In frangenti
così tempestosi
la forza compatta della Destra
storica fu quella di porre il pareggio di bilancio in vetta a tutti
gli obiettivi.
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«Quanto alla questione di popolarità, capisco anchio
questa facile teoria: che quando si aboliscono le tasse si diventa
popolari. Ma questo è un sistema il quale a breve andare
conduce a rovina e rende necessari, poco dopo, oneri e sacrifici
più gravi che non sarebbero occorsi se non si fossero attraversati
quei periodi di disorganizzazione. Questa popolarità è
un effimero vanto, il quale non produce altro che il dissesto delle
finanze e il male del Paese».
Non fosse per una certa ridondanza del linguaggio, questa citazione
dagli atti del Parlamento italiano potrebbe trarre in inganno il
lettore e fargli credere che queste espressioni siano state formulate
da qualche esponente dellopposizione nel corso di un dibattito
in sede di Commissione, oppure in aula, a Montecitorio oppure a
Palazzo Madama, appena qualche settimana o qualche mese fa. E invece,
se non i concetti, perlomeno la forma espressiva denuncia esplicitamente
lanagrafe ottocentesca del passo citato.
Ma proprio qui sopraggiunge la sorpresa più interessante:
quelle severe parole di richiamo alla necessità di tassare
i cittadini senza illuderli con promesse demagogiche vennero fuori,
nella seduta del 3 giugno 1863, dalla bocca di Marco Minghetti,
uno dei più eminenti rappresentanti della Destra storica,
che una superficiale cultura di sinistra ha così a lungo
dipinto come il più cinico governo della classe borghese
nella storia moderna del nostro Paese.
Certo è un fatto che nellimmaginario collettivo di
parecchie generazioni di italiani anche per merito di sussidiari
scolastici scritti con mano probabilmente più incompetente
che faziosa il nome di Minghetti, e con il suo anche quelli
di Quintino Sella e di Silvio Spaventa, rimangono tuttora collegati
allaborrita imposta sul macinato, lodiosa tassa sul
pane assurta a simbolo del classismo fiscale e politico dei primi
governi dellItalia unita. Ma davvero la tassa sul macinato
fu questo, e solamente questo? Davvero lintera esperienza
della Destra storica merita di essere liquidata e sepolta nel segno
di questo strumento tributario impopolare?
Già alcuni storici come Salvemini, Chabod e Spadolini
avevano offerto giudizi più particolari e positivi
sul peso e sul significato dellopera di uomini come Minghetti
e Sella. Oggi in una fase nella quale i conti della finanza
statale hanno toccato punte di drammaticità non dissimili
da quelle che agitarono i sonni dei primi governanti dellItalia
unita i tempi sembrano maturi per una rilettura complessiva
e più ragionata di unesperienza politica che (sebbene
a costo di una tassazione implacabile, che colpì in modo
particolare le aree del Sud del Paese) riuscì a compiere
in pochi lustri lo straordinario miracolo del pareggio del bilancio.

Costituiscono un impeccabile contributo in questa direzione gli
studi di Gianni Marongiu, docente di Diritto tributario alluniversità
di Genova e alla Bocconi di Milano. Non si tratta di studi a tesi,
anche se lo storico non rinuncia ad esprimere i propri giudizi.
Il fatto è che, prima di esprimersi o sentenziare, lautore
fa intelligentemente parlare i fatti. Ne emerge un affresco dettagliato
di quellepoca, che risulta di grande interesse per il lettore
di oggi. La Destra storica assume il governo della prima Italia
unita (il Veneto e Roma si aggiungeranno in corso dopera)
in condizioni politiche e fiscali estremamente precarie: da un lato,
per la renitenza di molti governi europei a riconoscere il nuovo
Stato, e, dallaltro, per un saldo di bilancio nel quale le
entrate coprono a malapena la metà delle spese.
