Settembre 2003

LA PERCEZIONE DELL’ASSE DEL MALE

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Sul filo del rasoio
Samuel Huntington
Presidente della Harvard Academy for International and Area Studies
 
 

Non credo ci siano ragioni per pensare che nell’Islam
esistano ostacoli
insuperabili
allo sviluppo della democrazia,
ma questa
non si può imporre con la forza.

 

Dobbiamo porci due domande. La prima: l’Iraq riuscirà a diventare in tempi abbastanza brevi un Paese ragionevolmente stabile, unificato e democratico? La seconda: finita la guerra, seguiranno significativi progressi nella soluzione del problema israelo-palestinese? Se queste due condizioni si verificheranno, le relazioni fra Stati Uniti e mondo islamico miglioreranno rapidamente, altrimenti dovremo attenderci un grosso scontro fra civiltà.
Conseguenze per il mondo occidentale: si approfondiranno le divisioni al suo interno e si acuiranno le differenze nel modo di trattare con il mondo islamico, in modo particolare con la sua componente araba. Sono tre gli scenari dei quali dobbiamo tener conto: l’Occidente ha un grave problema con l’Islam militante e con la sua rete globale di terrorismo, che continua ad esistere; gli “Stati canaglia” continuano a cercare di ottenere armi nucleari, col rischio che queste cadano nelle mani di gruppi terroristici; fra gruppi islamici e non islamici sono in atto scontri locali per il controllo territoriale, dalla Palestina alla Cecenia, alle Filippine.

Ora, al di fuori dell’Occidente si percepiscono con molta chiarezza le divisioni all’interno del mondo occidentale. E accanto a Paesi “buoni” si identifica un “asse del male”, parallelo a quello delineato dagli Stati Uniti e formato per l’appunto dall’America e per lo meno dal Regno Unito. Perciò è sempre più complicato comprendersi. Ci sono fondamentali differenze nella percezione che il mondo occidentale e il mondo non occidentale hanno l’uno dell’altro. Le differenze culturali e di civiltà si stanno approfondendo e non c’è segno che le tensioni si stiano allentando. Lo stesso Papa ha affermato che la guerra al terrorismo potrebbe trasformarsi in guerra fra religioni. E’ un timore non peregrino, è certamente possibile che ciò si verifichi. L’esperienza ce lo insegna: in molte situazioni la guerra è cominciata per ragioni pratiche, per motivi territoriali oppure politici, ma poi la religione è diventata un’importante dimensione del conflitto. E’ successo nella regione del Kashmir, ma la stessa cosa vale naturalmente anche per il conflitto israelo-palestinese. La leadership palestinese in passato era secolare, con un significativo elemento cristiano, ma oggi gli estremisti religiosi sono diventati importanti. Anche in Israele, del resto, hanno accresciuto parecchio la loro influenza.
Intendo precisare una cosa. Non credo ci siano ragioni per pensare che nell’Islam esistano ostacoli insuperabili allo sviluppo della democrazia. Ogni grande cultura ha differenti componenti al suo interno. Non dimentichiamo che fino a mezzo secolo fa molti scienziati della politica ritenevano inconciliabili democrazia e Cattolicesimo, una previsione che si è rivelata assolutamente sbagliata. Oggi tutti i Paesi cattolici sono democratici, con la sola eccezione di Cuba. Ci sono anche nazioni musulmane democratiche, e comunque non teocratiche, come ad esempio la Turchia, il Pakistan in altra misura, e il Bangladesh. Perfino l’Indonesia vuole restare in questa direzione. Ma si tratta di Paesi non arabi: il problema forse è introdurre la democrazia nei Paesi arabi. L’unico Paese arabo democratico è il Libano, che però è a maggioranza cristiana.

Va chiarito che non è possibile introdurre dall’esterno la democrazia, soprattutto con la forza. Il problema è l’ascesa dell’Islam militante e dei “Paesi canaglia”, nei confronti dei quali è necessario agire con precauzioni militari. In questo senso, la dottrina Bush dell’azione preventiva contro gli Stati che costituiscono vere e proprie minacce è giustificata. Ma la guerra all’Iraq non era giustificata, perché Baghdad non poneva una minaccia urgente e grave agli Stati Uniti e ai suoi alleati.

Certo, l’Islam ha coscienza di se stesso, ma ha anche scarsa coesione. La prima conseguenza di ciò è che è molto difficile trattare con l’Islam. E’ vero: stiamo assistendo a una poderosa rinascita dell’identità musulmana, ma ricordiamo quel che diceva Kissinger quando era Segretario di Stato americano: «Che numero di telefono devo fare, quando voglio parlare con l’Europa?».
Lo stesso discorso vale oggi per l’Islam. La seconda conseguenza è ancora più preoccupante: le rivalità fra Arabia Saudita e Iran hanno spinto i due Paesi a finanziare gruppi musulmani in lotta contro l’Occidente. E’ anche questo un detonatore che sarà necessario disinnescare, con azioni politico-diplomatiche coerenti.

   
   
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