Settembre 2003

 

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Una legge
per il Mare nostrum
S.B.
Patrimonio dell’umanità negli abissi
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

All’appello mancavano soltanto la Siria e il Libano. Per il resto c’erano tutti i rappresentanti dei Paesi del Mediterraneo, riuniti a Siracusa per esaminare una bozza di accordo sulla protezione del patrimonio culturale sommerso nel Mare Nostrum. Si temeva che la guerra in Iraq potesse causare non poche defezioni, e invece l’egida della cultura ha rivelato una volta di più la sua fortissima capacità di coesione.
Poiché oggi nulla in mare è più sicuro. Le moderne tecnologie per le indagini ad alta profondità sono alla portata di tutti, si moltiplicano le scoperte sensazionali ma anche i cacciatori di tesori sommersi. E in acque internazionali vige ancora la “Salvage Low”, consuetudine secondo la quale chi trova qualcosa in mare ha diritti reali su di essa. Ogni relitto è una macchina del tempo che, se opportunamente indagata, può fornire informazioni sulle rotte, sulla vita di bordo, sulle costruzioni navali. Mani non esperte rischiano di provocare danni irreparabili. Per questo, dopo anni di incontri, nel 2001 l’Unesco ha varato la Convenzione per la Protezione del Patrimonio Culturale Sottomarino, che definisce “patrimonio dell’umanità” anche tutti i beni storici e archeologici degli abissi. Un duro colpo al Far West sottomarino, che tuttavia deve attendere la ratifica di una ventina di Stati per entrare in vigore.
In realtà, basterebbe la ratifica dei Paesi del Mediterraneo. Per questa ragione l’Italia si è mossa, forte anche di una clausola della Convenzione che incoraggia gli Stati a stipulare accordi bilaterali e regionali. Il Mediterraneo è infatti una civiltà regionale a tutti gli effetti, oltre che il mare più ricco di tesori al mondo, con relitti naufragati in oltre tremila anni di storia. La parola d’ordine a livello internazionale, ma ancor più a livello regionale, è “collaborazione”. Solo un impegno congiunto e coordinato tra Paesi contigui consente di indagare e tutelare il fondale mediterraneo. Evitare che – un esempio per tutti – lo splendido bronzo dell’“Atleta di Fano” finisca misteriosamente al Museo Getty di Malibu. E solo grazie all’aiuto di chi è già attrezzato per la ricerca sottomarina, i Paesi che non possiedono ancora competenze e strumenti possono cominciare a scoprire i propri mari. Come per esempio la Libia, con chilometri di coste e con porti mai indagati, o la Palestina, che spera in un aiuto per sondare il litorale di Gaza.
Convenzione internazionale e accordo regionale in un sol colpo. A Siracusa è sembrato un traguardo assai meno utopistico di quanto potrebbe apparire. Buona parte dei rappresentanti ha dichiarato che il proprio governo è a buon punto nel processo di ratifica della Convenzione, e ha recepito l’importanza del successivo “passo mediterraneo”: il prossimo appuntamento è a Parigi, a fine autunno.
Può essere soddisfatto Mounir Bouchenaki, assistente del Direttore generale dell’Unesco per la cultura, che ha sugellato con la sua presenza l’importanza dell’incontro siracusano. Soddisfatta anche la Regione Sicilia, che con questa iniziativa ha evidenziato il proprio ruolo di leader nel mondo mediterraneo. Ne è il cuore e concentra in sé vantaggi e problemi del Mare Nostrum. Primo fra tutti, il Canale di Sicilia, dalle cui acque nel 1998 è emerso il “Satiro danzante”, ma dove nello stesso tempo lo scopritore del “Titanic”, Robert Ballard, ricercava indisturbato.
Da tempo il Direttore del Servizio Beni Archeologici della Soprintendenza di Trapani aspira a indagare il luogo di rinvenimento del “Satiro”, per scoprire se con lui navigavano altri compagni di danze. Ma chiede correttamente un assenso alla Tunisia. Ancora una volta, dunque, si rinnova la speranza che la cultura sia il migliore corriere diplomatico.

   
   
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