C'è chi profetizza una nostra
rassegnazione
al predominio
della Cina
sull’economia
globale: mi si lasci dire che il pericolo
cinese è abbastanza sopravvalutato.
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Alzare barriere protezionistiche nei confronti dei prodotti cinesi
sarebbe un grave errore. In risposta, Pechino potrebbe bloccare
gli investimenti delle aziende europee, che proprio su questo terreno
possono far fronte alle sfide poste dalla crescita cinese.
Il favore che i cinesi hanno per i prodotti italiani è evidente,
e gli incontri intergovernativi hanno chiarito che il governo di
Pechino ha intenzione di continuare ad avere ottimi rapporti con
il vostro Paese. Certo, ci sono alcuni settori in cui per l’Italia
competere sarà molto difficile, come quello del design, su
cui tuttavia è possibile studiare dei rimedi. E’ difficile
pensare a una tariffa aggiunta sui prodotti cinesi che non suoni
discriminatoria. E’ concepibile invece un sistema di quote
simili a quelle applicate sui prodotti giapponesi. Ma con prudenza:
qualsiasi azione diretta nei confronti della Cina verrebbe interpretata
da quel grande Paese come un'offesa.

Se negli Stati Uniti oggi si parla di dazi, è solo perché
siamo in periodo elettorale. Ecco perché i democratici hanno
proposto una tassa del 27 per cento sui beni cinesi se non verrà
rivalutato lo yuan rispetto al dollaro. Si tratta di un falso problema.
La questione non è la parità col dollaro, ma il surplus
commerciale, che nei confronti degli Stati uniti è pari a
circa 120 miliardi di dollari. Fenomeno che a sua volta deriva soprattutto
dal costo del lavoro: in Cina è pari a un ventesimo di quello
europeo.

La strada non è sicuramente quella di una rivalutazione
dello yuan. Basta fare i calcoli. Anche se il valore della moneta
cinese aumentasse del 40 per cento nei confronti del dollaro, i
salari non farebbero altro che salire a 90 centesimi l’ora.
Il problema della competizione rimarrebbe lo stesso. In compenso,
però, gli effetti sull’economia cinese sarebbero devastanti.
Gli investimenti stranieri si dimezzerebbero. L’effetto deflattivo
si estenderebbe ai prodotti agricoli, i cui prezzi crollerebbero,
rendendo le parti più povere del Paese ancora più
povere. E il tasso di crescita della Cina passerebbe dall’8
a meno 5 per cento.
Allora, come affrontare la questione? Tanto per cominciare, con
il rispetto degli standard imposti dalla World Trade Organization
(Wto): i cinesi stanno cercando di farlo. Ci sono poi tre altre
contromisure prese dal governo di Pechino, che prima di tutto ha
deciso di fare grandi investimenti in prodotti americani. In secondo
luogo, è stato permesso alle aziende presenti in Cina, anche
quelle private, di esportare e investire all’estero, con un
tetto di due milioni di dollari. Infine, è in atto un’espansione
del credito che aiuterà le esportazioni verso la Cina.
Saranno sufficienti queste contromisure? A Pechino, dove il problema
è molto sentito, si parla anche di altro. Di autocontrollo
volontario sulle esportazioni sul modello giapponese, per esempio.
Oppure di una tassa sulle esportazioni, che avrebbe l’effetto
di alzare il prezzo dei prodotti cinesi, e di diminuirne la quantità:
il mio consiglio ai cinesi è di attuare una manovra del genere
soltanto dopo essersi consultati con gli europei e con gli americani.
Il problema è che si tratta di misure più facilmente
applicabili alle grandi imprese che non a quelle piccole. E, come
ogni metodo protezionistico, anche questo non può essere
di lunga durata.
C’è chi profetizza una nostra rassegna pericolo cinese
è abbastanza sopravvalutato: molti dei problemi di cui si
parla, come quello della disoccupazione, esistevano anche prima
che la Cina divenisse protagonista dell’economia globale.
Ricordiamoci che stiamo parlando di un Paese il cui reddito medio
pro-capite è di circa 1.200 dollari l’anno, considerato
sotto la soglia della povertà in Europa. E che ha un prodotto
interno lordo che è pari a un decimo di quello americano.
E’ vero che le esportazioni cinesi hanno avuto una crescita
impetuosa: erano ben sotto l’uno per cento delle esportazioni
globali, adesso sono al sei per cento, e raggiungeranno il 10 per
cento entro i prossimi vent’anni. Non prima. Ma nel frattempo
il contributo della Cina alla crescita globale sarà stato
enorme, come si vede già ora.

Prendiamo gli ultimi due anni di crisi. Mentre le importazioni
dei Paesi del G7 calavano, quelle cinesi aumentavano fino a 70 miliardi
di dollari, una cifra enorme. Il mercato cinese sta aiutando la
ripresa dell’Occidente e anche quella dell'Asia.
C’è chi ritiene probabile che questi contributi positivi
possano essere annullati dagli effetti della competizione. Ebbene:
se parliamo dell’Italia, non credo che questo Paese risentirà
più di altri dell’effetto Cina, anche se il problema
è certamente più acuto per i prodotti del design.
In questi settori, l’unica risposta possibile è mantenere
alta la qualità.
Ma è inutile nascondere che non sarà facile, basti
pensare all’effetto che le aziende giapponesi hanno avuto
sul mercato americano dell’auto. All’inizio, l’autoregolamentazione
delle esportazioni funzionò, ma in seguito portò i
giapponesi a spostarsi sui segmenti più alti del mercato,
in cui divennero estremamente competitivi. Non sarà proprio
facile, insomma.
Per quel che riguarda più in particolare la situazione interna
italiana: credo che i prezzi italiani non siano aumentati per effetto
diretto dell’introduzione dell’euro, ma perché
erano più bassi rispetto al resto dell’Europa.
Come previsto, l’euro ha equalizzato i prezzi, che sono saliti
in particolare per tutti i beni che l’Italia esporta, per
esempio ortaggi, frutta e verdura. Che però sono anche quelli
che influiscono di più sulla percezione della gente.
Infine, per l’economia europea: si riprende più lentamente
di quella americana, dove nel corso di quest’anno è
possibile una crescita del 4 per cento. Possibile, non sicura: bisogna
che i consumi sostengano la ripresa di Wall Street, dove la bolla
speculativa è di nuovo gonfia. Se non lo fanno, la ripresa
sarà più lenta del previsto. Se invece lo fanno, anche
l’Europa seguirà la locomotiva americana, con una ripresa
entro la primavera.
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