La tanto
conclamata tesi
dellAmerica
figlia di Marte e dellEuropa figlia
di Venere, idealista perché debole,
è poco più che una battuta ad effetto.
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«Abbiamo bisogno dellEuropa per salvarci da noi stessi»:
è quanto ha scritto Harold Meyerson in The U.S.-Europe
Schism, rendendo bene la preoccupazione degli intellettuali
liberal americani per il distacco («il divorzio») che
si sta verificando tra America e Vecchio Continente. Ben visibile
nei contrasti politici tra Amministrazione Bush jr. e importanti
Paesi europei, oltre che nelle opinioni pubbliche occidentali, il
distacco ha ora una sua base teorica che sta suscitando un articolato
dibattito.
Lideologo della separazione è Robert Kagan, autore
di Of Paradise and Power: America and Europe in the New World
Order, che è diventato il testo sacro degli ambienti
diplomatici e politici repubblicani e lobiettivo polemico
dei democratici. La tesi è molto semplice: il contrasto fra
Stati Uniti ed Europa non ha radici filosofiche e culturali (non
è quindi uno scontro di civiltà), ma dipende dal fatto
che gli Usa sono un gigante militare, mentre lEuropa è
un pigmeo. La differenza di potenza determina una diversa percezione
dei nemici della libertà: mentre gli Stati Uniti vedono bene
la natura del pericolo e sono pronti ad usare lunica arma
possibile, quella della forza militare, i deboli europei si illudono
di poter fermare i nemici della libertà con i patteggiamenti,
con i negoziati, con la diplomazia e con le leggi internazionali.
Da ciò discendono due contrasti. Il primo fra unEuropa
prigioniera dellutopia kantiana della pace perpetua, dedita
ai commerci, al dialogo e alle relazioni negoziali nel pacifico
giardino dellUnione, e gli Stati Uniti, che si confrontano
con il duro mondo hobbesiano della guerra di tutti contro tutti
che domina lo scenario delle relazioni internazionali. Amor di verità
e di giustizia suggerisce invece, a giudizio di Kagan, che gli europei
accettino quel ruolo subordinato agli Usa che la loro debolezza
impone. Soltanto così il divorzio potrà essere ricomposto
e si aprirà una nuova fase di cooperazione fruttuosa per
gli uni e per gli altri.
Ovvie e immediate le critiche: se il distacco o divorzio nasce
dallenorme differenza di potenziale militare, come si spiega
lidentità di intenti fra Europa e Stati Uniti durante
i decenni della guerra fredda, quando il divario militare era forse
ancora maggiore? Ed è poi credibile limmagine dei francesi
diventati teneri pacifisti? E infine, non sono stati proprio gli
Usa a dare impulso alle istituzioni internazionali e alla Dichiarazione
dei diritti delluomo che vieta luso unilaterale
della forza militare? I deboli europei, tuonano altri
democratici di ferro, si sono battuti con onore e hanno pagato alti
costi di vite umane in tutte le operazioni di pace dirette dallOnu.
Gli europei, esausti dopo millenni di guerre civili, non amano più
la guerra, questo è vero, ma non sono né pacifisti
né fiacchi. E Washington con le sue recenti scelte
a violare princìpi del diritto internazionale che non sono
affatto europei ma patrimonio del mondo e dellumanità.
Tuttavia, anche i più filoeuropei degli intellettuali americani
pongono a noi europei una domanda alla quale si può rispondere
soltanto ammettendo che abbiamo torto: perché, se proclamate
il vostro ripudio della guerra e dellolocausto, non avete
fatto niente per fermare i massacri in Bosnia e la pulizia etnica
in Kosovo? La vostra posizione è incoerente: da una parte
odiate la violenza, dallaltra permettete che criminali travestiti
da uomini di Stato massacrino innocenti; anzi, pur sapendo quel
che stanno facendo, continuate a intrecciare rapporti daffari
con loro.
Di fronte a Saddam Hussein, sostengono altri, lunica alternativa
credibile alla guerra su larga scala era il piano elaborato dal
consigliere del presidente Clinton, Morton Halperin, volto ad estendere
a tutto lIraq il divieto di volo agli aerei militari; rendere
più serie le ispezioni, togliendo di mezzo il ridicolo limite
di dare agli iracheni un preavviso di 48 ore e dicendo loro che
se avessero impedito agli ispettori laccesso a qualche edificio
dopo poche ore sarebbe entrata in azione larma aerea per distruggerlo;
dare forza agli ispettori con la minaccia permanente di guerra.
«Ma voi europei non eravate disposti a fare la vostra parte
in uno sforzo complesso, costoso e pericoloso come questo: prova
ne sia che i francesi, quegli stessi che hanno accusato gli Stati
Uniti, si erano ben presto defilati dai voli di ricognizione e dalle
successive iniziative militari volte a imporre a Saddam Hussein
il divieto di far volare i suoi aerei». Che è come
dire: fino a quando lEuropa non sarà credibile, fino
a quando non sarà disposta ad assumersi le proprie responsabilità,
sarà difficile rimuovere le diffidenze. Se, di fatto, continuerà
a dire: «Dovete fare tutto da soli», gli Stati Uniti,
in nome dei cittadini che pagano le tasse, risponderanno: «Bene,
allora facciamo a modo nostro».
Oltre al sospetto di essere tuttaltro che affidabili, grava
sugli europei quello, anchesso comune a repubblicani e democratici,
che lEuropa voglia essere sicura senza pagarne il prezzo.
