Settembre 2003

CIVILTA' IN CAMMINO

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L’Islam e l’Occidente
Maître Abdoulaye Wade
Presidente della Repubblica del Senegal
 
 

 

 

 

 

L’Islam si va
depurando, ma le scorie sono ancora abbastanza forti, alimentate dalla grande ingiustizia che regna in questo mondo
e che ha creato un’isola
di abbondanza in mezzo a un oceano di miseria.

 

Dopo la caduta del Muro di Berlino, che ha segnato anche la morte del comunismo, il mondo vive all’insegna di tre principali ideologie: il socialismo democratico (lontana sopravvivenza del marxismo, anche se non vuole riconoscerlo), il liberalismo, il conservatorismo. Vengono poi gli estremisti, di sinistra e di destra. Non è inutile ricordare questi elementi per mostrare che l’Occidente, nonostante le sue diversità, è fondato su una base comune che è la libertà, il che ci porta diritti al nostro argomento e alla questione della sua compatibilità con l’Islam, così come viene compreso nella maggior parte dei Paesi occidentali.

Per gli Occidentali:

1) l’Islam è percepito come una religione intollerante che può portare i suoi adepti al jihad, antico o moderno, per imporsi, all’occorrenza, con la spada o con il terrorismo legato all’integralismo e al fondamentalismo;

2) la società islamica sarebbe contraria al concetto di libertà individuale, mentre il rigore della sua legge ha sanzioni immutabili per certi delitti e comportamenti: lapidazioni di donne adultere, amputazioni della mano ai ladri, ecc;

3) la società islamica non sarebbe una società di giustizia.
Si potrebbe discutere a lungo sulle nozioni di “società giusta” e di “società di giustizia”. La nozione di società giusta è già un giudizio di valore relativo ad un’ideologia, a una dottrina, a una morale; questa nozione è pertanto del tutto incompleta.
Per contro, una società di giustizia potrebbe essere una società che applica in maniera imparziale delle leggi e delle regole condivise da tutti i suoi membri. In questo senso ricordiamo che l’Islam considera la Giustizia Sociale come un imperativo per i Giudici, essendo la Giustizia l’atto «più vicino alla pietà». Il Corano ricorda peraltro ai Giudici l’esistenza di un Giudice Supremo che è al di sopra dei Giudici della terra. Conviene non prendere alla leggera simili questioni e non opporre loro un semplice diniego.
Le difficoltà per i musulmani di praticare la loro religione nei Paesi di immigrazione a causa dell’intolleranza e dell’ostracismo, questa volta da parte della società occidentale, anche se, spesso, si tratta di una minoranza, gli scontri che si producono da qualche tempo a causa dell’utilizzo dell’Islam, in particolare da parte di certe ramificazioni estremiste o di gruppi musulmani che si richiamano all’integralismo, inducono del tutto legittimamente l’Occidente a porsi delle domande sulla natura profonda dell’Islam e sulla sua compatibilità con un regime di libertà.
Affrontando questo tema, desidero precisare che non sono né un teologo né un giurista musulmano (Ulema), ma semplicemente un uomo politico, di religione musulmana, alla testa di un Paese che conta il 95 per cento di musulmani, ma che è laico e repubblicano. Poiché gli uomini politici decidono, lo si voglia oppure no, anche se ignorano molte cose, anche se ignorano tutto, la loro opinione non è trascurabile, dal momento che dalle loro decisioni dipende la storia della comunità di cui tengono in pugno il destino.
Per quanto mi riguarda, se sono musulmano è perché i miei genitori lo erano e mi hanno educato a questa religione.
Ma se sono un praticante fedele credo di doverlo ai miei personali sforzi di riflessione e approfondimento, che mi hanno portato a considerare che ero legato alla religione più bella del mondo. Mi direte che il cristiano, il buddhista e l’ebreo la pensano allo stesso modo. Ma la differenza sta nel fatto che io so che ciascuno di loro considera la propria religione come la migliore. Per questo motivo sono tollerante e non del tutto ignorante.

Torniamo all’Islam. Gli specialisti mi perdonino queste incursioni in settori riservati, ma vorrei spiegare la mia percezione della religione che ho abbracciato e che mi fa credere che l’Islam, come tutte le religioni, sia stata spesso utilizzata dalle persone che sono al potere, o che sono in cerca di potere, con interpretazioni personali e spesso basandosi su fonti che altre fonti contraddicono.
L’evoluzione del mondo sembra sempre più tagliare la comunità umana in due, il mondo del Nord, che evolve rapidamente con soddisfazione perfino esagerata dei bisogni delle proprie popolazioni, e il mondo del Sud, sempre più povero e respinto senza pietà se sente il bisogno di andare a tentare la fortuna al Nord. L’ingiustizia è tanto più avvertita in quanto il Nord si costruisce attraverso uno sfruttamento sistematico del Sud, attraverso la dominazione economica, che si traduce in scambi ineguali a causa dell’asimmetria strutturale e tecnologica fra il Nord e il Sud.
Questa evoluzione, a lungo termine, fa del nostro mondo un mondo di esclusione, dove l’80 per cento delle ricchezze è in mano al 20 per cento della popolazione mondiale. Il Sud si vede sempre più escluso dalle conoscenze scientifiche, le quali sono diffuse dalle reti di informazione che al Sud scarseggiano.

