Settembre 2003

ANALISI ECONOMICA

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L’America riparte,
l’Europa frena
Milton Friedman
Premio Nobel per l’Economia
 
 

Il problema della
recessione in Europa è un fatto molto serio: per uscirne ogni Paese dovrebbe avere la libertà di adottare le politiche monetarie
che preferisce.

 

La ripresa in America è incominciata già da parecchio tempo, anche se la gente dà l’impressione di non essersene ancora accorta. I guai, invece, sono tutti in Europa, e non sarà proprio facile venirne fuori, per colpa dell’euro.
La ripresa americana è visibile nei numeri, nei fondamentali. Durante l’ultimo trimestre il Prodotto interno lordo è cresciuto del 2,4 per cento, mentre tutti i dati rivelano che i redditi medi dei cittadini statunitensi sono aumentati.
La verità è che gli Stati Uniti hanno avuto una leggera recessione nel corso del 2001; ma da allora in poi è incominciata una ripresa altrettanto leggera. Però questa è tuttora in corso, sta dando i primi effetti, e nelle condizioni attuali sembra destinata a continuare. Tutto questo vuol dire che l’economia americana va già bene, e che nel motore c’è abbastanza carburante per continuare ad andare avanti. Ciò vuol dire anche che gli stimoli varati fino a questo momento sono quelli giusti.
La Federal Reserve ha ridotto i tassi d’interesse all’1 per cento, il livello minimo degli ultimi quarantacinque anni, mentre il Presidente ha fatto approvare al Congresso le riduzioni fiscali che voleva. Ad ogni modo, se ci dovessimo accorgere che il costo del denaro è stato abbassato troppo, la Federal Reserve avrebbe tutto il tempo e tutto lo spazio di manovra per correggere la rotta.

E’ vero che alcuni economisti sono preoccupati dal pericolo della deflazione. Ma a me personalmente non sembra una minaccia molto grave. Potrebbe anche manifestarsi un po’ di deflazione, ma non in proporzioni tali da minacciare la nostra ripresa, o addirittura da far tornare la recessione.

E’ anche vero che gli americani continuano a lamentarsi per l’andamento dell’economia. Ma lo fanno per due ragioni fondamentali: la prima è il crollo di Wall Street, e la seconda è la disoccupazione. In verità, il ribasso dei titoli ha fatto perdere ricchezze a molte persone che avevano investito in Borsa: questo le fa sentire più povere e perciò accusano l’economia, anche se il mercato sta risalendo. La disoccupazione, poi, è un altro problema reale, perché effettivamente è salita su. Questo fenomeno ha due spiegazioni: la prima è l’aumento della produttività, e la seconda è il normale andamento di tutte le recessioni. La produttività negli Stati Uniti è in crescita continua, grazie all’innovazione tecnologica di cui ci siamo quasi scordati, perché tutti si sono lasciati distrarre dallo scoppio della bolla speculativa sui titoli di Internet. E’ un fenomeno positivo, ma quando la produttività aumenta, le aziende riescono a realizzare di più con meno tempo e con meno manodopera, e di conseguenza la disoccupazione non fa altro che salire.

In genere, poi, quando c’è una recessione, i posti di lavoro sono sempre gli ultimi a tornare, perché prima di assumere le imprese vogliono essere assolutamente sicure che la crisi è passata per davvero. Se si considerano tutti questi elementi, è facile capire perché gli americani si lamentano ancora, sebbene la recessione sia finita.
Alcuni analisti sostengono che per sentire gli effetti della ripresa sull’occupazione sarà necessario aspettare che il prodotto interno americano cresca almeno al ritmo del 3,5 per cento. Certo, si tratta di calcoli difficili, e io non li ho ancora fatti. Quando ci mettiamo a fare previsioni così precise, poi, noi economisti sbagliamo quasi sempre. Questo è un dato di fatto.

Ciò vale anche per la previsione secondo cui la disoccupazione dovrebbe cominciare a calare intorno al novembre del 2004. Si tratta di un calcolo quanto mai complicato, ma ritengo che le cose si stiano rimettendo a posto pure sul piano dell’occupazione. Come verrà valutata la situazione da qui in poi, e magari fino alla fine del 1994, è un’altra storia, anche perché alcune persone hanno interesse a dipingere un ritratto negativo dell’economia. Parlo, ovviamente, degli avversari politici; altrimenti, quale altro elemento hanno per attaccare la controparte? Certamente, ci sono veri pericoli per l’economia degli Stati Uniti, e se vogliamo, di tutto l’Occidente: nuovi attentati devastanti in America o in Europa, oppure il collasso della missione americana nel Golfo Persico. Ma non sono eventi sui quali me la sento di speculare.
Intanto, mezza Europa è nei guai, e non sa chiaramente come venirne fuori. Né sono in grado di dirlo io. Il problema della recessione in Europa è un fatto molto serio. Con tutta probabilità, per uscirne ogni Paese dovrebbe avere la libertà di adottare le politiche monetarie che preferisce. In questo momento, ad esempio, la Germania ha chiaramente bisogno di una politica più espansiva, rispetto all’Irlanda.
L’euro, però, ingessa gli europei. Sono tutti obbligati ad adottare le stesse misure monetarie, e questo renderà molto difficile il superamento della recessione. Piaccia o meno, la colpa è quasi del tutto della moneta unica.

   
   
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