Settembre 2003

STORIA E LEGGENDA DI RICCARDO CUOR DI LEONE

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Ma fu
un fior di ladrone
Ada Provenzano - Lina Possenti - Alfio Barrese
 
 

Fu soprattutto
un gran soldato,
capace di mettere nel sacco
il Saladino, e in grado di tenere in pugno gli uomini in battaglia quando le cose minacciavano di mettersi male.

 

Intricata e intrigante, la vicenda politica e militare di questo avventuroso re d’Inghilterra, può essere inizialmente riassunta così: figlio e successore (1189) di Enrico II al trono inglese, fu tra i capi della Terza Crociata (conquista di San Giovanni d’Acri, 1191); catturato mentre rientrava in patria, fu consegnato all’imperatore Enrico VI, suo acerrimo nemico, che lo liberò solo dopo due anni dietro pagamento di un ingente riscatto. Tornato in Inghilterra, vi sventò i tentativi di usurpazione del fratello Giovanni Senza Terra, e subito ripartì per la Francia, dove riprese i possessi delle terre aquitane, di cui Filippo II Augusto si era impadronito in sua assenza. Era nato nel 1157. Morì abbastanza giovane, nel 1199, senza lasciare grandi rimpianti in patria.

Riccardo Cuor di Leone è uno di quei personaggi storici che sono diventati celeberrimi, e addirittura mitici, senza che la gente in realtà sappia qualcosa di preciso su di loro. Nate nelle capanne dei contadini e dei bracconieri inglesi, carichi di rancore contro il governo del re, contro i suoi funzionari corrotti e le sue imposte rovinose, le ballate di Robin Hood hanno tramandato nei secoli la leggenda del buon sovrano prigioniero in terre lontane che un giorno fa ritorno per raddrizzare i soprusi perpetrati in sua assenza dal fratello malvagio e usurpatore; e in tempi più recenti, grazie all’opera di mass media d’ogni genere, dai romanzi di Walter Scott (Ivanhoe) ai “cartoons” di Walt Disney, hanno contribuito a mantenere popolare questa leggenda. Sicché, quando capita di venire a sapere sul suo conto qualche cosa di più concreto, e soprattutto di meno avvolto nelle nebbie del mistero o nell’alone della favola, è inevitabile restare un po’ perplessi, spaesati.

Intanto: su dieci anni di regno, questo re d’Inghilterra ne trascorse nell’isola soltanto uno, perché la maggior parte dei suoi possedimenti e delle sue ricchezze si trovavano in Francia. Del resto, era un vero e proprio francese: parlava la lingua d’oïl e l’occitano, la lingua di sua madre, e non conosceva una sola parola della lingua inglese. Poiché era un figlio cadetto, la corona d’Inghilterra non era destinata a lui, sicché Riccardo visse fin dopo i trent’anni combattendo e facendo politica come conte di Poitou e duca d’Aquitania, prima che la morte del fratello maggiore lo sbalzasse all’improvviso sul trono inglese. Durante le tumultuose feste per la sua incoronazione, tra l’altro, la plebaglia scatenò feroci pogrom antiebraici, che il nuovo re fece poco o nulla per scoraggiare; dopodiché si affrettò a tornarsene sul continente, dopo essere rimasto in Inghilterra meno di due mesi.
Si comprende benissimo che per gli storici inglesi questo straniero, che si ricordava del suo regno solo e semplicemente quando aveva bisogno di riscuotere delle imposte, sia stato un cattivo re, capace quasi esclusivamente di sperperare ricchezze in sciagurate avventure militari e in una continua quanto inutile pompa cavalleresca. E si comprende altrettanto bene come la leggenda nera del pessimo re Riccardo I sia meno conosciuta dal grande pubblico, dal momento che ha avuto libera circolazione quasi del tutto fra gli specialisti. Ma non per questo è meno radicata, anche se negli ultimi tempi alcuni studiosi hanno cercato di giungere a una sorta di compromesso, vale a dire ad una valutazione più equilibrata della figura di questo personaggio medioevale.

