L Europa,
malgrado il suo enorme mercato
interno, è sempre
in attesa di una
ripresa che venga dallestero con la speranza di
poterla agganciare attraverso lexport.
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La ripresa economica in Europa ancora non si vede. Anche negli
Stati Uniti si stenta ad uscire dalla recessione, anche se il tasso
di crescita vi resta decisamente più elevato. Le differenze
fra i due continenti sono evidenti, specie se si confrontano le
evoluzioni degli ultimi dieci anni, durante i quali lEuropa
ha avuto una crescita lenta, mentre gli Usa hanno conosciuto il
decennio di massimo sviluppo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Questa differenza di comportamenti ha suscitato molte analisi, che
hanno individuato i punti di forza degli Stati Uniti, di volta in
volta, nella flessibilità del mercato, nel minor peso dello
Stato, nella crescita della produttività, nelle spese in
ricerca e innovazione, nellaumento della popolazione, nella
capacità (vera o presunta) di gestire attivamente la politica
economica. Da qui, una serie di suggerimenti allEuropa, volti
generalmente a fare le necessarie riforme a livello
nazionale per essere più competitiva o per poter agganciare
la ripresa che gli Usa si apprestano a conoscere.

Resto convinto che i Paesi europei abbiano bisogno di riforme,
ma dubito che il modello di crescita europea debba continuare ad
essere quello delle competitività nazionali per poter agganciare
la ripresa che altri Paesi si incaricheranno di avviare. LEuropa
è (dal primo gennaio 2004) un continente con oltre 400 milioni
di abitanti mediamente ricchi. Si tratta del più grande e
più evoluto mercato di consumi e di investimenti esistente
sul pianeta. Logica vorrebbe che questo mercato, assieme a quello
Usa, fosse il traino della crescita mondiale, a cui si dovrebbero
agganciare le economie dei Paesi in via di sviluppo. Questo grosso
mercato di consumo dovrebbe essere capace di selezionare prodotti
e servizi innovativi, grazie ai milioni di consumatori colti e sofisticati
che lo caratterizzano. A sua volta questo mercato dovrebbe favorire
la nascita e lo sviluppo di nuove imprese, capaci di soddisfare
le esigenze di consumatori evoluti, e in grado quindi di essere
sempre allavanguardia dellinnovazione di prodotto e
di processo. Le imprese europee avrebbero dunque il grande vantaggio
di essere vicine al mercato più evoluto e potrebbero così
battere la concorrenza delle imprese di altri mercati, le quali
avrebbero solo il vantaggio dei minori costi di produzione
e delle minori normative.
In questo processo ci sarebbe spazio per tutti. I Paesi di vecchia
industrializzazione crescerebbero soprattutto grazie alla domanda
interna sofisticata, che garantirebbe un vantaggio competitivo alle
imprese e al lavoro nazionale (si pensi alla necessità di
servizi evoluti necessari ai consumatori europei che devono essere
forniti in situazione di prossimità e quindi che favoriscono
il lavoro nazionale). I Paesi di nuova industrializzazione avrebbero
ampi spazi di esportazione nelle produzioni più tradizionali
e nelle componenti a minor valore aggiunto. I Paesi in via di sviluppo
potrebbero inserirsi negli spazi via via lasciati liberi da quelli
di nuova industrializzazione, posto che in essi si formerebbero
diseconomie di scala e processi di emancipazione sociale con conseguenti
aumenti dei costi di produzione.
Può sembrare un quadro troppo teorico, ma questo è
stato il processo di sviluppo degli anni Cinquanta e Sessanta, quando
i mercati maturi erano pochi (Stati Uniti, Regno Unito e poco più);
lItalia, assieme ad altre nazioni europee, era un Paese di
nuova industrializzazione, e la maggior parte degli altri continenti
erano unarea in via di sviluppo.

Perché tutto questo non avviene in Europa? Perché
il mercato interno europeo non è stato ancora effettivamente
realizzato e la domanda interna di consumo non riesce a crescere
con quella libertà che serve a produrre innovazione. Infatti,
i consumatori europei non riescono ad esprimere una domanda originale
e moderna perché sono ostacolati da politiche di stampo corporativo
che frenano la crescita quantitativa dei consumi e ne impediscono
levoluzione qualitativa. La politica agricola europea carica
sui consumatori il pesante costo dei sussidi, generando prezzi elevati
nellalimentazione che frenano altre spese di consumo. Lo stesso
avviene per i servizi pubblici nazionali (elettricità, gas,
trasporti aerei, ferrovie, ecc.), che sono protetti a livello nazionale
e che assorbono risorse dei consumatori per consumi tradizionali
non innovativi. Inoltre, gli Stati nazionali (o le Regioni) pretendono
di fornire in regime di monopolio (o quasi) ai consumatori europei
una quantità di servizi personali (sanità, istruzione,
sport, spettacoli, ecc.) dai contenuti potenzialmente molto innovativi,
finanziandoli con il sistema fiscale e sottraendoli perciò
alla spinta innovativa del mercato.
In questa situazione, il consumatore europeo ha poca capacità
di scelta, ha spesso un riferimento locale e, quindi, indirizza
male il mercato, facendo venire meno quello stimolo allinnovazione
che poi si può tradurre in capacità produttiva nazionale.
Il risultato è che il consumatore europeo importa
modelli di consumo elaborati in mercati più liberi e non
esprime domanda autonoma.

E per questo che lEuropa, malgrado il suo enorme mercato
interno, è sempre in attesa di una ripresa che venga dallestero
(dagli Usa o dalla Cina), con la speranza di poterla agganciare
attraverso il meccanismo dellexport: da qui lossessione
europea alla competitività, sebbene il Vecchio Continente
abbia una bilancia commerciale con lestero attiva da molto
tempo e sia, perciò, già sufficientemente competitivo
(nel senso tradizionale del termine). Ma questa volta sarà
difficile che laggancio possa avvenire con lintensità
sperata, posto che la ripresa americana è in atto, ma di
essa approfittano soprattutto le imprese statunitensi, proprio perché
non si vuole che lo squilibrio nei conti con lestero degli
Usa cresca ulteriormente rappresentando una minaccia alla stabilità
mondiale. Ed è per questo che lEuropa dovrebbe fare
una riflessione seria su come rilanciare il mercato interno e dare
così un contributo alleconomia mondiale, come deve
essere, dato il suo ruolo e peso, senza vagheggiare ipotesi di dazi
nei confronti di Paesi che necessitano di crescere come e più
di noi.
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