Per i burocrati
dellOnu il voto
dellIndia vale
esattamente
quanto quello
di San Marino e il Brasile pesa come una qualsiasi isola dei Caraibi.
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Secondo gli osservatori, dopo le recenti cronache diplomatiche
sembra emergere la convinzione che il futuro delle Nazioni Unite
oscilli tra due aggettivi: centrale, come vorrebbero
gli europei, oppure vitale, come invece sostengono gli
americani. Spiace dirlo è stato osservato ma
lOnu, in queste condizioni, non può essere né
centrale né vitale.
Sostiene Sergio Romano: «Per rendersi conto della desolante
impotenza delle Nazioni Unite, si provi a immaginare che cosa sarebbe
accaduto se il Consiglio di Sicurezza avesse votato la seconda risoluzione
con cui la Gran Bretagna, alla vigilia della guerra irachena, cercava
di riparare la rottura dei giorni precedenti». I francesi
erano pronti a bocciarla con il loro veto, e gli Stati Uniti per
un momento accarezzarono la prospettiva di una maggioranza che avrebbe
sconfitto moralmente, se non giuridicamente, la linea di Parigi.
La situazione sarebbe stata due volte assurda. La Francia avrebbe
usato un diritto concessole alla fine del secondo conflitto mondiale,
quando era formalmente vincitrice e aveva ancora un impero coloniale.
Gli Stati Uniti avrebbero formato una maggioranza morale
con tre Paesi africani (Angola, Camerun, Guinea) privi di reali
responsabilità internazionali, e con due Stati latino-americani
(Cile e Messico) che vivono a parecchie migliaia di chilometri dallocchio
del tifone. A quale dei due fattori avremmo dovuto attribuire maggiore
importanza? A un veto anacronistico? Oppure a una maggioranza occasionale,
raccogliticcia e dunque per nulla rappresentativa?
In realtà, è da tempo che il Consiglio di Sicurezza
dellOnu non rappresenta più lassemblea dei soci.
La sua Carta risale al 1945 e contiene regole che non hanno più
alcun rapporto con il mondo attuale. Il Regno Unito e la Francia
hanno perduto i rispettivi imperi, il numero dei membri si è
quadruplicato, lUnione Sovietica si è dissolta, lUnione
Europea ha ormai una personalità internazionale e lIndia
(una democrazia nucleare, con oltre un miliardo di abitanti) non
è meno importante della Cina. Ma per i burocrati dellOnu
il voto dellIndia vale esattamente quanto quello di San Marino
(meno di trentamila abitanti), e il Brasile pesa come una qualsiasi
isola dei Caraibi, e larma del veto resta saldamente nelle
mani di cinque Paesi che vinsero la guerra, sessantanni fa,
con unalleanza di cui constatammo rapidamente la fragilità.
Allora, perché sorprendersi se queste Nazioni Unite non sono
in grado di risolvere i problemi del mondo?
Ebbene: è stata proprio la svolta unilateralista americana
a rendere lOrganizzazione quanto mai necessaria, anche più
di quanto non lo fosse prima della guerra irachena. Gli Usa sostengono
che le nuove minacce internazionali (apocalittiche armi di sterminio
nelle mani di gruppi terroristici e di Stati canaglia) rendono la
guerra preventiva tanto necessaria quanto legittima. E certamente
non hanno torto. Ma altrettanto certamente hanno torto quando trascurano
un altro problema non meno rilevante: se la guerra preventiva diventa
diritto internazionale, non è comunque opportuno che la decisione
di agire sia lasciata soltanto allo Stato interessato. Altri Paesi
in futuro potrebbero far riferimento allesempio iracheno per
regolare conti con un vicino sgradito. O indocile. O comunque scomodo.
LIndia potrebbe far guerra preventiva al Pakistan, e viceversa;
potrebbe esplodere lAfrica del tribalismo...

La nuova concezione politica americana richiede dunque un nuovo
Consiglio di Sicurezza, e una riforma generale. Occorrerà
sopprimere i vecchi veti, e nello stesso tempo scrivere regole che
rispecchino le responsabilità internazionali di tutti i membri.
