie colorate. Fu antico centro cristiano, preso dagli
Arabi nel 641. Passato agli Ottomani, è sede vescovile caldea.
I nestoriani del distretto del nord furono massacrati dai musulmani
nel 1933. Con Kirkuk, che è nel luogo dellantica Arrapkha,
polis delle tavole in caratteri cuneiformi, redatte in babilonese,
di contenuto giuridico, è la maggiore riserva mondiale di
greggio. Dirimpettaia, sulla riva sinistra del Tigri, la regale
Ninive, abitata già in epoca preistorica. Legata al culto
assiro della dea Isthar, fu identificata nellOttocento dallesploratore
Carsten Niebur e in parte riportata alla luce dallitalo-francese
Paul Emile Botta: mura, palazzi, sistemi di canali irrigui, bronzi,
mirabili rilievi con banchetti e scene di caccia e di guerra, e
24 mila tavolette cuneiformi della celebre biblioteca di Assurbanipal.
Nippur, la sumera Nibru, a lungo centro religioso e culturale della
Mesopotamia, città intersecata dallEufrate, ebbe nel
tempio di Enlil, baricentro del tessuto urbano, ai piedi di una
ziggurat, il prototipo delle costruzioni templari per due millenni:
pianta quadrata, due cortili cintati da mura merlate, con gli altari
dedicati ai numi tutelari, lambiente sacro vero e proprio.
Emersi qui testi sumerici e babilonesi, 50 mila tavolette con frammenti
di due codici, con gli esercizi degli allievi del tempio, con prescrizioni
farmacologiche, con inni religiosi, con larchivio commerciale
dellebreo Murashu. Imponente la necropoli.
Fertile di cereali e di datteri, Babilonia, città che ebbe
24 viali che precorsero i boulevards, 54 templi, 600 cappelle, canali
irrigui collegati con lEufrate, due bastioni, con mura alla
base di un fossato, con sette piloni che testimoniano la presenza
di un ponte sul fiume, con i giardini pensili ancora non localizzati,
con una ziggurat di 90 metri che nel Medioevo si riteneva fosse
la Torre di Babele, con un centro daffari che include un grande
edificio, al quale forse alludeva Erodoto quando parlava di una
costruzione a quattro piani, e, appena fuori città, un colossale
leone. Questa grande prostituta, come fu definita dalla
Bibbia, fu prediletta da Alessandro Magno il quale, conquistatala,
ordinò che non fosse rasa al suolo, ma lasciata intatta,
settima meraviglia del mondo, e favolosa capitale del suo impero
orientale.
E poi Uruk, odierna Warka, con resti archeologici che si estendono
per cinque chilometri, con 18 livelli arcaici, doppia cinta muraria
di 10 chilometri, con allinterno grandi pilastri, poi trasformati
in torri semicircolari, con tre zone sacre, due ziggurat e il celebre
Tempio bianco. E Karbala, una delle città sante
degli Sciiti, come al-Kazimain. E Bassora, seconda città
irachena, kurda e caldea, a ridosso del gran delta che avanza di
tre chilometri al secolo, incuneando lingue di terra nel mare e
ampliando la più vasta oasi di palme da datteri del pianeta.
E infine Ur. Ur dei Caldei che oggi si chiama al-Muqayyar. Fu patria
di Abramo, padre dei tre monoteismi. Città santa per tutti.
Città leggendaria per le memorie bibliche. Città misteriosa
e intrigante per gli archeologi. Gli scavi profondi che raccontano
la preistoria includono uno strato di fango alluvionale, interpretato
come prova di un diluvio locale, scatenato dal Tigri, allorigine
del mito del diluvio sumerico poi trasmesso dalla Bibbia. Ziggurat,
templi, palazzi e case private già del terzo millennio a.C.,
con vie strette e tortuose, con edifici di mattoni crudi, a due
piani, senza finestre, con cortile interno sul quale si aprivano
le stanze: al primo piano, un ambiente per il ricevimento, la cucina
e le stanze della servitù; la famiglia abitava il piano superiore;
le sepolture avvenivano nel cortile di casa. Fra le 1.850 tombe
della vera e propria necropoli, 16 sono particolarmente ricche di
corredi di vasellame, di armi, di ornamenti doro, di oggetti
e strumenti musicali incrostati di pietre preziose, con evidenti
tracce di riti con sacrifici umani: da tre a settantaquattro persone
erano state immolate per accompagnare nellaldilà nobili
defunti. E ancora, lo Stendardo di Ur, un monumento
sumerico decorato a intarsio, due pannelli rettangolari e due laterali
a trapezio, con decorazioni ottenute con conchiglie, e con pezzi
di calcare rosso su un fondo di lapislazzuli uniti su un letto di
bitume, lo stesso bitume che, al termine di un viale di Babilonia,
ci dà la prima strada asfaltata della storia umana. Guerra
e pace rappresentate dai pannelli rettangolari; uomini e animali
mitologici da quelli laterali. Lo Stendardo è visibile al
British Museum, inutilmente reclamato da Baghdad.