Quello che ne è emerso non è proprio un sovrano da buttar via, né una figura del tutto mediocre; ma piuttosto un politico duro e avventuroso, un generale fortunato che sapeva fare un uso straordinario della propaganda. Riccardo era un grande imprenditore, abituato a fare la politica e la guerra in grande stile, a spendere molto, ad assumere sotto di sé molta gente, ad affidare incarichi in modo strategico, e dunque a badare a un valido ritorno d’immagine. La sua stessa partecipazione alla Terza Crociata, che rischiò di costargli la pelle, ma rischiò soprattutto di mandare in rovina le finanze del regno, bastò per assicurare nel giro di pochissimi mesi la risonanza del suo nome in tutte le latitudini del mondo cristiano, e, per il tramite della leggenda, appunto, la sua immortalità nei secoli futuri.
Visto da vicino, non era comunque un uomo simpatico. Era uno di quei politicanti ambiziosi per i quali non esiste scrupolo morale che tenga quando si tratta di allargare il proprio potere e di impinguare le proprie ricchezze. Gli incessanti litigi, le ribellioni, le riconciliazioni, i tradimenti fra Riccardo, suo padre Enrico, e i suoi troppi fratelli suonano come una squallida saga familiare, una “Dynasty” medioevale; salvo che a quei tempi la lotta per il potere si portava avanti senza tregue, a base di scorrerie e di devastazioni in paese nemico, con villaggi saccheggiati, con bestiame razziato, con prigionieri impiccati agli alberi. Riccardo non si tirò mai indietro davanti a niente di tutto questo, ogni volta che c’era da sottomettere un vassallo, da ribadire un diritto, da allargare un possedimento, e anzi si fece notare come un personaggio che faceva la guerra con ancor maggiore brutalità, determinazione e annessa crudeltà di quanto non fosse consueto al suo tempo.
Anche la più grande impresa della sua vita, la Crociata per la riconquista di Gerusalemme, vista un poco più da vicino, mostra ad ogni momento risvolti non proprio edificanti. Riccardo prese il mare con ottomila uomini, dopo avere attinto abbondantemente al tesoro del padre, Enrico II, e dopo aver proclamato una moratoria sui debiti di tutti coloro i quali si sarebbero imbarcati insieme con lui, a cominciare dai suoi. Durante il viaggio fece un diversivo in Sicilia, dove costrinse Tancredi d’Altavilla, Conte di Lecce, a liberare sua sorella Giovanna (vedova di Guglielmo II il Buono), che questi teneva prigioniera, e a pagargli una fortissima indennità. A Messina si incontrò con Filippo II Augusto, con il quale aveva deciso la crociata, stringendo un patto a Marsiglia, porto dal quale aveva preso il mare. Anche nella città siciliana ritenne di dover stipulare un nuovo contratto con Filippo. Ma neanche questo gli bastò. Diede ordine, infatti, di saccheggiare il porto messinese, oltraggiando gli abitanti della città, che immediatamente si rivoltarono, costringendolo ad allontanarsi velocemente dallo Stretto.
Era il mese di aprile del 1191 quando, attraversato il Mediterraneo, decise di raggiungere l’isola di Cipro. I ciprioti, notoriamente, erano cristiani. Ciò tuttavia non li salvò dalla conquista e dal saccheggio. Anzi. Tolta l’isola a Isacco Comneno, re Riccardo pensò bene di venderla a buon prezzo dapprima ai Templari, e di rivenderla subito dopo a un prezzo maggiore a Guido di Lusignano. Intascati i proventi delle due “cessioni”, finalmente sbarcò in Terrasanta, dove trovò modo di massacrare a sangue freddo prigionieri saraceni in quantità tali da non passare inosservate anche in quel teatro di guerra dove atrocità e rappresaglie erano all’ordine del giorno.