La conquista della credibilità esterna diventa in questo
modo un imperativo categorico a fini anche di fiducia finanziaria,
e, insieme, un vincolo a una politica economica interna ispirata
al più severo rigore. Come si intuisce fatte le debite
proporzioni una situazione non tanto dissimile da quella
in cui versa lItalia presente nei confronti dellUnione
europea. Ebbene: in frangenti così tempestosi la forza compatta
della Destra storica fu quella di porre il pareggio di bilancio
in vetta a tutti gli obiettivi. Ma la sua grandezza fu quella di
perseguire questa meta chiamando per prime a contribuire
quelle classi agiate, quella borghesia proprietaria da cui gli stessi
Sella e Minghetti provenivano e da cui attingevano il mandato elettorale.
Nelle sue dettagliate ricerche, Marongiu ricorda che la vituperata
e classista tassa sul macinato arrivò soltanto
nel 1868, a compimento di unazione fiscale che fra il 62
e il 64 aveva esteso a tutto il Paese dapprima unimposta
sui terreni, poi unaltra imposta sugli stabili, e infine aveva
introdotto la novità assoluta dellimposta di ricchezza
mobile.
Ma non basta. Nello stesso anno in cui venne istituita la tassa
sul macinato, si applicò una ritenuta sui titoli del debito
pubblico, si aggravò il prelievo sui patrimoni, si introdusse
limposta di famiglia e si ridussero drasticamente le spese,
in particolare quelle militari, che pure stavano molto a cuore alla
corte regia e alla potente casta dello Stato Maggiore e dei fornitori
dellesercito e della marina. Politica impopolare, dunque,
ma che si farebbe davvero fatica a definire anche antipopolare.
Del resto, si deve proprio a questa severa politica della lesina
se lItalia della fine dellOttocento riuscì a
non perdere il treno della prima rivoluzione industriale che stava
attraversando da qualche tempo lintera Europa.
Per gli uomini della Destra storica il pareggio del bilancio non
era un totem, un feticcio ragionieristico. Fin dal 1862, in un discorso
alla Camera, Quintino Sella aveva ammonito: «Come volete che
si trovino capitali per lindustria, allorquando è aperto
un mezzo di collocare con garanzia dello Stato capitali che danno
cotanto profitto?». In altre parole, come si direbbe attualmente,
la riduzione del debito pubblico fu concepita e fu perseguita al
precipuo fine di liberare risorse a vantaggio di nuove attività
produttive e della crescita delloccupazione. Che poi risorse,
attività produttive e occupazione interessarono quasi esclusivamente
il Piemonte, la Lombardia e, in parte minore, la Liguria, vale a
dire quello che in seguito sarebbe stato chiamato il triangolo industriale
della Penisola, è altro discorso; che comunque portò
alle sollevazioni dellItalia estromessa, e per tanta parte
saccheggiata di capitali baronali e di imprese produttive, dal tessile
al meccanico, al navale, al manifatturiero. Problema complesso e
complessivo, questo, che si sarebbe riproposto negli anni a venire
con prepotente urgenza, e che ancora oggi è lontano dallessere
stato risolto.
Si consiglia la rilettura di tutte le vicende dallora ai tanti
profeti disarmati che ancora stentano a liberarsi della nefasta
eredità di una storiografia faziosamente classista sulle
vicende dello Stato unitario. Ma ancor più vivamente si consiglia
a quegli esponenti della sedicente destra attuale a caccia di facile
popolarità con demagogiche campagne e affabulanti promesse
di riduzioni del prelievo fiscale, che comprendono immancabilmente
il ricorso alle una tantum, senza riforme strutturali e quello a
politiche che continuano a penalizzare lo sviluppo dellItalia
esclusa, in nome dellavanzamento di quella privilegiata, localistica,
pretenziosamente isolazionista.
Fossero redivivi, uomini come Minghetti, Sella, Spaventa, non giudicherebbero
i nostri contemporanei come pronipoti «che sbagliano»,
discendenti degeneri. Tuttal più, li considererebbero
come altro da sé.
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