Con parole e opere, la Federal Reserve è
riuscita a creare le condizioni migliori per la ripresa
dell’economia
e per la risalita
di Wall Street.
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La domanda è semplice,
ma a suo modo angosciosa, almeno per chi tenta di trovare esiti
positivi per i propri investimenti: drogata, oppure sostenibile?
L’interrogativo che le Borse si sono poste fin dall’estate
scorsa sulla ripresa americana si è per il momento risolto
per il verso giusto, e il fatto è stato festeggiato con la
performance migliore degli ultimi diciassette anni. Dopo tre annate
consecutive di corpose cadute: un Orso tanto prolungato non si sperimentava
dalla Grande Depressione degli arcinoti anni Trenta del secolo scorso.
Ma, archiviato questo anno felice (e del tutto inatteso dodici mesi
prima) e guardando al 2004 nella sua interezza, risorgono immediatamente
non pochi dubbi: il Toro ritornato fuori dalla tana quanto è
realmente robusto? La crescita degli utili delle società
quotate è replicabile, oppure frenerà bruscamente,
da un momento all’altro?
Un valido antidoto ai facili entusiasmi è l’analisi
che emerge dai due primi capitoli dell’ultimo rapporto Ref.
sul mercato azionario. Il primo capitolo è dedicato alle
Borse statunitensi, il secondo a quelle europee. L’andamento
dei titoli azionari sulle due sponde dell’Atlantico è
sempre più correlato: il diapason continua ad essere scandito
da Wall Street. Nel 2003, addirittura, l’andamento è
stato identico (tenendo conto della svalutazione della divisa americana
nella misurazione del rendimento). Perché il nesso è
finanziario e rispecchia le scelte di portafoglio in un ambiente
internazionale sempre più integrato. E perché, lungi
dal trovare forza nell’unione delle monete, i Paesi europei
continuano a marciare ciascuno per conto proprio; l’ipotesi
che con la moneta unica avrebbe infine prevalso una logica settoriale
nella scelta di investimento ha finora trovato clamorose smentite
nella realtà.
Pertanto, l’esito dell’anno in corso sarà determinato
dall’andamento degli indici americani. Sui quali gravano alcune
ipoteche. Posto che sarà un anno di elezioni presidenziali
e che George Bush non lascerà nulla di intentato per essere
rieletto (un elemento a favore di un nuovo rialzo), tuttavia le
politiche espansive non potranno durare, e anzi dovranno da una
parte tornare coerenti con un’economia in espansione (se,
come è probabile, questa tiene: altrimenti per le azioni
sono guai), e dall’altra puntare a riassorbire i deficit gemelli
(in modo particolare quello con l’estero). Questo implica
mantenere la crescita sotto il potenziale per qualche tempo, a partire
dal 2005.
Perciò c’è un rischio di rialzo dei tassi, che
renderà meno convenienti le quotazioni delle azioni, e che
farà venir meno una potente spinta ai consumi. E c’è
un rischio di ulteriore svalutazione del dollaro, che già
si è tradotto in una maggiore fragilità di Wall Street.
Infine, sui conti aziendali pesa l’incognita di fondi di pensione
sottocapitalizzati.
Quindi, secondo il Rapporto, «lo scenario più ottimistico
per la Borsa sarebbe quello della continuità della politica
seguita finora all’insegna della capacità, soprattutto
della Federal Reserve, di governare un contesto macroeconomico contraddittorio,
contrastando le spinte al rialzo sui tassi a lungo termine. In questo
caso, il mercato azionario potrebbe offrire ancora spunti, almeno
fino alla data delle elezioni americane (novembre), con possibilità
di crescita in ogni caso inferiori a quelle dell’anno passato
e soggette a rischi maggiori».
Le Borse di Eurolandia rimangono penalizzate dalle divergenze nelle
dinamiche delle singole economie nazionali. I mercati, infatti,
continuano a non considerare economicamente e politicamente uniforme
l’area-euro. Esiste poi una questione di scarsa rappresentatività
dei listini, che ha giocato a favore del rialzo nel 2003, ma che
potrebbe girare in senso opposto nel 2004: a un’accelerazione
della crescita non necessariamente corrisponderà un miglioramento
degli indici. Comunque, le prospettive appaiono superiori a quelle
americane, perché il rapporto prezzo/utili europeo è
inferiore e potrebbe convergere ai livelli statunitensi.
E veniamo alla corsa delle Borse, di fronte agli ostacoli politici
ed economici previsti per il 2004. Il dollaro rende più rischiosa
Wall Street. Una corsa a termine? Wall Street ha galoppato nel 2003,
spinta da politiche espansive di straordinaria potenza: tassi ai
minimi da quarant’anni a questa parte, massiccia svalutazione
della divisa americana, rinnovato sostegno dal bilancio pubblico
(pari al 6 per cento del Prodotto interno lordo dal 2001). Condizioni
irripetibili, le quali hanno determinato un vigoroso slancio dell’economia,
degli utili aziendali e degli indici di Borsa. Ma hanno anche causato
un quadro macroeconomico instabile, che penalizzerà il rendimento
delle azioni nel medio periodo. Ma, ripetiamo, non prima delle elezioni
presidenziali del novembre 2004. L’aumento del premio a rischio,
ai valori massimi da quattordici anni, rivela la fragilità
attribuita alle attuali quotazioni americane.
