Sino alle due ultime guerre mondiali
è stata la vecchia Europa a scrivere
la storia.
Ora le decisioni
del pianeta
hanno bisogno
del benessere della giovane America.
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Bombe e bomboniere, ultima ricetta dellAmministrazione Bush
per dare stabilità e sicurezza alla comunità internazionale.
Leffetto vetrina della rapida operazione irachena è
destinato a durare a lungo. Non è necessaria una rassegna
della stampa estera per capire quanto forte sia lipoteca posta
sui fatti interni di ciascun Paese (non solo degli Stati-canaglia).
Noi non viviamo nel paese di Lilliput. Il problema ci interessa
da vicino, come potenza economica mondiale, come non belligeranti
e ad un tempo amici fedeli degli Stati Uniti (una formula bipartisan,
figlia naturale delle sofferte convergenze parallele morotee).
Uno storico o un politologo saprebbe spiegare meglio di me cause
ed effetti di una politica estera che si radicalizza, sottoponendo
a forte stress ossidativo le istituzioni nazionali e internazionali.
Nellarena internazionale si è elevato il tasso dei
ricatti e delle intimidazioni (alle bombe intelligenti che piovono
dal cielo si risponde via terra con gli Shahid, con le bombe diligenti
innestate su micce umane, alimentando la politica del terrore globale).
Si è creata nella comunità internazionale una palude
limacciosa in cui circolano troppe tossine, alimentate da armate
visibili e invisibili. Proviamo ad orientarci con una bussola per
naviganti.
Indubbiamente lAmministrazione Bush sta rielaborando un pensiero,
una strategia e un indirizzo politico. Il messaggio di una fede
democratica infilata nella canna di un fucile gli americani lo hanno
sempre usato nelle loro imprese militari, combinando etica e affari
in contesti internazionali diversi. E chiaro e ruvido nella
sua essenzialità. In prima battuta fa pensare ai proclami
dei capipopolo dell800 e 900 supportati dal consenso
della cultura popolare.
Poi ci si accorge, leggendo in filigrana, che la sua forza di persuasione
appare sbiadita per lAmerica di oggi, ancora permeata dello
spirito libertario ed egalitario espresso dalla rivoluzione del
1776, e diventa stridente se si rapporta al forte desiderio di legalità
che ha prodotto il quadro attuale, gli strumenti e le organizzazioni
utilizzati per dare al mondo ordine e sicurezza dopo la seconda
guerra mondiale (Conferenza di Yalta, 1945). Sempre fermamente ancorati
a valori, princìpi e metodi riconosciuti da una rete di norme
varate con il consenso di una vasta platea di Stati, in buona parte
immaginate e supportate dagli stessi Stati Uniti. Privilegiando
ora lazione diretta, senza il consenso internazionale, lAmerica
di fatto mette in discussione se stessa, il suo patrimonio di umanesimo
creativo.

La crisi delle istituzioni internazionali (Nato, Wto, Onu, Fmi,
Banca mondiale) non può essere bypassata. Essa sintetizza
la sclerosi di un blocco storico di alleanze, di un modo di interpretare
la sovranità, di una logica imperiale del mercato, di un
metodo politico fin qui seguito, che ora è incapace di produrre
politica.
E in crisi la dottrina Kissinger sullequilibrio bipolare
(Usa-Urss): per rafforzare il blocco occidentale giustificava la
presenza di regimi dittatoriali amici in Asia, Africa
e America Latina (male minore).
E in crisi il modello nazionalistico comparso sulla scena
politica con la Conferenza di Versailles (1919). Sulle macerie degli
imperi absburgico e ottomano è stata costruita una galassia
di Stati saldamente ancorati al principio della sovranità
assoluta. E ora lanalisi sociologica sinterroga sui
concetti di classe, di popolo e di moltitudine.
