Al Consiglio
europeo dello scorso marzo
il rilancio del grande progetto
di Lisbona doveva essere al primo punto, ma a causa dell’emergenza
terrorismo è stato appena sfiorato.
|
|
Come per l’Europa politica,
anche per l’Europa utile di cui ci occupiamo su questa Rivista
non sempre tutto va bene e si conclude con belle o almeno decenti
figure. Qualche settimana dopo il Consiglio europeo di primavera
(26-27 marzo), durante un convegno organizzato a Roma dalla rappresentanza
italiana della Commissione Europea, abbiamo sentito ripetere da
molte voci la seguente, preoccupata domanda: «Non è
il caso di ribattezzare il “processo di Lisbona”, di
chiamarlo “processo a Lisbona”?».
Il “processo” di Lisbona, lo ricordiamo ai nostri lettori,
fu avviato nella primavera del 2000 nel corso di un Consiglio Europeo
svoltosi nella capitale portoghese. Nel numero del giugno 2002 di
questa Rivista noi lo definimmo “il grande progetto”
con la piena convinzione che l’aggettivo fosse più
che meritato. Da Lisbona era partita una strategia che prometteva
nientedimeno di mettere in ginocchio uno dei più gravi, forse
il più grave dei problemi europei, la disoccupazione. Si
dichiarava l’impegno a creare, entro il 2010, ben 20 milioni
di nuovi posti di lavoro , di cui una buona percentuale riservata
alle donne e perfino agli anziani tra i 55 e i 64 anni. Tra questi
ultimi, almeno il 50 per cento (contro il 38 per cento del 2000)
avrebbe dovuto ottenere un’occupazione entro dieci anni.
Questo il “processo di Lisbona”; che però, com’è
stato detto nel convegno di Roma – e in tante altre sedi –
rischia di diventare un “processo a Lisbona”, di essere
oggetto cioè di giudizi decisamente negativi, dato che le
promesse di quattro anni fa stanno muovendo verso la realtà
con passo da lumaca pigra e qualche volta subiscono addirittura
battute d’arresto o arretramenti.
Questa tendenza risente naturalmente delle difficoltà della
situazione economica europea ma un peso anche maggiore ha il non
adeguato impegno di molti governi nella lotta alla disoccupazione.
Fatto sta che accanto ad alcuni modesti progressi (ad esempio quelli
registratisi in Italia nell’ultimo anno) ci sono i rilevanti
insuccessi della politica dell’occupazione della Germania,
di altri Paesi e, in genere, mediamente, dell’Unione Europea.
Un esempio: la percentuale di chi lavora tra gli ultracinquantacinquenni
in quattro anni è aumentata di un punto (dal 38 al 39 per
cento). Nei sei anni che restano prima del 2010, per riuscire a
raggiungere il traguardo del 50 per cento, bisognerebbe dunque moltiplicare
per 11 il risultato ottenuto dal 2000 ad oggi! Sembra poco di più
che un’utopia e le stesse istituzioni europee non sono del
resto impegnate al meglio per vestirla, o almeno travestirla, di
una sembianza di concretezza. Al Consiglio europeo dello scorso
marzo il rilancio del grande progetto di Lisbona doveva essere al
primo punto. Ma in presenza di urgenze per la verità altamente
drammatiche – quali la difesa dalla lotta senza quartiere
scatenata dal terrorismo – l’argomento è stato
appena sfiorato. Speriamo se ne riparli, e facendo seguire atti
apprezzabili alle dichiarazioni di buone intenzioni, prima che davvero,
e irreversibilmente, il “processo di Lisbona” divenga
“processo a Lisbona”.

Già allo stato dei fatti non possiamo comunque evitare di
riconoscere che a volte anche l’Europa utile, come l’Europa
politica, subisce sconfitte e battute d’arresto. Altrettanto
realisticamente dobbiamo però aggiungere che complessivamente
l’Europa utile continua a dimostrare buona, anzi ottima salute
e notevole efficienza. Avviene in un numero rilevante di casi: tra
i quali – lo ammettiamo – pochi o forse nessuno hanno
la dimensione e l’importanza del “grande progetto”,
ma che sommati l’uno all’altro compongono un impegno
senza precedenti per migliorare in meglio la condizione di vita
dei cittadini.
Da quando abbiamo iniziato questa rubrica – poco meno di tre
anni fa – lo abbiamo visto con tanti esempi riferiti ai numerosissimi
campi di attività dell’Europa utile: dalla tutela della
salute alla difesa dei diritti dei consumatori, dai programmi per
i giovani agli aiuti alle imprese, dagli interventi contro le catastrofi
naturali a quelli per mettere a disposizione di un gran numero di
persone la conoscenza e i benefici delle nuove tecnologie, fino
alle misure contro la concorrenza sleale in ogni settore produttivo,
compreso – come ricorderete – quello delle figurine.
Eccetera, eccetera.
Un eccetera eccetera che, aggiungendo altri esempi a quelli di cui
abbiamo già parlato, continueremo su queste pagine, sperando
di contribuire di nuovo a dimostrarvi che, nonostante qualche piccola
o grande sconfitta, l’Europa utile merita l’attenzione,
l’interesse e l’apprezzamento dei cittadini.