Gli utili americani oscillano al ritmo della domanda interna. Dollaro
giù, profitti statunitensi su. Questa altalena fa perno in
teoria su numerosi fulcri: rilancio delle esportazioni, maggiori
margini sull’interno, più alta valutazione degli utili
generati dalle controllate estere. Nella pratica, la relazione normale
è opposta: gli utili sono guidati dalla domanda interna,
la cui forza contagia la Borsa, che attrae capitali e fa salire
il dollaro. Nel 2003 i profitti hanno beneficiato di entrambi gli
effetti positivi (svalutazione del cambio e robusta domanda interna).
Si è trattato di un ambo eccezionale, dunque destinato a
svanire. Inoltre, sugli utili graverà in futuro la sottocapitalizzazione
(stimata in circa 350 miliardi di dollari) dei fondi pensionistici
aziendali.
E ancora. Greenspan ha mantenuto bassi anche i tassi lunghi. Con
parole e opere, la Federal Reserve è riuscita a creare nel
corso del 2003 le condizioni migliori per la ripresa dell’economia
e per la risalita di Wall Street: tassi a breve promessi bassi (fino
a fine 2004, con tutta probabilità) e rialzo modesto di quelli
lunghi. L’equilibrismo verbale del capo della Fed, che ha
usato lo spauracchio della deflazione e il possibile ricorso ad
“armi non convenzionali”, è stato giostrato su
un’economia sempre più sensibile al rialzo del costo
del denaro (famiglie indebitate), affamata di fondi (deficit pubblico)
ed esposta alle decisioni di un solo investitore (la Cina detiene
l’8,5 per cento dello stock del debito federale Usa). Il rischio
di un rialzo dei tassi di mercato diverrà più concreto
nel corso del 2004, se il dollaro continuerà a scendere e
se l’economia mondiale continuerà a correre.

Le Euroborse sono al galoppo, mentre la crescita continua a rimanere
al palo. In altri termini: Borse ok, economia ko. Un 2003 schizofrenico
per l’area-euro. Con una solida spiegazione razionale nella
composizione di Pil e di indici azionari: ciò che conta per
il primo pesa poco nei secondi, e viceversa. Due le eccezioni: i
beni di consumo e il settore finanziario. Lo scollamento tra economia
reale e Borsa è stato comune in tutti i maggiori Paesi, ma
è stato addirittura clamoroso in Germania, che ha subìto
una vera e propria recessione economica e che ha visto Francoforte
salire di un terzo. Stagnazione della domanda interna e apprezzamento
dell’euro contano meno per i settori nei quali operano le
società quotate, per le quali i prezzi delle materie prime
e il rilancio globale dell’high-tech sono più importanti.
Da sottolineare: in Eurolandia le azioni rimangono meno care. In
Europa è sempre Wall Street a dettare i tipi di danza. Lo
storico e stretto legame tra l’andamento di New York e quello
delle Borse europee si è confermato nel 2003, nonostante
la divaricazione nei tassi di crescita delle due economie. Anzi,
in valuta comune il rendimento dell’investimento è
risultato superiore nei Paesi dell’Unione europea, rispetto
all’America. E tale potrebbe rimanere per l’intero 2004,
grazie a fattori favorevoli: margini più ampi di accelerazione
economica, assenza di gravi squilibri macro e di relative necessità
di aggiustamenti, multipli inferiori e convergenti a quelli americani,
rischio dollaro che potrebbe far aumentare il peso delle attività
in euro nei portafogli internazionali.
Infine: moneta unica, ma ancora oggi tanti Paesi diversi. Una sola
moneta, è vero; ma tanti Paesi, cioè altrettanti mercati
azionari. E con rendimenti assai differenziati. Contrariamente alle
attese di convergenza nei cicli borsistici e di preponderanza delle
dinamiche settoriali, è invece proseguita in Eurolandia la
divergenza tra i vari indici di Borsa nazionali. L’effetto-Paese
conta sempre di più rispetto all’effetto-settore. Anche
perché non è rientrato nel 2003 il divario tra le
performances economiche. Mentre gli alterni esiti dei meccanismi
di governance (casi Cirio, Parmalat, Finmatica) hanno ampliato i
divari di premio al rischio. E nel corso del 2004 un rialzo dei
tassi potrebbe riallargare gli spread a scapito dei Paesi più
indebitati (l’Italia, in modo particolare) con ripercussioni
anche sugli indici azionari.
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