E in crisi lidea di un mercato affidato esclusivamente
al principio dellaccumulazione capitalistica. In America e
in Europa si è alla ricerca di regole e codici deontologici
che diano moralità e trasparenza ai mercati finanziari. La
vecchia esortazione leninista Operai di tutto il mondo unitevi
è ormai sostituita da unaltra esortazione allarmata:
Azionisti di tutto il mondo unitevi. Le ansie di un
profitto difficile risiedono in oggettive anomalie del mercato,
ma cè da mettere in conto anche la cinica voracità
del manager (non hanno parametri aziendali di riferimento, i loro
guadagni sono fortemente divaricati rispetto agli stipendi dei dipendenti,
non è difficile immaginare manovre speculative di Borsa realizzate
con i pacchetti azionari da loro posseduti). Oltre che dai comitati
di azionisti, segni di rivolta vengono dai sindacati e dai movimenti
dei diritti civili e dei consumatori.

La crisi internazionale passa dunque attraverso problematiche complesse,
animata dalle ansie e dai bisogni di crescita della democrazia economica
e della democrazia istituzionale (va sottolineato che nel mondo
islamico non cè spazio per il dissenso disarmato).
Il processo di globalizzazione implica forme nuove di responsabilità
collettiva connesse ad un significato marginale delle
frontiere. Lo Stato moderno non è più depositario
di una sovranità coltivata per scegliere le aree dinfluenza
con la cultura e le logiche dellappartenenza. Il fascino della
rappresentanza egemone nella ricerca di nuovi equilibri internazionali
riporta alla luce un passato reso sempre più sbiadito, anche
per il contributo offerto da precedenti amministrazioni americane.
Questa ricetta adesso è stata riesumata dallAmministrazione
Bush ed è lunica circolante, dal momento che né
lEuropa (per divisioni politiche), né lAsia (per
le difficoltà connesse alla conversione alleconomia
di mercato) hanno autorevolezza e credibilità sufficienti
per proporre ricette alternative. Dunque tutto il dibattito attorno
al nuovo parte dal vecchio ed è concentrato
obtorto collo sulle prospettive offerte dalla diplomazia americana.
Il pendolo della politica estera americana ha oscillato sempre
tra priorità di potenza (ancorate al realismo mitteleuropeo)
e priorità di etica (espressione dello spirito puritano e
calvinista della società civile). A favore delle prime troviamo
Kissinger e il presidente Roosevelt, padre del piano Marshall e
dellOnu attuale, intesa come foro di dialogo e di soluzione
delle controversie.
Un forte richiamo alletica si è avuto invece con il
presidente Wilson (1856-1924), con il maccartismo degli anni Sessanta
e più recentemente con il presidente Carter (1976-1980),
convinti di dover ispirare lazione politica ai valori più
profondi e autentici dellanimo americano.
Attualmente sia i repubblicani sia i democratici sostengono, con
accenti diversi, la priorità degli ideali e dei valori morali
nellazione politica (per gli effetti destabilizzanti del terrorismo
e per la delegittimazione morale del capitalismo, conseguente agli
scandali finanziari).
Una politica estera etica è così diventata
il fiore allocchiello dellAmministrazione Bush. Pensata
e affinata soprattutto dagli allievi del filosofo Leo Strauss, docente
allUniversità di Chicago fino alla sua scomparsa (1973).
Ricordiamo Paul Wolfowitz, viceministro della Difesa, Richard Perle,
alla guida del Defence policy board, Gary Schmitt, direttore del
Progetto per un Nuovo Secolo Americano. Torna alla ribalta lillusione
yankee di cambiare il mondo, coltivando lorgoglio dellappartenenza
e la memoria nazionalista.
Il pensiero di Strauss, orientato allaffermazione della verità
assoluta, rafforza il patrimonio ideale dellanima conservatrice.
