Dai trattati di
Versailles e dintorni venivano fuori
incongruenze e anche ingiustizie, destinate a perpetuare vento
e tempesta là dove
si pretendevano
ordine e stabilità.
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I trattati di pace che conclusero la prima guerra mondiale, e in
particolare quello di Versailles, non ebbero una buona fama. Soprattutto
dopo la seconda guerra mondiale diventò un luogo comune che
fu un grande errore provocare la dissoluzione della
duplice monarchia austro-ungarica; e il mito absburgico ha raggiunto
il vertice, prospettando il regime di Vienna come un altissimo modello
di amministrazione, di vita civile, di convivenza tra popoli diversi,
e via glorificando. E oggi si leggono le sanguinose vicende jugoslave
come una prova di più che le sistemazioni date oltre ottantanni
fa allarea danubiana erano prive di senso.
I trattati del 1919 e quelli che li seguirono furono sicuramente
lontanissimi dallessere ispirati ad una serena larghezza di
vedute. Quello che restaurò lindipendenza della Polonia
costruì uno Stato che sembrava disegnato apposta per mantenere
acceso il fuoco delle contrapposizioni nazionali nella sua area
e al suo interno. Il corridoio polacco, che divideva
in due parti la Germania, era una cosa orrenda, oltre che una permanente
provocazione. Le mutilazioni inferte allUngheria furono feroci.
Gli ingrandimenti rumeni e la formazione di uno Stato che non era
mai esistito, come la Jugoslavia, furono operati essenzialmente
nellinteresse di una politica francese dallapparenza
realistica e storica molto pretenziosa e saccente, ma in realtà
poco saggia.
La classe di governo francese era ferma nellidea che bisognasse
ricostituire dal Baltico allAdriatico una linea di alleanze
orientali che stringesse nel mezzo le potenze dellEuropa centrale
e assicurasse a Parigi il vantaggio di obbligarle a dividere le
loro forze su due fronti. Nel passato, Svezia, Polonia e Russia
avevano svolto questa funzione per la Francia contro lAustria,
e poi anche contro la Germania. Poi la Svezia da molto tempo non
era più una grande potenza; e la Russia era stata trasformata
in un Paese antesignano della rivoluzione proletaria, ossia della
massima minaccia fino ad allora delineatasi per le liberaldemocrazie
occidentali, e, per di più, a causa delle lotte interne,
della sconfitta subita ad opera della Germania, e di altri fattori,
appariva ridotta nel suo peso internazionale, oltre che poco affidabile.
Unanime, sia che fosse al governo sia che fosse allopposizione,
la classe politica francese si fondava ora su una restaurata grande
Polonia, sugli Stati sorti sulla rovina dellimpero austro-ungarico,
come la Cecoslovacchia e la Jugoslavia, e su una Romania anchessa
molto ingrandita, per contrapporre un nuovo forte fronte orientale
non soltanto alla eventualità di rivincita dei Paesi sconfitti
(Germania, Austria, Ungheria), ma anche alle eventuali tentazioni
italiane di una grande politica, soprattutto nelle aree balcanica
e danubiana.
Lincremento di potenza italiano fu, infatti, fin da principio
una preoccupazione francese quasi non minore di quella del revanscismo
tedesco. Per la verità, non era un incremento che derivava
da una vera e propria crescita italiana. Esso derivava molto, molto
di più dalleclisse delle grandi potenze dellEuropa
centrale e orientale (Germania, Austria-Ungheria e Russia). Era
la forza di una presenza notevole in uno spazio che era diventato
relativamente vuoto. Per una quindicina di anni ad oriente della
Francia non vi fu una forza militare maggiore di quella italiana.
Nella visione tradizionale della politica di potenza questo era
un dato di fatto che non poteva essere ignorato. Ma è un
fatto pure che sia in Italia sia in Francia la nuova circostanza
così determinata dal corso della politica europea venisse
valutata molto largamente al di sopra delle sue effettive dimensioni.
Fin dal suo formarsi nel 1861, lItalia era stata compresa
per convenzione nel gruppo delle grandi potenze europee, ma sempre,
tacitamente, come lultima di esse, in base a un calcolo delle
sue forze e delle sue condizioni che dava alla posizione una sostanza
minore dellapparenza: un po come accade oggi per i rapporti
fra la stessa Italia e il club dei Paesi più industrializzati.
