Settembre 2003

 

Indietro
Riannodare
le funi sommerse
Predrag Matvejevic
Da sponda a sponda miti e luoghi comuni
 
 

Scrittore
Docente di Slavistica
Università La Sapienza Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutto è stato detto su questo “mare primario” diventato uno stretto di mare, sulla sua unità e sulla sua divisione. Da tempo sappiamo che non è né “una realtà a sé stante” e neppure “una costante”. Concezioni storiche o politiche si sostituiscono alle concezioni sociali o culturali, senza arrivare a coincidere o ad armonizzarsi.

Le categorie di civiltà o le matrici di evoluzione al Nord e al Sud del Mediterraneo non si lasciano ridurre ai denominatori comuni. Gli approcci dalla fascia costiera e quelli proposti dall’entroterra spesso si escludono o si contrappongono.
L’immagine che offre il Mediterraneo non è affatto rassicurante. La sua riva settentrionale presenta un ritardo rispetto al Nord Europa, e altrettanto la riva meridionale rispetto a quella europea. Tanto a Nord quanto a Sud, l’insieme del bacino si lega con difficoltà al continente. Non è davvero possibile considerare questo mare come un “insieme” senza tener conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano: oggi in Palestina, ieri nell’ex Jugoslavia, in Libano, a Cipro, nel Maghreb, nei Balcani, ecc.
Il Mediterraneo conosce ben altri conflitti tra la costa e l’entroterra.
L’unione europea si compiva quasi senza tener conto delle sponde mediterranee: nasceva un’Europa separata dalla “culla dell’Europa”. Come se una persona si potesse formare dopo essere stata privata della sua infanzia, della sua adolescenza. Le spiegazioni che se ne davano, banali o ripetitive, non riescono a convincere coloro ai quali sono dirette. Non ci credono neanche quelli che le propongono. I parametri con i quali al Nord si osservano il presente e l’avvenire del Mediterraneo non concordano con quelli del Sud. Le griglie di lettura sono diverse. La costa settentrionale del Mare Interno ha una percezione e una coscienza differenti da quelle della costa che sta di fronte. Ai nostri giorni le rive del Mediterraneo non hanno in comune che le loro insoddisfazioni.
Le decisioni relative alla sorte del Mediterraneo sono prese al di fuori di esso o senza di esso: ciò genera frustrazioni e fantasmi. Le manifestazioni di gioia davanti allo spettacolo del Mediterraneo si fanno contenute e fugaci. Le nostalgie si esprimono attraverso le arti e le lettere. Le frammentazioni prevalgono sulle convergenze. Si profila all’orizzonte, da qualche tempo, un pessimismo storico, un “crepuscolarismo” letterario.
Le coscienze mediterranee si allarmano e, ogni tanto, si organizzano. Le loro esigenze hanno suscitato, nel corso degli ultimi decenni, numerosi piani e programmi: le Carte di Atene, di Marsiglia e di Genova, il Piano d’Azione per il Mediterraneo (PAM) e il Piano Blu di Sophia-Antipolis, che proietta l’avvenire del Mediterraneo «all’orizzonte del 2025», le Dichiarazioni di Napoli, Malta, Tunisi, Spalato, Palma de Mallorca, la Conferenza euro-mediterranea di Barcellona, ecc. Simili sforzi, lodevoli e generosi nelle intenzioni, non hanno conseguito che risultati limitati.
A cosa serve ribadire, con rassegnazione o con esasperazione, le aggressioni che continua a subire il nostro mare? Nulla tuttavia ci autorizza a farle passare sotto silenzio: degrado ambientale, inquinamenti sordidi, iniziative selvagge, movimenti demografici mal controllati, corruzione nel senso letterale o figurato, mancanza di ordine e scarsità di disciplina, localismi, regionalismi, e quanti altri “ismi” ancora. Le nozioni di scambio e di solidarietà, di coesione e di “parternariato” devono essere sottoposte a un esame critico. La sola paura dell’immigrazione proveniente dalla costa Sud non basta per determinare una politica ragionata.
Il Mediterraneo si presenta come uno stato di cose, non riesce a diventare un progetto. La costa Sud mantiene le sue riserve, dopo l’esperienza del colonialismo. Entrambe le rive furono molto più importanti sulle carte utilizzate dagli strateghi che non su quelle che dispiegano gli economisti.
Ciascuna delle coste conosce le proprie contraddizioni, che non cessano di riflettersi sul resto del bacino e su altri spazi, talvolta lontani. Gli eventi accaduti lontano dal Mediterraneo si ripercuotono spesso sulle sue rive, con conseguenze gravi e pericolose. L’11 settembre 2001, dopo la distruzione delle torri americane, sono profondamente scosse le relazioni con i musulmani di alcuni Paesi mediterranei. Gli approcci provenienti da lontano indulgono alle generalizzazioni erronee o abusive: l’Islam e l’islamismo non sono la stessa cosa; l’islamismo e il fondamentalismo si differenziano; anche nel fondamentalismo esistono un movimento mistico e un altro militante e terrorista; è quest’ultimo che sostituisce la fede islamica con un’ideologia fanatica, che commette crimini atroci. Non si scontrano le culture in quanto tali, si scontrano le culture alienate, trasformate in ideologie. Anche l’Europa ha conosciuto questo fenomeno: una parte di cultura “ideologizzata” ha nutrito il fascismo e lo stalinismo.
La realizzazione di una convivenza in seno ai territori multietnici o plurinazionali, lì dove si incrociano e si mescolano tra loro culture diverse e religioni differenti, conosce sotto i nostri occhi uno smacco crudele. Non esiste infatti una sola cultura mediterranea: ce ne sono molte in seno ad un solo Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Né le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le ultime. Il resto è mitologia.

Percepire il Mediterraneo partendo solamente dal suo “glorioso passato” rimane un’abitudine tenace, tanto sul litorale quanto nell’entroterra. La “patria dei miti” ha sofferto delle mitologie. Lo spazio ricco di storia è stato vittima degli storicismi. La tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa si perpetua: l’immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo reale non si identificano affatto. Un’identità dell’essere, amplificandosi, eclissa o respinge un’identità del fare, mal definita. La retrospettiva continua ad avere la meglio sulla prospettiva. Ed è così che lo stesso pensiero rimane prigioniero degli stereotipi.

Il Mediterraneo assomiglia ad un vasto anfiteatro che per molto tempo ha visto sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti dei suoi attori sono talvolta noti e prevedibili.
“Elaborare una cultura intermediterranea alternativa”. Mettere in atto un progetto del genere non pare imminente. “Condividere una visione differenziata” è meno ambizioso, senza essere sempre più facile da realizzare.
Tanto nei porti quanto al largo le “vecchie funi sommerse”, che la poesia si propone di ritrovare e di riannodare, sono spesso state rotte o strappate dall’intolleranza o dall’ignoranza. Occorre perciò ripensare le nozioni superate di periferia e di centro, gli antichi rapporti di distanza e di prossimità, i significati dei tagli e degli inglobamenti, le relazioni delle simmetrie a fronte delle asimmetrie. Non basta più osservare queste cose unicamente in una scala di proporzioni o sotto un aspetto dimensionale: possono essere considerate anche in termini di valori.

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2003