La fede nella democrazia deve restare sempre solida e vigile per
sconfiggere la tirannide, ovunque si annidi. Se una religione è
dintralcio si utilizzano predicatori, accentuando le differenze
tra apostoli e apostati (in Iraq Paese con il 97% di musulmani
sono stati inviati 800 missionari arruolati nel mission
board per diffondere il credo della Bibbia protestante. Appartengono
in maggioranza alla Convenzione Southern Baptist e agli
evangelici del Samaritans Purse, gruppi notoriamente
oltranzisti). Dare percorsi politici ad un pensiero filosofico non
è mai cosa agevole. Nel caso specifico sincontrano
contraddizioni e trabocchetti connessi alle aspirazioni libertarie
delle società moderne. «Attenti ad uccidere mostri,
potreste scoprire di essere voi», ammoniva Nietzsche.

Ciò che caratterizza una democrazia (anche quella americana)
è la tutela del pluralismo e delle diversità, non
la virtù dellosservanza e laffermazione di percorsi
di omologazione del consenso. Ne consegue la necessità di
cercare gli equilibri socio-politici attraverso la dialettica del
dialogo piuttosto che con luso dello scontro conflittuale,
dimostrando disponibilità verso una graduale destrutturazione
del monopolio del sapere e del potere, per accrescere il patrimonio
delle conoscenze collettive.
Se ci può essere consenso e condivisione sulla necessità
di un disegno che dia più democrazia, ordine, sicurezza e
sviluppo alla comunità internazionale, forti dubbi e dissensi
restano sul metodo. E il caso di ricordare che lampliamento
dellarea della democrazia rappresentativa è una tendenza
già in atto. Secondo i dati ultimi forniti da Freedom
House, unorganizzazione di New York che monitorizza
i movimenti democratici e il grado di tutela dei diritti umani,
dei 192 Paesi in cui è frazionato il mondo, ben 121 avrebbero
democrazie elettorali, mentre nel 1991 erano soltanto 76 (ovviamente
le elezioni non garantiscono una democrazia liberale).
Le difficili condizioni di dialogo hanno spiegazioni già
ricordate: leccesso di potere americano cui fa riscontro il
deficit di potere europeo e asiatico (qualcuno già parla
di scisma occidentale pensando alla conflittualità Usa-Europa).
Questo limite dovrebbe rendere più pragmatici e circospetti
i responsabili della politica estera americana. Invece la convinzione
di dover assolvere ad una missione storica di pulizia e di ordine,
conseguenziale allimpostazione etica prescelta, pone lAmministrazione
Bush nel limbo di un isolamento illuminato. Con il rischio di vedere
aumentare le ragioni della diffidenza. Offre democrazia ai Paesi
musulmani e sostiene il generale Pervez Musharraf in Pakistan. Annienta
il feroce potere assoluto di Saddam Hussein in Iraq, ma non chiede
per lui il giudizio della Corte Penale Internazionale (cosa impossibile
per il mancato riconoscimento di questa giurisdizione da parte americana).
Con immagini contraddittorie si rende più difficile lattuazione
di una politica gravata di responsabilità planetarie. E si
assiste ad una politica estera che produce convulsioni e immobilismo
(non si può ridurre tutto ad un no, ad un sì e a randellate
per Paesi-terzini poco diligenti), senza tenere conto di una gestione
dellesistente caratterizzata da molti fattori imposti dalla
globalizzazione: «Puoi portare un cavallo allacqua,
ma non è detto che beva», recita un vecchio proverbio
inglese.
Il riconoscimento della diversità e la salvaguardia dei diritti
umani acquistano più forza e valore nelle aspettative di
una società globalizzata che va verso lomogeneizzazione
dei consumi. La forte accelerazione impressa al commercio internazionale
provoca inoltre un effetto rimpicciolito della sovranità
che rende ogni giorno più difficile la coabitazione tra libertà
economica e monopolio politico. Un altro effetto della globalizzazione
è la competizione tra sistemi territoriali che fanno rete,
cui si collega limportanza delluso strategico delle
public utilities (aziende erogatrici di servizi di pubblica utilità).