In Palestina riportò alcuni importanti successi: conquistò San Giovanni d’Acri e Ascalona, poi attuò una strategia diversiva, raggiungendo Giaffa e preparandosi alla conquista di Gerusalemme. Batté due volte il Saladino, che pure era un eccellente stratega, oltre che un uomo di straordinaria cultura e sensibilità (fu persino capace di salvare la vita a Riccardo). E tuttavia la Città Santa non fu riportata sotto insegne cristiane. Filippo II Augusto, adducendo a pretesto una malattia, ma in realtà indotto dalle circostanze a curare i propri interessi nella Fiandra e nei feudi plantageneti in Francia, oltre che per procacciare altri nemici a Riccardo, del quale era divenuto rivale, abbandonò la crociata, e dalla Francia diede il suo appoggio a Giovanni Senza Terra, il quale intendeva trasformare la reggenza in possesso definitivo.
A quel punto, Riccardo fu costretto a concludere una tregua col Saladino e tentare un rapido rimpatrio. Ma non per niente durante la crociata si era fatto un gran numero di nemici. Fra costoro, il duca Leopoldo V di Babenberg, da lui oltraggiato a San Giovanni d’Acri, dove aveva sostenuto Corrado del Monferrato contro Guido di Lusignano. Sulla via del ritorno, impossibilitato a sbarcare in Francia, il re fu costretto ad attraversare i territori del Duca, ma, benché travestito, venne riconosciuto, catturato e consegnato a Leopoldo: fatto che alimentò ancor di più l’alone di leggenda che lo avvolgeva, dal momento che, trattandosi di un crociato, destò una diffusissima commozione in tutta Europa.
Il duca, successivamente, consegnò il sovrano all’imperatore Enrico VI, il quale, come abbiamo ricordato, lo rilasciò dietro pagamento di un oneroso riscatto. Giunto in Inghilterra, Riccardo sconfisse Giovanni Senza Terra e i feudatari ribelli; subito dopo, lasciato il governo all’arcivescovo di Canterbury, passò fulmineamente in Francia, dove recuperò i territori appartenenti alla Corona inglese, battendo sul campo i feudatari ostili e Filippo II.
La pace che ne conseguì fu frutto della mediazione di papa Innocenzo III. Riccardo, tuttavia, morì proprio in quell’anno (1199), colpito da una freccia mentre cingeva d’assedio il castello di Châlus, dal cui feudatario (tanto per cambiare) pretendeva la consegna di un tesoro che si diceva fosse stato rinvenuto nella zona.

Privo di qualità politiche, Riccardo non fu privo di gusto poetico, com’è provato da alcuni suoi componimenti. Ma fu soprattutto un gran soldato, capace di mettere nel sacco il Saladino, e in grado di tenere in pugno gli uomini in battaglia quando le cose minacciavano di mettersi male; così che tutti ebbero modo di accorgersi della differenza, nel breve periodo in cui ci fu lui in Terrasanta. E, ovviamente, chi non poté vederlo di persona in quei luoghi, ne sentì parlare dai cronisti e dai rimatori che Riccardo pagava molto bene e manteneva nel lusso, con quel fiuto mediatico che sempre lo contraddistinse. Perfino i suoi lati oscuri, quelli che apparivano tali per la morale di allora, seppe trasformarli in punti di forza: come l’omosessualità di cui si sussurrava in modo anche troppo insistente, e per la quale il re si assoggettò proprio in Terrasanta ad una penitenza così spettacolare da accrescere ancor di più la sua rinomanza.
Si fa fatica a riconoscere a questo aitante soldato dalle mani sporche di sangue il buon re Riccardo delle celebri ballate di Robin Hood? Certamente sì. Ma occorre ricordare che la leggenda non è incominciata con quelle ballate, ha avuto inizio con quel soprannome di “Cuor di Leone” che gli venne affibbiato già dai crociati.E quella era gente che il leone l’aveva visto davvero, e aveva imparato a rispettarlo, nei deserti dell’Oriente; e sapeva molto bene che non è una bestia simpatica, e che il suo fiato ruggente sa di carne. Anche umana.