Poiché le religioni non sottostanno al controllo del potere politico, penso che cristiani e musulmani dovrebbero sempre ricercare i valori comuni che li avvicinano e arricchiscono la comunità internazionale, nella misura in cui non arrecano pregiudizio alla loro rispettiva essenza. Questo mi sembra il dovere degli uomini di buona volontà, che dovrebbero dedicarsi ad un’interpretazione giusta e chiara dei rispettivi testi sacri.
In ogni caso, l’integralismo, musulmano o cristiano, mi sembra eretico. L’integralismo musulmano sembra attualmente più estremista, è vero. Esso costituisce una minoranza che agisce spesso manovrata dal denaro e dalla prospettiva del potere. Anziché condurre la sua lotta estremista in nome di un’ideologia che gli sia propria, trova più facile richiamarsi falsamente alla religione. La strategia dell’integralismo consiste quindi nel profittare fraudolentemente della religione e della povertà per insediarsi ed espandersi, tanto è vero che è relativamente facile tenere ai settori più poveri delle popolazioni discorsi sul Paradiso che bisogna ricercare sulla terra con la violenza, e sul dovere di battersi contro le istituzioni laiche.
Quel che si verifica oggi nell’Islam è accaduto a tutte le religioni. Non dimentichiamo le Crociate cristiane del Medioevo all’insegna della Croce contro la Mezzaluna, l’Inquisizione, i roghi contro le streghe... Ma il Cristianesimo ha avuto il tempo di superare queste “barbarie”. L’Islam, come ho detto, si va depurando, ma le scorie sono ancora abbastanza forti e organizzate, alimentate dalla grande ingiustizia che regna in questo mondo e che ha creato un’isola di abbondanza (l’Occidente) in mezzo a un oceano di miseria.
Ma è logico a questo punto chiedersi: dove si trova l’Islam tollerante, altruista, pacifico e generoso del quale scrivo? Esiste, per esempio, in un piccolo Paese che si chiama Senegal, che ha avuto per vent’anni un Presidente cristiano. Un Paese in cui cristiani e musulmani convivono, talvolta all’interno di una stessa famiglia, tanto che si è detto che non si sarebbero riconosciuti che alla morte, al momento di condurre l’uno in chiesa, l’altro alla moschea. La stessa separazione fra i due cimiteri è assai recente, al camposanto di Saint-Louis, la vecchia capitale, è ancora possibile scorgere qua e là una croce su una tomba. A Ziguinchor, capitale del Sud Casamance, cristiani e musulmani vengono sepolti nello stesso cimitero. In Senegal non sono praticate né la lapidazione né l’amputazione delle mani ai ladri.

Non mi spingerò fino a presentare il Senegal come un modello. Questa nazione, il cui spirito di tolleranza viene spesso citato, è il risultato di un lavoro di costruzione avviato da tempo da parte di uomini, soprattutto della classe dirigente che da oltre un secolo ha bandito la pratica del jihad.
Se questo è stato possibile, è perché le popolazioni hanno aderito all’Islam attraverso confraternite la cui tolleranza è nota e che affondano le proprie radici nella cultura nazionale. Oggi, come Presidente, mi sforzo di consolidare queste acquisizioni, insieme al reciproco rispetto fra cittadini senegalesi di credo religioso diverso. E’ per questo che ho introdotto nella scuola primaria l’insegnamento facoltativo di tutte le religioni.
Appartengo ad una civiltà negro-africana la cui classe dirigente abbandona in piena coscienza alcuni comportamenti incompatibili con la vita moderna e con l’ideale umanistico. Non c’è nessuna vergogna a riconoscere questo, poiché anche fra i popoli d’Europa erano in uso pratiche barbare, che col tempo sono state abbandonate. Ho proibito le mutilazioni sessuali e i matrimoni precoci. Anche se ho già trovato nella Costituzione il principio della libertà religiosa, l’ho rafforzato, introducendo il diritto delle minoranze religiose alla protezione dello Stato.
In Senegal non si ragiona da cristiano o da musulmano, ma semplicemente da senegalese, e questo vuol dire che l’evoluzione verso la nazione e la cittadinanza ha come conseguenza l’arretramento di ogni forma d’integralismo a favore di un umanesimo che parte innanzitutto dalle comunità nazionali.
E’ stato detto che sono le idee a muovere il mondo. E’ per questo che alcune teorie sono pericolose, tanto più pericolose se superficiali. La teoria dello scontro delle civiltà non è altro che un anti-umanesimo rivestito di un mantello intellettuale, altrettanto poco fondato delle reazioni che ha suscitato. Non esiste scontro fra civiltà.

Nulla è fisso in questo mondo, neppure l’insieme dei valori di una civiltà che, in qualsiasi momento, può arricchirsi di nuovi apporti, attraverso un processo endogeno di cambiamento o per provenienze esterne. E’ per questo, in fondo, che è l’uomo a fare la storia. Al giorno d’oggi, allorché un lungo processo storico porta l’umanità verso una civiltà universale che si elabora arricchendosi delle specificità e degli apporti delle differenti culture, il mondo sarà quello che ne faremo noi.
La percezione dell’Islam e il suo contributo dipendono anche da noi, intellettuali musulmani, che dobbiamo difendere la nostra religione contro coloro che se ne fanno scudo per i propri disegni di potere. Noi dobbiamo avanzare verso l’Occidente con i valori positivi della nostra religione e delle nostre culture, che devono confrontarsi con quelle occidentali, in vista di un reciproco arricchimento.
Finora ho parlato di intellettuali musulmani, unendo la mia voce ad altre che si levano in questa direzione. Ma sappiamo che la stessa azione è in atto fra gli intellettuali cristiani, i quali si sforzano di distinguere fra la nostra religione e le sue attuali deviazioni, e, come noi, sono legati all’ideale di un’Umanità Una, con uomini e donne liberi, diversi, ma ricchi delle proprie diversità. Con la speranza che anch’essi, nella loro società, perseverino negli sforzi di comprensione reciproca. Come noi lo facciamo hic et nunc, qui e ora.

   
   
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