Sarà necessario evitare che un solo Paese possa opporsi alla
volontà degli altri, ma introdurre maggioranze ponderate
che tengano conto delle reali gerarchie. Forse si potrà ottenere
un risultato calcolando il peso demografico, il prodotto interno
lordo, limpegno assistenziale per i Paesi poveri, il livello
culturale e scientifico, la quota di partecipazione al commercio
mondiale. Ci sono parametri infiniti, sicché nulla sarà
semplice e saranno necessari magari molti anni, prima di venirne
a capo. Ma di qui ad allora non cè da farsi eccessive
illusioni: lOnu non sarà né centrale né
vitale. Sarà sempre più obsoleta.
Da tempo cera qualcosa nellaria, se è vero,
comè vero, che nella primavera del 1933 il Segretario
generale dellOnu aveva inviato a tutti i Paesi membri un questionario
su quali modifiche si potessero apportare alla Carta. Tutto allora
sembrava convergere sullipotesi americana il quick
fix di un semplice allargamento della membership permanente
a Germania e Giappone, cioè a due delle tre potenze dellasse
Roma-Berlino-Tokyo che avevano perso la guerra ma erano diventate
col tempo Paesi ad alta propulsione economica e membri del G7, o
del G7+1. In pratica, veniva esclusa lItalia, con la proiezione
inespressa ma intuibile di unimmagine di inaffidabilità
decisamente immeritata e sicuramente offensiva.
Per questa ragione, in un sabato pomeriggio, venne messo a punto
a Bologna un progetto alternativo di riforma, basato sulla creazione
di una categoria ad hoc di membri semipermanenti, sulla falsariga
di un emendamento già introdotto dalla Società delle
Nazioni negli anni Venti. Ai cinque membri con diritto di veto,
e a cinque Paesi eletti dallAssemblea generale, si sarebbero
affiancati cinque seggi a rapida rotazione tra un gruppo di 20-22
Paesi che per dimensione, rilevanza e impegno avrebbero allargato
la base di rappresentanza del Consiglio di Sicurezza. Un ulteriore
requisito, nella proposta originaria, era la presenza di un libero
mercato dellinformazione, a rafforzare la natura liberale
dellOnu e a sottolineare il ruolo fondamentale dellopinione
pubblica mondiale.
Con la proposta italiana di riforma sarebbero stati rappresentati
nel Consiglio, tra membri permanenti e semipermanenti, più
dei quattro quinti della popolazione planetaria. Da un lato, questa
proposta avrebbe potuto raccogliere un consenso più ampio
del quick fix, visto che coinvolgeva tutte le principali nazioni.
Dallaltro, attribuendo maggiori responsabilità ai Paesi
più importanti, si sarebbe resa possibile una più
efficace azione collettiva. Dopo una dura campagna, condotta in
gran parte dal nostro ambasciatore, si arrivò a un voto,
ma soltanto nel 1998, quando sia la proposta americana sia quella
italiana mancarono il quorum necessario.
Una riflessione, per riprendere il discorso della riforma dellOnu.
Per avere migliori possibilità, anche alla luce del panorama
molto cambiato, la proposta italiana forse potrebbe essere abbinata
anche a una riforma degli strumenti multilaterali. Parte delle divisioni
durante la crisi irachena sono state causate dalleccessiva
distanza tra le misure previste dallarticolo 41 (sanzioni
economiche) e quelle dellarticolo 42 (sanzioni militari).
Il caso dellIraq ha dimostrato che, nelleventualità
di gravi minacce alla stabilità internazionale non previste
dalla Carta quali quelle poste dalla proliferazione delle
armi di distruzione di massa larticolo 41 è
insufficiente, mentre larticolo 42 può trovare il necessario
consenso. Sarebbe probabilmente utile suggerire ladozione
di misure innovative alcune delle quali sono circolate negli
ultimi tempi in ambienti europei più robuste delle
semplici sanzioni economiche, ma al di sotto della soglia di un
intervento militare, quali ad esempio un sistema di ispezioni rafforzate
e accompagnate da missioni dei Caschi Blu. Una sorta di articolo
41 bis avrebbe il pregio di poter affrontare le altre situazioni
di proliferazione, prime fra tutte quella coreana e forse anche
iraniana, senza necessariamente precipitare di nuovo il mondo in
una scelta tra misure inefficaci e una guerra. Ciò potrebbe,
in ultima analisi, rappresentare un primo passo per trovare una
convergenza a Bruxelles e a New York.
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