Un ingresso piuttosto angusto, niente recinto esterno, ambienti
interni necessariamente immensi e precariamente illuminati, prima
della recente ristrutturazione: nulla lasciava presagire quali stupendi
tesori contenesse il museo di Baghdad, malauguratamente adiacente
a una delle maggiori centrali elettriche della città e a
meno di 700 metri dal ministero degli Esteri, subito centrato dai
cosiddetti missili intelligenti.
Quei tesori datano dal 7000 a.C. al 1000 d.C., e testimoniano gli
sviluppi delle civiltà di Uruk, sumera, assira, babilonese,
persiana, protoislamica. In alcuni testi che sono custoditi nelle
teche blindate sono raccontate le avventure di Gilgamesh, figura
che ispirò il Noè biblico. Altri rivelano le conquiste
matematiche, descrivendo il teorema di Pitagora quindici
secoli prima della nascita del filosofo greco, e linvenzione
dellalfabeto, la progettazione delle città, i progressi
dellastronomia, della medicina, della giurisprudenza, della
botanica, dellirrigazione
Due guerre regionali (contro i Kurdi, contro gli Iraniani) e due
guerre del Golfo, con archeologi che hanno fatto anche da scudi
umani. Quante rovine ridotte in macerie? Alla periferia della capitale,
proprio a Ctesifonte, cera il più grande arco in mattone
sospeso, del IV secolo d.C.: è stato risparmiato? A Mosul
hanno subìto danni quella dozzina di chiese più antiche
del mondo, che appartengono al VII e allVIII secolo d.C.,
insieme con lequivalente iracheno della Torre di Pisa, un
meraviglioso minareto pendente, del XII secolo, sensibile ai minimi
spostamenti daria? Il possente leone di basalto nero della
Babilonia, simbolo di Isthar, è rimasto indenne? A Ninive,
dove predicò il profeta Giona, dopo che nella guerra del
91 vennero trafugate le splendide statue che ornavano i palazzi
reali, è stato distrutto o depredato altro? A Karbala, dove
sempre in quella guerra i cannoni di Saddam Hussein rasero al suolo
la bellissima moschea, patrimonio Unesco, che cosaltro è
finito in macerie? E in piedi il bellissimo tempio romano-ellenistico
di Agrab? E la ziggurat di Baghdad, anchessa ritenuta Torre
di Babele? Le mura babilonesi avevano mattoni stampigliati 25 secoli
fa da Nabucodonosor. Nel 1980 quelle mura furono restaurate da Saddam,
il quale, spacciandosi per discendente del grande sovrano, volle
stampigliare anchegli i mattoni necessari alla ricostruzione
dei bastioni e delle piazze in cui gli assiri ammucchiavano le teste
degli abitanti delle città cinte dassedio e conquistate
(il re veniva scorticato vivo, la sua pelle inchiodata alle mura):
che danni ci sono stati? E a Baghdad, ancora, le magnifiche sedi
arcivescovili di rito latino, armeno, siriaco e caldeo, e la splendida
sede del califfato abbaside, e il centro del commercio carovaniero
già per due volte distrutto dal Tamerlano, e sempre rimesso
su, e la moschea centrale, che fine hanno fatto?
Dopo Italia e Grecia, lIraq è il terzo Paese al mondo
per ricchezze archeologiche. Quindicimila siti sono stati riportati
alla luce, ma sottoterra ce ne sono da 10 a 100 mila. E una
regione disseminata da tesori sepolti, e ogni devastazione, ogni
saccheggio può modificare le conoscenze che abbiamo sulla
storia dellumanità. Ogni sito distrutto è un
prezioso tassello in meno. Ogni documento perduto è un incolmabile
spazio vuoto. E pensare che proprio qui, 5500 anni fa, con linvenzione
della scrittura, la tradizione orale lasciò il posto a quella
scritta, cioè alla storia. E qui, con lintroduzione
del concetto dello zero, si misero le basi del pensiero razionale
moderno!
