Secondo
il Rapporto,
si dovrebbe delineare un risparmiatore
che con energia
ritorna a porsi il problema del futuro, un risparmiatore
che non va
in pensione,
un risparmiatore previdente.
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Le recenti disavventure economiche in cui sono incorse alcune importanti
imprese italiane e di altri Paesi industrializzati hanno scosso
i mercati finanziari, innescando significative reazioni in più
direzioni, quali: riconsiderazione dei poteri di controllo e vigilanza
dei mercati e degli intermediari, introduzione di nuovi strumenti
normativi, disegno di nuovi organismi istituzionali, più
efficaci forme di tutela del risparmio.
Ecco, per l’appunto, il risparmio: grande protagonista della
ricostruzione del Paese, oggi appare da un lato seriamente minacciato
da questi improvvidi eventi e dall’altro destinato a vivere,
comunque, una nuova importante stagione. In questa previsione si
è robustamente aiutati da un’indagine che da oltre
vent’anni fotografa sul campo la morfologia e le articolazioni
del risparmio in Italia attraverso i comportamenti di quanti lo
praticano (o vorrebbero praticarlo).
Come noto, la figura del risparmiatore italiano ha assunto negli
ultimi cinquant’anni un’aureola mitica venendo chiamato
in causa come soggetto essenziale nel circuito virtuoso della crescita
e dello sviluppo del Paese e risultandone esaltate le sue peculiari
virtù per il livello di accumulazione tradizionalmente più
elevato rispetto a quello di altre nazioni. E, invece, sfogliando
le pagine del Rapporto di quest’anno si scopre non senza un
certo sgomento che il mito del risparmiatore italiano sta probabilmente
conoscendo una fase di minore entusiasmo. Aumenta, infatti, dal
38% al 45% la percentuale degli intervistati del campione prescelto
dall’indagine che dichiarano di non essere riusciti a risparmiare,
pur in presenza di un’aliquota crescente di persone (dal 19%
al 27%) che ritengono il risparmio indispensabile. L’aumento
della quota di chi non risparmia è un segnale preoccupante,
perché sintetizza il comportamento di persone che vorrebbero
risparmiare ma sono vincolate dalla carenza di reddito disponibile:
in altri termini, costituisce un indicatore affidabile della riduzione
delle risorse che affluiscono all’operatore famiglie e, quindi,
del loro progressivo impoverimento.
In questa prima radiografia della cartella clinica del risparmiatore
appare evidente come tra le ragioni che inducono a risparmiare sembri
aver trovato la prevalenza in questo periodo il movente precauzionale
rispetto a quello speculativo (secondo la nomenclatura di keynesiana
memoria), come si può desumere dalla crescita del numero
di conti correnti bancari.

Su questo aspetto il Rapporto usa una metafora molto efficace,
affermando testualmente: «Da portaerei da cui spiccare il
volo verso specifiche destinazioni il conto bancario è diventato
un sommergibile con cui il risparmiatore cerca di passare indenne
sotto i marosi dell’incertezza e della stagnazione».
Si possono qui aprire due ulteriori finestre per meglio individuare
gli atteggiamenti dei risparmiatori: la prima concerne il comportamento
delle donne che risultano sempre più direttamente coinvolte
nella gestione delle finanze familiari a testimonianza di un’indubbia
evoluzione sociale. Ebbene, sono proprio le donne a mostrare un
maggiore pessimismo rispetto ai maschi circa la situazione dei propri
redditi futuri; un pessimismo che sembra connotare anche le scelte
di impiego del risparmio, orientandolo decisamente più verso
la liquidità che non verso gli impieghi di lungo periodo.
Ancora due considerazioni per meglio capire i comportamenti delle
persone con il fiocco rosa: da un lato sembra evidente che il tempo
dedicato alla finanza personale è poco per tutti, ma soprattutto
per le donne (l’82% del campione ignora una quantificazione
precisa del tempo dedicato settimanalmente all’informazione
finanziaria); dall’altro le donne risultano più aperte
alle richieste dei promotori finanziari e mostrano una maggiore
facilità nel rispondere, se paragonata alla ritrosia dei
maschi, segnale evidente comunque di un desiderio di voler colmare
il proprio deficit informativo/conoscitivo.

