Giugno 2003

LE MELODIE DI NINO ROTA

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L’amico angelico
di Fellini
Sergio Bello
 
 

“Nino è un amico angelico fatto di musica, assistito dall’angelo della musica che gli sta sempre accanto, e attorno, con delle grandi ali”.

 

«La musica entra nei miei film con i dischi mentre giro – raccontava Federico il Grande –. La musica può condizionare una scena, darle un ritmo, far mutare atteggiamento a un personaggio, suggerire una soluzione diversa. I miei assistenti, che lo sanno, fanno a gara per arrivare sul set con dischi antichi, oppure molto recenti… Ovviamente, che succede? Che quando ho finito di girare il film, mi affeziono a quella colonna sonora e non vorrei più cambiarla. Nino mi dà subito ragione, dice che i motivi con i quali ho girato sono bellissimi (anche se si tratta della più zuccherosa e sgangherata canzonetta). “E’ proprio quel che ci voleva”, dice, “io non riuscirei a fare meglio”. Dice proprio così, e intanto giocherella con le dita sul pianoforte. Che cosa è questo? – domando io dopo un po’ – Che cosa suonavi? “Quando?”, dice Nino con aria distratta. Adesso – insisto io – mentre parlavi hai suonato qualcosa. “Ah, sì?”, dice Nino. “Non so, non mi ricordo più”. E continua come per caso a carezzare i tasti qua e là, e mi sorride con l’aria di volermi tranquillizzare, non devo aver rimorsi o scrupoli, i dischi scelti sono davvero molto belli. E intanto continua a giocherellare col pianoforte. Nascono in questo modo i motivi dei film che mi conquistano subito, e mi fanno dimenticare le suggestioni delle vecchie canzonette utilizzate durante le riprese».
La musica di Nino Rota nasceva esattamente come Federico Fellini racconta: seducente al naturale, conquistatrice senza sforzo apparente. Piccolo compositore prodigio, che a otto anni riempiva i bauli di musica, e che sempre fanciullo rimase, puro, pulito, “inattuale” per tutta la sua carriera. Aveva cominciato a scrivere colonne sonore già nel 1942, e per Fellini le compose quasi tutte, per Lo sceicco bianco, per Prova d’orchestra, per La dolce vita, per Otto e mezzo; senza dimenticare quelle per Il Gattopardo, di Visconti, per Il Padrino, di Coppola, e per Zeffirelli, e per la Wertmüller…


Eppure, Nino Rota era compositore completo come pochi. Nato in una famiglia di musicisti, allievo di Pizzetti e di Casella, diplomato a Santa Cecilia, dal 1930 al 1932 aveva studiato al Curtis Institute di Filadelfia e frequentato i corsi di direzione d’orchestra di Fritz Reiner. Laureato in Lettere a Milano, dal 1937 aveva cominciato a insegnare. Dal 1950 era diventato direttore del Conservatorio di Bari, e Riccardo Muti se lo ricorda molto bene, con riconoscenza, tanto da dedicargli più volte la sua attenzione di interprete.
Era stato precocissimo compositore. A soli undici anni aveva creato l’oratorio L’infanzia di San Giovanni Battista. E aveva proseguito con una vasta produzione, essenzialmente estranea a qualunque esperienza dell’avanguardia contemporanea, essendo intrisa dell’eleganza della tradizione operistica e strumentale italiana del Sette-Ottocento, ricca di fantasia, di inventiva, di una linearità di strutture armoniche che si rivestivano di una stupenda vena melodica, di un rassicurante piacere del linguaggio, di un impareggiabile stile plastico.
Tra le composizioni più significative, vanno citate la farsa musicale Il cappello di paglia di Firenze (1955), e l’opera buffa La notte di un nevrastenico (Premio Italia 1959); in campo sinfonico, il Concerto per arpa e orchestra (1948), Variazioni sopra un tema gioviale (1953), Concerto per orchestra (1958), e la cantata Mysterium catholicum (1962). Il Concerto per pianoforte e orchestra in Do è del 1949-’50, gli anni de Lo sceicco bianco, mentre il Concerto in Mi è un salto accanto a Prova d’orchestra (1978), ultime splendide composizioni, prima della scomparsa modesta e silenziosa, come sempre, di questo versatile autore. L’immediatezza, la felicità dell’ispirazione, la capacità di raccontare con i mezzi puri della musica, fluiscono da una meravigliosa fantasia “per immagini”: se un compositore giovane, se un musicista neoromantico di oggi avesse il suo dono melodico, il suo senso dell’armonia, la sua facilità (apparente) di scrittura, farebbe immediatamente parlare di sé. Ma «ai suoi tempi» l’avanguardia dominava la scena, e pertanto Rota fu costretto a vivere all’ombra del grande schermo. Cosa del resto nobile, oltre che redditizia, di cui molti soprattutto ai nostri tempi vanno fieri, pur essendo palesemente meno dotati di lui.
Si è parlato, a proposito della sua arte, di musica sorgiva, diretta, espressa con autentico amore, di doti che sintetizzavano sapere e levità, in un melange di cui è capace soltanto chi possiede la scintilla, il pregio dell’illuminazione, il genio insuperabile dell’ispirazione, dello stupore, dell’incanto. Perché, come diceva ancora Federico Fellini, «Nino è un amico angelico fatto di musica, assistito dall’angelo della musica che gli sta sempre accanto, e attorno, con delle grandi ali».

   
   
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