Mi vorticavano
nella testa le parole di Capalò:
ho sentito che tuo figlio lhanno visto con gli zingari fuori
dalle mura.
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Lo avrei portato al circo quella sera, come una volta, come unaltra
sera, lo avrei portato al circo quella sera che nevicava come unaltra
sera che nevicava quando andammo al circo mentre nevicava come se
fosse farina, nevicava, e lui stringeva gli occhi per gli acrobati
che saltavano nel vuoto e io gli sfregavo la schiena con la mano
per riscaldarlo, per rassicurarlo, perché aveva paura dei
salti dentro il vuoto e fuori nevicava e nevicava.
Non lo vedo più. Adesso sono vecchio. Gli anni non li conto.
Non mimporta. Sarà invecchiato anche lui ormai. Ho
smesso di aspettarlo. Non immagino nemmeno come sia, adesso. Ce
lho negli occhi il mattino chè partito, ce lho
negli occhi quando nevicava, quella sera che lo portai al circo
mentre nevicava.
Questo di lui ho negli occhi.
Poi ho scordato. Tutto il resto ormai lho scordato.
Ora vorrei scordare anche quel mattino. Vorrei scordare anche quella
sera.
Mai avrei voluto rivederlo unaltra volta, parlargli unaltra
volta sola, almeno, chiedergli come stai, almeno, sentire unaltra
volta la sua voce, avrei voluto che mi dicesse ancora dormi, non
ritorno tardi questa sera, mi diceva non torno tardi quando usciva
e non finiva di baciare mai sua madre, mai finiva di baciarla quando
usciva.
Non riesco a capire perché non è tornato. Perché
non è tornato non lo so capire.
Da una guerra si deve ritornare. Se non si muore si deve ritornare.
A casa. A quella che hai lasciato. A quello che cera prima
della guerra. A quello che avevi prima di partire. Se non si muore
si deve ritornare. A casa. E lui non è morto. Lo so. Tutti
lo sanno. Lo dicevano tutti quelli che tornavano che lui non era
morto.
Non riesco a capire perché non è tornato. A casa.
Non lo aspetto più, ormai. Ma certe sere, certe sere dal
fondo della strada, certe sere quando è già imbrunito,
certe sere mi sembra di vederlo che ritorna dal fondo della strada,
e mi sembra che mi rassomigli, adesso, quando lo vedo che torna
dalla strada, stanco, sudato, mi sembra di vederlo che ritorna dal
fondo della strada quando è già imbrunito, mi sembra
di vederlo.
Tutte le volte mi distrae una volpe che passa da un ciglio allaltro
della strada.
Mi chiedo da che parte avrà la tana, se qualcuno laspetta
nella tana.
Sta tornando linverno. Un altro inverno. Bisogna spostare
la legna, metterla al riparo. Fra qualche giorno forse arriverà
la pioggia. Arriverà la pioggia che non la stai aspettando,
senza che sannunci con un tuono. Bisogna mettere la legna
al riparo.
Sono stato tutto questo tempo senza parlare mai di lui, a nessuno.
E nessuno mi ha chiesto mai di lui.
Per un po sono corse tante voci. Sono corse tante voci strane.
Poi lentamente sono svaporate. Si sa comè quando corrono
le voci.
Ora nessuno parla più. Però sono corse tante voci.
Una sera, un anno fa o dieci non ricordo, Capalò mi disse:
Laerte, ho sentito che tuo figlio lhanno visto con gli zingari
fuori dalle mura.
Disse così, senza alzare gli occhi dalle carte.
Nemmeno Ermete e Imerio alzarono gli occhi dalle carte.
Nemmeno io alzai gli occhi dalle carte.
Da casa uscivo poco. Provavo come un senso di vergogna a farmi vedere
nel paese. Non mi apparteneva più niente del paese. La gente,
le strade, gli angoli, la piazza, non mi appartenevano più.
Non mi apparteneva niente.
Non so perché uscii quella sera, non so perché tornai
dentro quel bar.
Forse per unabitudine, per uno scarto del pensiero che mi
riportò indietro, senza cognizione.
Vidi linsegna da lontano, illuminata a metà. Dentro
era tutto come ricordavo, come se non fosse accaduto niente, come
se la guerra non fosse mai passata, di là. Mi salutarono
come se mancassi solo da una sera.