I tell corrugano piedi di montagne, pianure e deserti,
e sono colline irregolari con peluria di sterpi bassi e torvi. E
lì che si deve cercare riparo, negli anfratti dei loro dorsi
possenti, quando, improvvisamente trascolorando, e poi illividendo,
il cielo preannuncia una tempesta di sabbia. Quello che subito dopo,
carico degli umori del Golfo Persico, sale per il varco di Bassora
e dilaga dal Deserto Arabico allestremo Nord, è un
vento maligno, di raffiche staffilanti e lunghe, alternate ad altre
brevi e vorticose. Lo chiamano kaus, questo turbinio scomposto che
disfa dune, spiana gibbe, scopre e ricompone avvallamenti, impasta
di sabbia uomini e case, ammacca palmizi, può durare una
settimana e muta i paesaggi. Come ogni lavacro secco, si lascia
dietro molte ferite e qualche devastazione. Combatterlo è
pressoché inutile. Resistergli è possibile, come da
millenni, con abili accorgimenti. Lo conoscono meglio di chiunque
i carovanieri iracheni che percorrono le piste per Amman, per Damasco,
per Aleppo, o, sul versante meridionale, per le città sante
della Mecca e della Medina. Al suo sopraggiungere, costoro sanno
soppesarne lintensità, pronosticare la durata, indovinare
i giochi velenosi. E non dimenticano che possono respirare soltanto
voltandogli le spalle.
Lo hanno definito, mentre spirava furibondo durante la guerra,
lo scialle di Allah, quasi fosse una sorta di gigantesca
keffiah, uno sterminato tappeto volante disteso da Dio a protezione
dellIraq. Tanto ha potuto la fede, da ritenere il diluvio
del kaus un benevolo segnale divino. Un invito agli infedeli a girare
le spalle, ad abbandonare Bab-ili, la casa divina, appunto, la terra
che era stata matrice di civiltà per quei figli che in seguito
lavevano stravolta, e adesso le si rivoltavano contro, con
lalibi di un incidente della storia, il despota Saddam: un
granello di sabbia che il divino kaus avrebbe annullato nelle profondità
insondabili del tempo che è breve e infinito, che dunque
non esiste, non ha scansioni, non conosce distanze cicli spazi.
Avrà risepolto rovine di rovine, quel kaus? Macerie di macerie?
Oltre alle vite umane, avrà annientato anche alabastri e
mattoni, marmi, terrecotte, papiri, metalli preziosi?
Dentro il museo di Baghdad si cammina a lungo tra due file di sfingi
imponenti-enigmatiche. Alte su alti basamenti, lasciano sgomenti,
perché non guardano luomo, non lo vedono forse neanche,
hanno gli occhi fissi su un punto remoto, su un orizzonte imperscrutabile,
verso una linea polare incognita, misteriosa e sfuggente come tutto
ciò che è dellOriente: probabilmente verso una
costellazione aurorale triangolata nel suo viaggio da chissà
quando e per chissà dove. E fra queste dèe arcane
che germinò la nostra scienza, con la forza della ragione
e con la linfa del dubbio, con le domande superate dalla conoscenza,
con la speculazione che genera pensiero, con i dilemmi che ci riportano
nei recinti della nostra imperfezione.
Percorsi tanti giacimenti archeologici iracheni, proprio lì,
nel museo affollato da quei volti ermetici, mi chiedevo se saremmo
stati altri, e più soli, senza larte; se larte
non sia il messaggio delle vite che svaniscono alla vita che continua;
se la nostra inclinazione allarte non manifesti la ricerca
di unarmonia che ci orchestri in qualche modo con gli orditi
delluniverso
Il sole stava morendo tra le dune occidentali, mentre si incrociavano
il grido del muezzin e i preavvisi metallici del coprifuoco. Trenta
minuti per rintanarsi. Una corsa al ritmo del tempo dellOvest:
la velocità che accorcia le distanze. Spatolato di rosso,
il Tigri dissolveva e raggrumava laculeo di un minareto. Tra
le case, un acre odore di montone speziato e i passi cadenzati delle
ronde in armi. Scendeva una notte come una e mille altre, nella
città dei favolosi Califfi. Domani avremmo rifatto la conta:
sacca con pochi indumenti, viveri essenziali, bustine con cloruro
di sodio, capsule disinfettanti e antibiotiche; la ghirba e la maschera
antigas; la biro e il taccuino. Sullo Shatt al-Arab si moriva in
iracheno e in iraniano. La chiamavamo arte anche quella. Della guerra.
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