Una guida da parte di Berlino,
di Parigi e di Londra non può funzionare e,
se funzionasse,
sarebbe di sicuro pericolosa.
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Il direttorio, la leadership
creata dai tre “grandi” Paesi europei (Inghilterra,
Francia e Germania), non è una gran risposta ai nostri problemi.
Anzi, dal punto di vista di un economista, è probabilmente
la peggiore risposta possibile. Se l’economia europea soffre
per incapacità di governo, per la mancanza di un potere pubblico
in grado di orientare le scelte comuni, di farsi rispettare nelle
trattative internazionali e di stimolare la rincorsa all’efficienza,
ebbene, allora si può tranquillamente dire che una guida
da parte di Berlino, di Parigi e di Londra non può funzionare
e, se funzionasse, sarebbe di sicuro pericolosa.
La prima ragione per la quale il direttorio non può funzionare
è che non sarebbe in alcun modo responsabile dell’euro.
La moneta europea ha aumentato di molti punti percentuali il proprio
valore nei confronti del dollaro nell’arco di poco più
di due anni. Si possono fare tutti i discorsi che si vuole sulla
minore produttività del lavoro europeo, sulla necessità
di rendere flessibile il mercato, sull’urgenza di aumentare
il tasso di occupazione, eccetera. Ma quando il costo nominale del
lavoro aumenta di quasi metà per colpa della sola moneta,
allora nessuna logica di politica del lavoro ha realmente senso
fino a che non si interviene sulla stabilizzazione dei cambi.
Ma il problema è che un’Europa che cercasse di far
sentire la propria voce attraverso i tre maggiori Paesi non sarebbe
per nulla credibile nei negoziati valutari: intanto, perché
uno dei tre Paesi, il Regno Unito, non partecipa nemmeno alla moneta
unica e quindi non si capisce a che titolo possa impegnarsi per
conto di Paesi esclusi dal negoziato, ma che invece partecipano
all’euro. In secondo luogo, perché il negoziato valutario
è stato in sostanza delegato perfino dai governi dei Quindici
Paesi alla Banca centrale europea.
Nella riunione del G7 a Boca Raton è stato il Governatore
europeo a condurre le trattative. Ma i tre Grandi non hanno alcun
titolo per condizionare la linea negoziale della Banca centrale
europea. Anzi, la cornice istituzionale in cui la Bce opera è
molto chiara e ha come interlocutori il Parlamento europeo e il
Consiglio dei ministri finanziari.
La seconda ragione per cui il “Directoire” si rivelerebbe
addirittura controproducente è che un’alleanza tra
Inghilterra, Francia e Germania sembra fatta apposta per concordare
linee di difesa dei maggiori gruppi industriali, in modo particolare
in Francia e in Germania. Non è un segreto per nessuno che
l’iniziativa del Supercommissario per l’Economia sia
un’idea ispirata dal Cancelliere tedesco, il quale infatti
ha richiesto che la carica venisse assegnata a una personalità
del suo Paese, per tamponare le iniziative liberalizzatrici avviate
in questi anni dal Commissario per la concorrenza, Mario Monti.
Il Cancelliere teutonico è seriamente scioccato dalla possibilità
che la Commissione di Bruxelles porti un definitivo e chiarificante
attacco alla Volkswagen.
Il gruppo automobilistico di Wolfsburg, i cui bilanci sono a dir
poco illeggibili e misteriosi per qualsiasi analista finanziario
dell’emisfero occidentale, ha la caratteristica di essere
la matrice industriale del Land del Cancelliere stesso, che ne fu
– in qualità di premier del Land Bassa Sassonia –
anche presidente del Consiglio di sorveglianza. Nuovi attacchi all’industria
sarebbero recepiti come una provocazione politica alla quale il
Cancelliere intende replicare con una contromossa politica.

Non può sorprendere che la proposta abbia ricevuto grande
accoglienza nella capitale francese, dove il presidente della Repubblica
si è già mosso in passato per difendere il gigante
pubblico dell’elettricità, già finito nel mirino
del Commissario Monti negli ultimi anni per le condizioni di privilegio
in cui opera non soltanto in Francia, ma anche sul mercato europeo.
Nelle dichiarazioni che hanno accompagnato il vertice di Berlino
del febbraio scorso è emersa la necessità di difendere
i “campioni nazionali”, cioè le maggiori imprese
di ciascun Paese. Difenderle ovviamente dalla concorrenza straniera,
attraverso una tutela reciproca offerta dai maggiori partner politici.
La definizione di campioni nazionali appartiene agli anni Settanta.
La sua applicazione politica porterebbe l’economia europea
allo stesso gramo periodo. Sarebbe, in concreto, un gran salto mortale
all’indietro.
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