Questo tema diventa di largo interesse internazionale in vista dei
futuri progetti di sviluppo. Smaltimento dei rifiuti, uso dellacqua
e delle fonti energetiche, tutela dellambiente e della biodiversità
obbediscono ormai a logiche di gestione planetaria e costituiscono
un nucleo consistente di interessi universali (global services).
La finanza di Buffalo Bill non può supplire ad una gestione
internazionale delle risorse, che implica responsabilità
collettive (rientra in questo capitolo anche la questione petrolio).
Esiste una lunga tabella di emergenze che richiede lintervento
strategico delle organizzazioni internazionali. E di grande
attualità la gestione del recupero dei crediti nei confronti
dellIraq. La Omni Whittimgton, una società olandese
specializzata in questa settore, ha in portafoglio circa 200 milioni
di dollari da recuperare. Si tratta di una somma minuscola su una
consistenza debitoria di Baghdad che si aggira sui 383 miliardi
di dollari, una cifra che spegne sul nascere tutti i buoni propositi
di rinascita. Questo problema richiede decisioni urgenti di politica
internazionale. E se la storia ha un senso, il ruolo assolto nel
1919 dalla Banca dei regolamenti internazionali per il debito estero
tedesco oggi, per la questione irachena, dovrebbe spettare alla
Commissione per le compensazioni dellOnu.
La crisi in cui si dibattono le organizzazioni internazionali non
può diventare utile paralisi, assegnando loro
un low profile, fino a farne gusci brillanti di conchiglie vuote.
Deve costituire stimolo per una radicale riqualificazione (se lEuropa
cè, batta un colpo in questa direzione).
Bisogna raffreddare con il cuore e con la ragione lattuale
clima di scontro, remando contro il vento delle tentazioni giacobine.
Il fondamentalismo occidentale contrapposto al fondamentalismo islamico
non erode larea del consenso al terrorismo, non elimina il
precariato urbano, la frustrazione di avvertire storici soprusi,
lorgoglio di coltivare sentimenti di rivalsa.
Si deve impressionare il mondo con atti di liberalismo costituzionale.
Ripristinando la legalità internazionale e la centralità
dellOnu, ripensando il sistema delle alleanze, sostituendo
le logiche della sovranità con quelle della reciprocità,
riducendo gli abusi delle maggioranze, rendendo interdisciplinari
i percorsi della scienza, della filosofia, della religione e dello
sviluppo.
Sino alle due ultime guerre mondiali è stata la vecchia
Europa a scrivere la storia. Ora le decisioni del pianeta hanno
bisogno del Washington consensus, del benestare della giovane
America. Nel mezzo cè stato un lungo cammino che ha
allargato larea della democrazia liberale, del pluralismo
e della tolleranza, rafforzando il ruolo dintermediazione
del diritto internazionale (in molti casi valutazioni pre-giuridiche
gli conferiscono ancora connotati di classe). Lesigenza di
un foro terzo avvertita dalle società moderne
si identifica con lefficienza di unAmministrazione e
di una Giustizia internazionali con un grappolo di poteri gestiti
super partes.
Se si boicotta la fiera delle ipocrisie si vedrà che la comunità
internazionale merita un negoziato serio per un lodo di rifondazione
delle istituzioni. Potrebbe essere avviato in apposite Conferenze
pensate per rendere più distaccato dalleroismo degli
interessi il dialogo riformatore (la centralità dellOnu
potrebbe essere rilanciata con un negoziato condotto fuori dallOnu).
Lattuale stato di paura e dincertezza crea solo la Società
della sorveglianza che non è lEldorado per nessuna
Società civile. Iniettato a dosi elevate può essere
fatale, anche sotto il cielo americano, che non può restare
perennemente blindato. Dal gioco crudele del Risiko planetario non
si esce con politiche e strategie che producono una modernità
imposta... e subita.
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