In ogni caso, se un periodo vi fu in cui lItalia a più
giusto titolo poté considerarsi di fatto una grande
potenza, come pretendeva, esso certamente fu quello degli
anni tra il 1918 e il 1933 o 1934. Il deprezzamento fascista della
vittoria nella prima guerra mondiale (la vittoria mutilata)
divenne funzionale allastrazione del nuovo Impero romano,
invece di curare il solido dato di fatto dellaccresciuto peso
italiano nelleclisse altrui e di trarne gli sviluppi più
effettivi e duraturi possibili.

Di conseguenza, si può molto facilmente convenire che dai
trattati di Versailles e dintorni venissero fuori incongruenze,
irragionevolezze, e anche ingiustizie, destinate a perpetuare vento
e tempesta là dove si pretendeva di determinare ordine e
stabilità. E altrettanto si può convenire che in quelle
paci sia possibile vedere largamente il seme, e non soltanto il
pretesto, di gran parte dei travagli europei nel ventennio successivo,
e soprattutto, della tragedia del secondo conflitto mondiale in
cui essi finirono per culminare. Che, però, le sistemazioni
di quei trattati fossero sostanzialmente del tutto negative e sbagliate,
non sempre si può affermare. Sembra in alcuni casi e sotto
certi profili, anzi, esse abbiano anticipato o comunque influenzato
qualche evento attuale.
E lessenziale è questo: fra gli altri valori in nome
dei quali fu combattuta la prima guerra mondiale, quello della nazionalità
occupò un luogo dominante; ed esso ebbe nei trattati di pace
un riconoscimento, se non assoluto, almeno così ampio da
aver dato origine ad una sistemazione che in buona parte dura ancora
oggi. Le nazioni che allora raggiunsero lunità o lindipendenza,
o che furono comunque definite in una nuova autonomia statale (Finlandia,
Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, la Cecoslovacchia che in tempi
recenti si è divisa in Cechia o Boemia e Slovacchia, la Romania,
lUngheria, lAustria, la Jugoslavia voluta da Parigi
anche, se non soprattutto, in funzione antitaliana e da poco rifrantumatasi,
lAlbania e la Bulgaria) sono ancora oggi in gran parte le
nazioni alle quali si fa riferimento in Europa e senza le quali
neppure si immaginerebbe di poter parlare nel Vecchio Continente
di libertà dei popoli. Anzi, quante tensioni di oggi non
sono riportabili al fatto che le sistemazioni della prima guerra
mondiale appaiono violate?
Così è per lindipendenza dei Paesi baltici
e della Moldavia, poi assorbite indebitamente e illiberalmente,
dopo il 1945, dallUnione Sovietica, che sono state una delle
maggiori ragioni di rischio per la stessa Mosca. Così è
stato per il più artificiale Paese europeo, la Jugoslavia,
che si è cancellata come entità unitaria e ha dato
luogo a vari Stati autonomi. Ma, in realtà, cè
chi continua ad essere convinto che anche in questo Versailles e
gli altri trattati furono più saggi di quanto non sembri.
Lunità statale dei due gruppi slavi intorno a Praga
e intorno a Belgrado impediva una polverizzazione che aveva pure
le sue ragioni (soprattutto in Jugoslavia), ma minori di quelle
che potevano avere sia lunità jugoslavia che quella
cecoslovacca. Nella politica nazifascista, la Boemia divenne un
protettorato tedesco e la Slovacchia uno Stato a sé; la Slovenia
venne annessa allItalia, la Croazia fu resa indipendente e
la Serbia fu destinata ad una sorte più o meno analoga a
quella della Boemia. Inoltre, lUngheria e la Bulgaria furono
ingrandite a spese della Romania, a sua volta compensata con territori
sovietici; lAlbania ebbe il Kosovo e avrebbe dovuto avere,
come la Bulgaria, altre terre in Grecia. Anche qui cera qualche
ragione: soprattutto per la presenza ungherese in Transilvania e
per quella albanese nel Kosovo. Ma chi si sentirebbe di dire che
quella sistemazione sconvolgesse davvero dalle fondamenta le sistemazioni
del 1919 o che essa assicurasse meglio lordine, la stabilità
e la giustizia?
Comunque, in un clima europeo di progressiva liberalizzazione, democratizzazione
e (diciamolo pure) occidentalizzazione, ogni problema sembra finalmente
risolvibile, e anche senza grandi difficoltà. O con difficoltà
che lEuropa degli Stati potrà superare mutando pelle,
trasformandosi cioè in Europa dei popoli. Allora non potrà
più esserci un patto Ribbentrop-Molotov per la spartizione
di una Polonia, né uno Hitler-Stalin, per la fine dellindipendenza
dei Paesi baltici.
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