Perché, pur avendo tutte le necessarie risorse economiche
e tecnologiche, non si dota di un esercito di potenza paragonabile
a quello statunitense per mettersi in condizione di proteggersi
da sola e di intervenire militarmente, dove necessario, senza continuare
a chiedere aiuto agli Stati Uniti? La risposta che la maggioranza
degli americani dà a questa domanda è spregiudicatamente
dura: per avere un esercito serio, gli europei dovrebbero investire
risorse ingenti, rinunciare a molti dei loro diritti sociali, lavorare
di più, pagare più tasse ancora, e dunque accettare
di abbassare la qualità della loro vita ai livelli americani.
Fino a quando i sospetti di infingardaggine e di egoismo non saranno
in qualche modo rimossi, sarà impossibile che noi europei,
pur con le migliori intenzioni, riusciamo a persuadere gli americani
a rientrare nellalveo del diritto internazionale.
Resta comunque il fatto che la tanto conclamata tesi dellAmerica
figlia di Marte, che valuta realisticamente i nemici perché
è forte, e dellEuropa figlia di Venere, idealista perché
debole, è poco più che una battuta ad effetto, analoga
a quella della fine della Storia. La verità sta
esattamente dallaltra parte. Lattuale amministrazione
americana, e il modo di pensare dominante nellAmerica di oggi,
sono profondamente idealisti, anzi religiosi. Realisti sono gli
europei. Il presidente americano lancia una guerra in nome del principio
religioso della lotta del Bene contro il Male, e per far trionfare
lideale della democrazia (quali che siano le motivazioni di
ordine geopolitico); gli europei sono contro la guerra in nome delle
conseguenze negative che potrebbero derivarne. Chi è lidealista,
e chi il realista?
Le posizioni ideali e politiche sono dunque invertite: un giorno
i repubblicani erano realisti (e ottenevano successi nelle relazioni
internazionali per il loro realismo) e i democratici erano idealisti
(e provocavano guai seri nelle relazioni internazionali per il loro
idealismo). Oggi alla Casa Bianca ci sono dei repubblicani animati
da zelo religioso e in Europa (e nellaltra America)
dei democratici realisti e prudenti. Purtroppo, lAmerica attuale
non dà ascolto a chi suggerisce la prudenza e il realismo,
ma a nuovi profeti che nel Vecchio Continente troverebbero scarsissimo
seguito. Loro sono molto religiosi, gli europei molto meno. Sembra
che questa sia la differenza: ma laveva già prevista
Tocqueville.
Ha scritto Vargas Llosa: «Se lunione europea procede
la guerra in Iraq ha seminato di nuovi massi la strada, ma
non lha cancellata il suo sistema di difesa, senza
avere la necessità di trascinarla in uninutile concorrenza
con gli Stati Uniti, dovrebbe renderla immune da rischi [...]. LAlleanza
Atlantica, intaccata dallottusa manifestazione opportunistica
dantiamericanismo dei governi di Chirac e di Schröder,
dovrà tornare forte nel futuro, quando spentisi gli
echi di guerra in Iraq e con lEuropa che trae pertinenti conclusioni
dalla felicità con cui milioni di iracheni hanno festeggiato
la caduta di Saddam Hussein prenda coscienza di quanto lAlleanza
sia indispensabile per la sua sicurezza in un mondo ancora pieno
di insidie e di rischi per i Paesi democratici».
E poi vero che gli Stati Uniti possono fare a meno dellEuropa,
senza che ciò rappresenti un deficit importante nellambito
militare ed economico? Forse. Ma sicuramente non nellambito
politico. Senza lalleanza con lUnione europea e lamichevole
freno in campo internazionale che questa implica, il bene più
prezioso del colosso del Nord, quella cultura democratica alla quale
deve il potere che lha portato ad essere una superpotenza
mondiale, ne uscirebbe deteriorato e, con tutta probabilità,
squilibrato. Qualcosa del genere è possibile intravederlo
nellatteggiamento degli Usa che tendono a credere sempre meno
alle Nazioni Unite e si rifiutano di inserire le proprie politiche
nel quadro di istituzioni internazionali quali il Protocollo di
Kyoto sullambiente e la Corte Penale Internazionale. Un unilateralismo
del genere può erodere i cardini di una democrazia e di uno
Stato di diritto. Può portare alla bancarotta. Perché
le democrazie non richiedono solo che ci siano libere elezioni e
che funzioni lequilibrio dei poteri allinterno del proprio
territorio; esigono anche che, nella trama delle relazioni con gli
altri Paesi, prevalga la stessa somma di valori e di diritti che
costituiscono la cultura della libertà. Ciò, sostiene
Llosa, «non significa che, in nome del remoto ideale kantiano
duna pace universale, una democrazia debba diventare vulnerabile
di fronte al terrore o al ricatto delle dittature che possiedono
armi nucleari. Ma se il pragmatismo e la forza sono lunico
motore dei suoi governi, una democrazia smette in poco tempo dessere
tale e, anche se conserva laspetto esteriore di un Paese libero,
diventa dentro una società autoritaria».
Lalleanza del superpotere con la vecchia Europa, culla di
libertà e di legalità alla quale il mondo deve le
cose migliori che ha vissuto, è, proprio adesso che gli Stati
Uniti sono una Potenza senza concorrenti, il miglior modo di procedere
sui binari della buona tradizione di Washington e di Jefferson che
tanto esaltò Tocqueville. Il realismo di Hobbes trova giustificazione
solo come necessità transitoria nel difficile cammino verso
lideale di Kant, di un mondo pacifico e solidale in una cornice
nella quale coesistano legge e libertà.
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