 


In nome della leggenda

Robin Hood – Eroe leggendario della letteratura popolare inglese. Sarebbe vissuto tra il 1160 e il 1247. Alla testa di una banda di fuorilegge che si nascondevano nella foresta di Sherwood, nelle vicinanze di Nottingham, simboleggiò nella sua tenuta completamente verde la resistenza dei Sassoni all’invasore normanno, e in seguito la rivolta dei contadini contro i nobili e l’alto clero, e dei seguaci di Riccardo Cuor di Leone contro Giovanni Senza Terra. Tra le innumerevoli leggende e le ballate di cui Robin Hood, infallibile arciere, è protagonista, accompagnato dal fedele Little John, la migliore è “Robin Hood e Guy di Gisborne”. La sua autenticità non è del tutto esclusa.

“Ivanhoe” – Romanzo storico di Walter Scott. Ambientato nell’Inghilterra del XII secolo, è il primo romanzo in cui l’Autore abbandona il tema della Scozia, per trattare un argomento squisitamente inglese.
Ivanhoe, figlio di Cedrio, feroce avversario dei Normanni e sostenitore della restaurazione sul trono inglese della stirpe sassone, diventa crociato al seguito di Riccardo Cuor di Leone, suscitando l’ira del padre che lo accusa di scendere a patti col nemico.
Questo intreccio offre allo scrittore lo spunto per descrivere le lotte sostenute dai Sassoni contro i dominatori normanni dopo la conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo I, gli intrighi di Giovanni Senza Terra per usurpare il trono al fratello Riccardo e le leggendarie imprese di Robin Hood.
L’opera ottenne un grandissimo successo in Europa e lanciò la moda del romanzo storico, che ebbe molti imitatori. Nonostante le inesattezze storiche suscettibili di critica, il romanzo ha il pregio di ricreare l’atmosfera di un’epoca in uno stile narrativo fresco e vivace, che giustifica la straordinaria popolarità del libro.

Decima Musa – “Riccardo Cuor di Leone”, il re che combatteva contro feroci musulmani e congiure domestiche, divenne film nel 1954, con la stanca regia di David Butler. Nei panni dell’indomito crociato, c’era George Sanders. Il Saladino, suo avversario ma anche benefattore, avendogli salvato la vita, era Rex Harrison. Tra tante spade, scimitarre e bicipiti, sfolgorava la bellezza corvina di Virginia Mayo.
Dal classico romanzo storico di Walter Scott, Ivanhoe, Richard Thorpe trasse l’omonimo filmone nel 1952. I protagonisti erano grossi calibri: Robert Taylor, Elizabeth Taylor, Jean Fontaine. Il ruolo di re Riccardo, scippato del trono dal perfido Guy Rolfe, venne affidato a Norman Wooland.
Riccardo compare nella lunga serie di film dedicati a Robin Hood che lotta contro i potenti per sottrar loro ricchezze e per salvare il trono del suo amato sovrano, andato a tagliar teste di musulmani in terra di Palestina. La storia del “principe dei ladri” venne portata sullo schermo già ai tempi del cinema muto e conta numerose versioni. Compresi un cartoon di Walt Disney e la parodia di Mel Brooks (“Un uomo in calzamaglia”).
E tra tutti i “Cuor di Leone” della storia, forse il più affascinante sembra essere Sean Connery, protagonista di poche manciate di minuti nel kolossal diretto da Kevin Reynolds, con Kevin Costner, Morgan Freeman, Mary Elizabeth Mastrantonio.
Nulla esclude, comunque, che la catena di montaggio hollywoodiana ritenga definitivamente conclusa la produzione ispirata alle ballate tradizionali inglesi o al romanzo di Scott.

   
   
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