Settembre 2003

EUROPA ALLARGATA AD EST

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L’ora delle Tigri Slave
Mario Deaglio
Docente di Scienza delle Finanze Politecnico di Torino
 
 

 

 

 

Potrebbe ripetersi l’effetto benefico che la riunificazione
tedesca portò, per quattro-cinque anni,
non solo
all’economia della Germania
occidentale, ma
a tutta l’Europa.

 

E’ altamente simbolico che la firma ai trattati che sanciscono l’allargamento dell’Unione Europea sia stata apposta ad Atene nel celebre portico (stoà) di Attalo II al termine del semestre di presidenza greco. Attalo II era, infatti, circa 2200 anni fa, un re greco di Pergamo, piccolo Stato nell’ambito dell’Impero romano, dal quale fu poi assorbito, che occupava una parte dell’odierna Turchia, un Paese candidato ad un’adesione futura. E bisognerebbe fors’anche sommessamente ricordare che questo antichissimo monumento fu restaurato, negli anni Cinquanta, con soldi americani.
Se avesse potuto avere un’idea dell’Europa, Attalo II l’avrebbe forse considerata una sorta di estensione-arricchimento del mondo ellenistico di cui faceva parte, che si era prodigiosamente allargato sotto la spinta della conquista militare di Alessandro Magno, e proprio per questo non avrebbe avuto grandi timori nei confronti dell’ipotesi di un’ulteriore espansione e nella possibilità di convivenza di genti diverse. Ci avrebbe probabilmente invitati a non essere prigionieri né della storia – che ha fatto sì che l’unità politica europea si costruisse sulla pacificazione tra francesi e tedeschi dopo due guerre distruttive e decine di milioni di morti – né dalla geografia che, in base a stereotipi di origine ottocentesca, vuole l’Europa rigidamente racchiusa tra Atlantico, Mediterraneo e Urali. E forse ci avrebbe esortati a guardare al futuro anziché al passato e a non basarci su aree geografiche bensì su valori condivisi, istituzioni solide e un’economia sostenibile.
Potrà muoversi in questa direzione l’Europa che nasce ad Atene e prende il via precisamente nel momento in cui il caotico dopoguerra iracheno impone di inquadrare in nuovi contesti i valori della libertà e della democrazia e getta un’ombra sulle possibilità di una crescita stabile dell’economia mondiale? A questo interrogativo, almeno per quanto riguarda l’economia, è possibile una risposta cautamente positiva.

Le prospettive che inducono a un giudizio sostanzialmente favorevole sulla sostenibilità economica della nuova Europa derivano precisamente dall’apporto di nuova popolazione e di nuovi bisogni a una struttura produttiva, come quella dei membri “storici” dell’alleanza, pienamente in grado di soddisfarla. Se ben gestito, l’allargamento a Est e a Sud potrebbe costituire un’occasione di stimolo al rinnovo delle infrastrutture, sul quale è possibile fondare una crescita abbastanza lunga della produzione; potrebbe ripetersi, in maniera amplificata e senza gli errori di allora, l’effetto benefico che la riunificazione tedesca portò, per quattro-cinque anni, non solo all’economia della Germania Occidentale, ma a tutta l’Europa.
Si aggiunga che, per finanziare questa crescita, l’Europa dispone oggi di uno strumento molto potente che allora non c’era: l’euro. La moneta unica può consentire un finanziamento più efficiente di questa nuova domanda; le istituzioni finanziarie europee oggi esistenti, e forse un’apposita nuova banca di medio-lungo termine, potranno incanalare risorse finanziarie verso le nuove occasioni di crescita. In quest’ottica, una certa flessibilità nei vincoli di bilancio appare decisamente auspicabile, naturalmente senza il ritorno alla disinvolta spesa pubblica del passato.

A questa dimensione quantitativa occorre aggiungere la possibilità di una mutazione qualitativa. Lo storico inglese Timothy Garton Ash ha recentemente prefigurato per il 2023 un’Europa di 37 Paesi membri, comprese Turchia, Ucraina e Moldavia, 600 milioni di abitanti e la maggiore economia del mondo, i sonnacchiosi Stati dell’Europa Orientale trasformati nelle “Tigri Slave”, i campioni nella crescita nell’economia mondiale. Ogni successivo allargamento costituirebbe una nuova iniezione di dinamismo economico, in grado di scuotere beneficamente le ossificate economie dell’Europa Occidentale. A questo impero economico, tuttavia, mancherebbero un trono e un imperatore, e di questo sarebbero certamente in pochi a dolersi. In un orizzonte di crescente prosperità, non ci sarebbero soltanto rose, ma anche aree di difficoltà e di debolezza.
Un’utopia? Piuttosto, le grandi linee di un progetto entusiasmante; un progetto che, come spesso per gli sviluppi europei, tende ad essere sminuito e ad attirare un’attenzione relativamente scarsa, nei confronti del quale prevalgono le cautele e le paure. Lo stesso però succedeva il 25 marzo 1957, quando si firmava il Trattato di Roma.

   
   
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