L’eccetera eccetera di questo numero riguarda la carta europea
di assicurazione malattia e gli interventi a favore del cinema prodotto
nei Paesi dell’Unione. Con la prima, ha detto Romano Prodi
(presentandola il 26 marzo al Consiglio Europeo di Bruxelles), i
cittadini «avranno un utile pezzo d’Europa in tasca».
Grazie alla carta sanitaria europea infatti tutti i cittadini che
per vacanze, scambi scolastici, lavoro o altro si spostano da un
Paese dell’Unione all’altro (sono, ogni anno, alcuni
milioni), in caso di malattia o infortunio hanno garantita, ovunque
si trovino, assistenza medica, ospedaliera e farmaceutica. Avviene
dal primo giugno in dodici Paesi: Belgio, Francia, Lussemburgo,
Spagna, Germania, Grecia, Irlanda, Svezia, Danimarca, Finlandia,
Norvegia, Estonia e Slovenia (nell’elenco, come noterete,
c’è anche la Norvegia, che pur non facendo parte dell’Unione
spesso fa propri alcuni programmi comunitari). In altri 14 Paesi
(tra cui c’è l’Italia) la carta sarà circolante
e funzionante in un prossimo futuro, non oltre comunque la fine
del 2005.
Non è, va precisato, la prima iniziativa europea per assicurare
assistenza sanitaria a coloro che, in un precedente articolo, noi
abbiamo chiamato gli eurotrotters, cioè i cittadini che viaggiano
da un Paese dell’Unione all’altro. Già da alcuni
anni era a loro disposizione, presso le aziende sanitarie della
loro città di residenza, un modulo – l’E111 –
che, in caso di bisogno, avrebbe dovuto garantir loro visite mediche,
cure, perfino ricoveri in qualsiasi angolo dell’Unione. In
realtà, in gran parte degli angoli dell’Unione il documento
veniva accettato con difficoltà, talvolta con procedure di
esasperante lentezza e spesso solo in presenza di problemi di salute
molto gravi, ad esempio in situazioni che richiedevano un pronto
soccorso. Con la carta sanitaria di malattia tutto dovrebbe andare
più liscio e in fretta. «Avere cure efficienti lontano
da casa diventa ora facile», ha detto Prodi.
Cure europee efficienti sono promesse oltreché ai cittadini
che viaggiano all’interno dell’Unione anche... al cinema.
Avviene in presenza di una crisi preoccupante.
Il cinema europeo è soffocato dalla concorrenza americana.
Su 100 film proiettati nelle sale dei Paesi dell’Unione soltanto
il 30 per cento – meno di un terzo – sono di produzione
europea. Il 66 per cento sono americani, il 4 per cento di Paesi
di altri continenti. E’ soprattutto la forza economica (anche
se non solo essa) a far guadagnare a Hollywood il primato nella
produzione e nella distribuzione. Per contrastarla e per dare ai
film europei la possibilità di confrontarsi ad armi pari
con quelli statunitensi l’Unione Europea ha deciso di sostenere
il proprio cinema.
Tra il 2001 e il 2002 per favorire la produzione di film europei
è stato assegnato un miliardo di euro. La fetta più
grossa è andata alla Francia: 450 milioni di euro per 163
film prodotti. In Italia l’Unione è intervenuta per
sostenere 96 opere cinematografiche. In Spagna i film che hanno
ottenuto finanziamenti europei sono stati 80, in Gran Bretagna 64,
in Polonia 29.
Il problema è rimasto lontano dalla soluzione, come recentemente
ha ammesso Mario Monti commissario europeo per i problemi della
concorrenza. Ma qualche accenno di miglioramento si è visto
e ha permesso di capire che – per evitare maggiori disastri
– la strada intrapresa andava continuata. Ecco perché
il 17 marzo di quest’anno è stato deciso di prolungare
fino al 30 giugno 2007 gli interventi a favore del cinema europeo
e di operare alcune correzioni nella strategia che, finora, ha guidato
l’assegnazione dei finanziamenti. Applicando quel vecchio
e collaudato principio secondo il quale l’unione fa la forza,
si è scelto tra l’altro di impegnarsi più che
in passato a favore delle coproduzioni tra diversi Paesi europei.
Nei nuovi programmi dell’Unione a favore del cinema sono entrate
anche una serie di iniziative per il coinvolgimento del pubblico:
il quale in definitiva, quando sceglie un determinato film, è
il primo a determinare la fortuna o la disgrazia del cinema europeo
o americano.
Questa elementare verità evidenziata nei programmi dell’Unione
è del resto fatta propria da molti tra gli stessi protagonisti
del cinema europeo. Lo conferma il fatto che una delle giornate
dell’edizione del 2004 del festival di Cannes – martedì
18 maggio – è stata interamente dedicata a film prodotti
nell’Unione.

Lunga e difficile, in definitiva, resta la strada verso l’obiettivo
di un successo europeo – o di almeno un risultato di parità
– nel match con il cinema americano. Ma la speranza è
stata messa in marcia. Grazie, di nuovo, all’Europa utile.
|