Mi sedetti al tavolo con Imerio, Ermete, Capalò, come se
non fosse accaduto niente, come se non fosse passata una guerra
di là.
Quando Capalò mi disse così, nessuno alzò gli
occhi dalle carte. Mi sentii una debolezza nelle gambe, un sudore
freddo colarmi per la schiena.
Andammo via dal bar allora che si andava via dal bar. Come
se non fosse accaduto niente. Si andava via sempre in due o tre,
secondo la direzione delle nostre case.
Io quella sera mincamminai verso le mura, solo. Con calma.
Lentamente.
Cominciava a scendere quella nebbia leggera di novembre.
Alle mura non cerano più le sentinelle. La guerra era
finita. Molti erano morti. Molti erano tornati. Perché se
non si muore da una guerra si ritorna.
Lui non era morto e non era ritornato.
Mi vorticavano nella testa le parole di Capalò: ho sentito
che tuo figlio lhanno visto con gli zingari fuori dalle mura.
Non avevo ansia. Anzi, sentivo dentro me una tranquillità
dindifferenza.
Alla luce giallastra delle lampade appese alle roulotte non mi
accorsi da dove uscì quelluomo che andò a legare
il sacco della biada al collo del cavallo.
Mi avvicinai e gli chiesi se tra di loro ci fosse uno forestiero.
Mi guardò in silenzio, a lungo, oppure sembrò a me
che fosse lungo il tempo che luomo mi guardò.
Pensai che non avesse capito la domanda, pensai che non conoscesse
la mia lingua.
Dissi: vorrei sapere se fra di voi cè uno forestiero.
Disse: tutti noi che siamo qui siamo forestieri.
Dissi: uno che è di qui, che è di queste parti.
Disse: siamo di queste parti tutti noi, anche di queste parti.
Dissi: uno che ha fatto la guerra e che non è tornato.
Disse: nessuno di noi è mai ritornato.
Dissi: vorrei sapere se fra di voi cè uno forestiero.
Mi guardò in silenzio, a lungo, oppure sembrò a me
che fosse lungo il tempo che luomo mi guardò.
Mi rodevano il cervello le parole di Capalò: ho sentito che
tuo figlio lhanno visto con gli zingari fuori dalle mura.
Non lo aspettavo più da molto tempo.
Accade a un certo punto che non si aspetti più.
Non che uno si stanchi, che uno si sconsoli, che perda la speranza,
lillusione.
Accade che non si aspetti più. Basta. Forse senza nemmeno
una ragione.
A me accadde allimprovviso. Così. Come se non avessi
mai aspettato.
Allimprovviso, così, dal fondo della strada non arriva
più nessuno, allimprovviso, così, non pensi
più che possa arrivare qualcuno.
A volte tinfastidisce anche ricordare che un tempo hai aspettato,
e in qualche confusione della mente non ricordi nemmeno più
chi hai aspettato, e perché dovesse ritornare chi aspettavi,
e da dove dovesse ritornare chi aspettavi.
A un certo punto ho smesso di aspettare, allimprovviso, così,
cominciai a rendermi conto che le sere passavano più in fretta,
che erano più serene le mattine, linsonnia mi diede
un po di tregua, ricominciai a dormire senza soprassalti,
no, non che non mi svegliassi, ma non avevo più quel batticuore
che mi soffocava, che mi costringeva a uscire nel giardino, ad appoggiarmi
al tronco del mandorlo aspettando che langoscia si sperdesse
nella notte.
A un certo punto ho smesso di aspettare.
Chi non era morto era già tornato.
Non mi rispose sì, non mi rispose no, quella sera lo zingaro
fuori dalle mura.
Per la strada verso casa andavo a passi svelti, cera odore
di oleandri, non nevicava più, da lontano mi arrivava la
musica del circo, lo tenevo per la mano, non aveva più paura,
ma il suo cappotto era più corto, i suoi capelli erano bianchi,
ora la guerra era finita, si poteva ritornare, adesso torno presto,
tornerò ogni sera presto mi diceva e io correvo, io correvo
verso casa, nessuno mi aspettava, nessuno lo aspettava, ma io correvo
verso casa, lui correva verso casa.
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