La seconda finestra schiude, invece, la vista del panorama sulle
differenziazioni territoriali che anche in tema di risparmio continuano
a registrare delle caratterizzazioni specifiche; così si
va dall’80% di quanti al Nord Est ritengono il reddito corrente
sufficiente o più che sufficiente per le proprie necessità,
al 72% di quanti al Sud mostrano una spiccata preferenza per il
risparmio anche se con indirizzi peculiari (minore propensione a
utilizzare prodotti del risparmio gestito, minore attrazione verso
l’investimento in titoli azionari, etc.). Atteggiamenti e
preferenze che confermano, in definitiva, l’esistenza di una
significativa pluralità di microcosmi economici.
Tornando a considerazioni dell’insieme, una seconda radiografia
offerta dal Rapporto mette in evidenza come da un lato aumenti il
peso degli ultrasessantenni nella società italiana, e dall’altro
non si manifesti concretamente un’efficace progettualità
del risparmio; per ricomporsi, poi, il tutto in un quadro che ben
si può definire poco entusiasmante. Si osserva, infatti,
che «gli italiani non sembrano prepararsi adeguatamente al
problema pensionistico che secondo gli esperti si risentirà
tra qualche anno e che sembra essere fonte di preoccupazione»
3 per un numero rilevante di persone.
Questa considerazione innesca una serie di ulteriori riflessioni
che vanno dall’opportunità di irrobustire in modo complementare
la scricchiolante previdenza pubblica, all’auspicata maggiore
diffusione di informazioni su prodotti sostitutivi in grado di affiancare
il futuro pensionato nell’aspettativa di mantenimento degli
attuali livelli di consumo. In questa ottica sarebbe certo fondamentale,
da un lato, ipotizzare una o più campagne di sensibilizzazione
sugli aspetti di risparmio previdenziale presso i più giovani;
dall’altro, spingere sempre più nelle direzioni di
un’aumentata trasparenza del sistema bancario, di un migliore
livello di informazione degli intermediari e di un loro più
accentuato grado di comprensione delle esigenze dei risparmiatori.
Ecco perché, secondo il Rapporto, in uno scenario largamente
condivisibile e desiderabile si dovrebbe delineare un risparmiatore
«che con energia ritorna a porsi il problema del futuro, un
risparmiatore che non va in pensione, un risparmiatore previdente».
E', questo, un quadro troppo idilliaco?

Forse per ora, anche se vi sono segnali che fanno bene sperare
per un’evoluzione che sia orientata in modo tale da consentirne
la piena realizzazione. Ne citiamo un paio.
Si prenda ad esempio il capitolo del remote banking che bene può
essere portato a paradigma di queste future speranze e possibili
certezze. Cominciamo dall’identikit dell’utilizzatore
di questi servizi tracciato dal Rapporto di quest’anno. Sesso
maschile, età compresa tra i 18 e i 29 anni, livello di istruzione
universitario o comunque elevato, molto spesso imprenditore o libero
professionista, appartenente a fasce di reddito elevato, residente
nel Nord Italia e in particolare nell’area orientale. Un identikit
che se conferma quello delineato nelle precedenti edizioni del Rapporto
introduce un paio di elementi che vanno analizzati con maggiore
cura. Il primo, la crescente diffusione di questi servizi tra gli
“over 50” e ugualmente una sua maggiore popolarità
tra le classi di reddito meno elevato. Se quest’ultima caratteristica
può essere causata dallo sviluppo del remote banking tra
i ventenni e i pensionati, ossia classi di età tradizionalmente
appartenenti a livelli reddituali meno elevati, vale la pena di
spendere qualche parola in più sull’infoltimento del
plotone degli “over 50”. Infatti, queste persone sembrano
aver superato la barriera della diffidenza tecnologica, sospinte
principalmente dalle favorevoli condizioni alle quali questi servizi
sono offerti e dalla numerosità delle banche di maggiore
peso presenti in questo segmento. Due aspetti che continuano a segnare
il successo di questo specifico mercato e che rendono, però,
indifferibile la soluzione di due criticità che potrebbero
forse pregiudicarne l’ulteriore sviluppo in un prossimo futuro:
da un lato la mancanza di un’adeguata integrazione tra diversi
canali distributivi da parte dello stesso intermediario finanziario,
dall’altro il numero qualitativamente limitato di operazioni
da effettuare tramite Internet, che sollecita un miglioramento delle
piattaforme operative.
Dunque, due criticità/opportunità alle quali va aggiunta
una terza: la riscontrata carenza da parte degli intermediari di
politiche di marketing appropriate e differenziate per soddisfare
le esigenze e le attese di questo esercito di nuovi clienti. Un
vuoto da colmare per onorare un ruolo primaziale più volte
riconosciuto dalle stesse autorità monetarie agli intermediari
e in particolare al sistema bancario; e anche per confermare la
sostanza di un rapporto fiduciario spesso evocato nel corso di questa
indagine.
E, venendo al secondo segnale, vogliamo ricordare come negli attuali
orizzonti compaia anche il nuovo strumento delle carte prepagate,
la cui rapida diffusione e il crescente successo possono farsi risalire
sia alla non necessaria contestuale titolarità di un conto
corrente bancario (investendo, quindi, una fascia di clientela ancora
più allargata), sia alla garantita tutela della riservatezza
in caso di transazioni nell’ambito del commercio elettronico
o in quello dei circuiti legati a terminali POS. Un ulteriore significativo
segnale di quanto l’innovazione sia sempre presente nei comportamenti
dell’homo oeconomicus e del risparmiatore in particolare (in
questo caso nella sua qualità di consumatore di prodotti
finanziari). Una conferma di un’attenzione al nuovo che non
fa, comunque, dimenticare la tradizione dei comportamenti virtuosi
e che, invece, richiama con vigore la necessità della presenza
di un “sistema Paese” che affianchi e sostenga un risparmiatore
sempre più in cerca d'autore.
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