Il fatto stesso che si tengano ogni quattro anni
elezioni
parlamentari
rappresenta una conquista per chi ricorda i tempi
del mitico Pcus, con il suo ferreo Politburo e con
le parate sulla Piazza Rossa.
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Il processo di democratizzazione dellex Impero sovietico
ha ormai quindici anni alle spalle. Si tratta di unarea immensa,
che si estendeva dallEstremo Oriente al Mar Baltico e dal
Circolo polare artico agli spazi geopolitici cinese, indiano, persiano,
turco e arabo. In questarea, allUnione Sovietica sono
succeduti quindici Stati indipendenti, i quali sono andati ad affiancarsi
alle Repubbliche satelliti dellEuropa orientale,
centrale e balcanica, (nelle quali, a loro volta, nuovi Stati sono
nati dalla dissoluzione delle federazioni cecoslovacca e jugoslava).

Dal punto di vista dei traguardi raggiunti dai processi di democratizzazione,
questi numerosi e variegati Paesi (in tutto, ventisette) possono
essere raggruppati in quattro categorie. Un primo gruppo ha visto
la nascita di istituzioni libere e pluraliste e di nuovi sistemi
politici, con frequenti alternanze al potere. La grande instabilità
che ha caratterizzato quasi tutti questi Paesi non ha impedito alle
classi dirigenti di perseguire la riforma radicale del sistema economico
e la creazione di istituzioni di libero scambio, e ha visto affiorare
le strutture di una società civile plurale, che del resto
in alcuni Paesi erano già presenti (si pensi, ad esempio,
alla Chiesa cattolica in Polonia), oppure potevano vantare non lontani
precedenti storici (è il caso della ricca tradizione pluralistica
della Cecoslovacchia prima dellavvento del comunismo).
Il coronamento di questo percorso è stato, per questi Paesi,
lingresso nellUnione europea. Un caso simile, ma con
unaccelerazione ancora maggiore, era stato quello dellex
Repubblica Democratica Tedesca, integrata a tappe forzate in Occidente
fin dal 1990. Se si afferma che le istituzioni politiche di questi
Paesi non sono oggi sostanzialmente differenti da quelle dellOccidente
europeo, si esagera forse un poco, ma non si è lontani dalla
realtà. Ovviamente, stiamo parlando di Polonia, Repubblica
Ceca, Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Estonia, Lettonia e Lituania.

Un secondo gruppo di Paesi ha invece compiuto alcuni significativi
passi in avanti nel processo di democratizzazione, ma diversi fattori,
di ordine geopolitico, storico, economico e sociale, non consentono
di considerare compiuto il processo di democratizzazione. E
il caso della Romania, della Bulgaria e della Croazia, ove rispettivamente
lancora enorme peso di una forza post-comunista non del tutto
riformata, lemersione di un partito personale attorno allex
monarca Simeone Saksocoburgovsky, e le conseguenze della guerra
seguita alla dissoluzione dellex Jugoslavia, delineano uno
scenario balcanico ben diverso da quello centro-europeo dei Paesi
ormai ammessi nellUnione europea. Ancora più complessa
è la situazione di altri cinque Stati balcanici (Serbia-Montenegro,
Albania, Macedonia, Moldavia e Bosnia-Erzegovina) nei quali per
un verso il regime comunista aveva conosciuto asprezze inaudite,
che hanno lasciato tracce pesantissime nella struttura culturale,
oltre che socio-economica (è il caso albanese), e per un
altro verso la complessa composizione etnica e la tragedia dellex
Jugoslavia rendono tuttora problematico il consolidamento di società
e di istituzioni democratiche. Se queste ultime sono formalmente
presenti, il corpo sociale fatica ad adattarsi ad esse e a renderle
vitali, anche come luogo di civilizzazione e di moderazione dei
conflitti.
Un terzo gruppo include lUcraina e i tre nuovi Stati nati
nel 1991 nel Caucaso: Georgia, Armenia e Azerbaigian. Di questi
ultimi Stati, (collocati in un contesto delicato, segnato dal conflitto
ceceno, dalla presenza di ingenti risorse petrolifere e da labili
confini etnici), soltanto lArmenia ha compiuto passi significativi
verso la creazione di strutture democratiche. Negli altri due Paesi
caucasici e nellUcraina il pendolo della storia dellultimo
decennio ha invece visto una preoccupante oscillazione tra lautoritarismo
di gerarchi tardo-comunisti (Shevardnadze a Tblisi, Aljev a Baku,
Kravciuk e poi Kutchma a Kiev) e il nazionalismo estremista dei
loro oppositori, da Gamsakurdia ad Elchibey. Le regole democratiche
formalmente in vigore in questi Paesi velano appena uno scenario
nel quale la democratizzazione appare inceppata.
Il quarto gruppo di Stati, infine, include le cinque ex Repubbliche
sovietiche dellAsia centrale: Uzbekistan, Kazachstan, Kirghizistan,
Tagikistan e Turkmenistan. In questi Paesi lautoritarismo
è più che evidente anche nelle strutture giuridico-costituzionali,
e il contesto culturale è ben distante dal mondo europeo,
e pertanto pone problemi diversi e più complessi. E senza
dubbio analoga sembra essere la situazione in Bielorussia.
In questo articolato panorama, dove va collocata la Russia di Vladimir
Putin? Il drammatico periodo apertosi con il crollo del comunismo
è forse ad una svolta, nel senso di un consolidamento di
strutture di potere basate non soltanto su una persona, ma su coalizioni
sociali ampie, che vedono nel Presidente lelemento catalizzatore.
Ma il sistema politico appare più caucasico che balcanico,
cristallizzato comè sullalternativa tra nazionalisti
e comunisti, con una preoccupante eclissi delle forze liberali,
con limiti evidenti al pluralismo sociale e politico e con un Presidente
quasi onnipotente, che ha di fronte a sé un Parlamento alquanto
debole. Inoltre, a Mosca come nel Caucaso, non si è ancora
dato levento topico che segna un passaggio essenziale nei
processi di democratizzazione: lalternanza non violenta al
potere, prodotta mediante elezioni. In luogo di ciò, si è
avuta nel Duemila una sorta di successione dinastica (da Eltsin
a Putin) e, in precedenza, il consolidamento di un Presidente mediante
un colpo di Stato contro il vecchio regime, che con Gorbaciov stava
conoscendo trasformazioni profonde, riforme graduali ma indirizzate
verso la modernizzazione del Paese, dialogo con lOccidente
e, in ultima analisi, fine della Guerra Fredda.

Certo, il fatto stesso che si tengano ogni quattro anni elezioni
parlamentari formalmente pluraliste rappresenta una conquista per
chi ricorda i tempi del mitico Pcus, con il suo ferreo Politburo
e con le parate sulla Piazza Rossa. Ma gli standard occidentali
di democrazia, pur con tutte le loro contraddizioni, sono per la
Russia ancora lontani. Il che rappresenta oggettivamente un handicap
tanto per lEuropa quanto per gli stessi Stati Uniti, o quanto
meno per quelle forze politiche americane aperte al progresso planetario,
non isolazioniste e meno che mai ostili a un equilibrato sviluppo
fra le grandi aree geo-politiche del mondo.
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