Il Sud ha accusato ritardi sul piano economico
e sociale che smentiscono quanti vogliono
ritenere superata la questione delle aree meridionali.
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Superati gli anni Ottanta, quelli dei decantatissimi progetti
integrati tra regioni meridionali, finanziati dalla Cassa
per il Mezzogiorno, e che non portarono al resto di niente, se non
allo sperpero di altro denaro pubblico, si proclamò la fine
della questione meridionale: il Sud si disse
va agganciato allEuropa, pur sapendo che era rimasto
ancora sganciato dallItalia.
La grande questione fu diluita nelle problematiche europee,
che coinvolgevano altre regioni continentali, dal Borinage allo
Schleswig-Holstein e ad alcune fasce meridionali della Francia,
mentre si profilava, quasi per contrappasso, una questione
settentrionale italiana, non proprio declamata ad alta voce,
ma pur sempre messa in rilievo dalleterno piagnisteo di un
Nord onnivoro, protetto da un esteso assistenzialismo e privilegiato
dal conservatorismo sindacale.

Sappiamo bene comè andata a finire: i progetti finanziati
dallUe, fino ad Agenda 2000, che con gli Obiettivi
1 e 2 si proietta fino al 2006, hanno avuto qualche successo,
ma non hanno stravolto una situazione; il deficit di imprenditorialità
non è stato colmato (non era possibile colmarlo nel giro
di una generazione); la vecchia, rugginosa forbice ha
continuato ad allargarsi, e il Nord ha continuato a lamentare inesistenti
dissanguamenti per finanziare il vuoto a perdere del Sud, da Roma
ladrona ai terrunazz che bivaccano nelle piazze paesane:
mentre, in realtà, i dati più recenti rivelano che
un terzo dei pensionati quarantenni, con introiti medi di oltre
16 mila euro annui e con doppio lavoro, sono stanziati proprio nel
Nord piagnone che produce e che lavora, e che soprattutto munge
lo Stato a scapito del resto del Paese.
E poiché mai, come nella storia dei rapporti tra le due
Italie, i fatti si sono ripetuti e sovrapposti, adesso sta
emergendo il nuovo alibi finalizzato al disimpegno dello Stato nei
confronti delle aree del Mezzogiorno: la questione,
si dice, è mediterranea!
La novità, secondo gli spiriti magni delleconomia italiota,
è proprio qui: il Sud è immerso nel Mediterraneo,
ha di fronte e a lato un campo sterminato di lavoro, lì sono
prevedibili le sue fortune, i suoi impegni e in ultima analisi le
sue ragioni di sviluppo.

Per il Sud, questa è cosa vecchia. Come ha intelligentemente
notato Giuseppe Galasso, «il suo problema dai riformatori
del Settecento in poi è stato, invece, proprio il distacco
dal Mediterraneo e laggancio allEuropa: così
per Genovesi e per Galanti, così per Fortunato e per Nitti,
così da ultimo per Saraceno, Rossi Doria, Compagna».
Quel che abbiamo sul fronte meridionale, cioè lAfrica,
e su quello orientale, vale a dire i Balcani, è ben visibile:
da una parte, o Paesi che sono direttamente concorrenti col Mezzogiorno
nel campo delle produzioni a prezzi stracciati, oppure Paesi con
regimi autoritari, scarsamente disposti alle collaborazioni internazionali,
oppure Paesi con regimi che travestono la politica con i dettami
religiosi intransigenti e conservatori, oltre che devastanti per
le guerre interne e interetniche che conducono senza soluzione di
continuità da almeno dieci anni a questa parte.
Neanche prendiamo in considerazione la prospettiva del Vicino Oriente
e del suo Mediterraneo, sul quale pure si affacciano israeliani
e palestinesi, che hanno a ridosso Paesi con forti spinte integraliste,
alle quali non sfugge ormai neanche quella che fu la laicissima
Turchia nata dalle ceneri dellImpero Ottomano e cresciuta
con lideologia filo-occidentale di Kemal-Atatürk.
Ad est del Sud persiste leterno problema balcanico, dove
i sogni di una Grande Serbia confliggono con quelli della Macedonia,
della Bosnia, dellAlbania, con le reciproche pulizie etniche
tuttaltro che cessate, con gli espansionismi mai messi da
parte, con i corti circuiti provocati dai muri culturali e religiosi
tra musulmani e ortodossi.
Sì, il campo del lavoro è sterminato: ma soltanto
per le organizzazioni internazionali che dovrebbero intervenire
con decisione e con autorevolezza, per portarvi ordine, sicurezza,
ripristino di istituzioni democratiche: compito che non spetta agli
imprenditori, ai produttori e agli esportatori del Mezzogiorno.
I quali incontrano serie difficoltà, come dire, geometricamente
variabili, nel senso che ogni Paese presenta aspetti diversi anche
per uno stesso problema. Chi alimenta le ipotesi di una antropologia
mediterranea unica, uniforme, percepibile in uno scacchiere
che è stato uno dei poli planetari di civiltà e di
cultura, in realtà dà corpo allalibi di cui
abbiamo parlato: il lago Mediterraneo fu un unicum soltanto
al tempo dellImpero romano, quando leggi, lingua e civiltà
furono veicoli di unità, e seppero coniugare arte e giurisprudenza,
commerci e relazioni umane. Poi, fu già sfacelo, e in seguito
vicenda di colonialismi, e infine di dittature, di lotte tribali,
di interessi contrapposti (interni ed esterni) per il possesso delle
materie prime. «Un caleidoscopio di realtà e di storie
diverse», sottolinea Galasso. Realisticamente. Nel senso che
non offre alcuna possibilità di superare stratificazioni
storiche di radici profonde che non consentono sconti a nessuno,
e meno che mai al Sud dItalia, ma «esigono un respiro
altrettanto complesso della storia che le affronta».

Questione europea, o questione mediterranea? O la vecchia, ma non
superata, questione meridionale? Sostiene lo storico: lo spessore
della storia è uno zoccolo duro che esige sia scalpellini
pazienti che innovatori fantasiosi e rivoluzionari per essere modificato.
Se il secolo nuovo non se ne rende conto, è meglio restare
saldamente ancorati al secolo passato. Con buona pace dei creatori
di alibi come lapalissiane catene di SantAntonio.
Che una questione meridionale sopravviva nella pienezza
dei suoi problemi è fatto di evidenza solare. Leconomia
meridionale rivela la sua problematicità non soltanto in
linea endogena, ma anche al confronto con quanto si è verificato,
ad esempio, in Paesi come la Grecia o lIrlanda: anche qui
la congiuntura internazionale, e in particolare quella europea,
ha fatto pesare i propri effetti, ma le aree depresse di questi
Stati o ne hanno risentito in misura marginale, o non ne hanno risentito
affatto. Risultato: lo sviluppo di quelle aree ha registrato progressi
notevoli, mentre da noi il Sud ha accusato ritardi sul piano economico
e sociale che smentiscono quanti vogliono ritenere superata, appunto,
la questione delle aree meridionali.
Si ponga attenzione alle cifre del Prodotto interno lordo, che sono
i migliori i più chiari indicatori della situazione
complessiva italiana: secondo i calcoli di Svimez, per il 1981-2003
è stato registrato un tasso medio dincremento dell1,8
per cento per il Centro-Nord e dell1,6 per cento per il Sud.
Che cosa significa? Vuol dire che il Mezzogiorno ha avuto un proprio
sviluppo, che ha espresso una quota di imprenditorialità
al passo con i tempi, che ha conquistato mercati interni ed esteri;
ma anche, e soprattutto, che è venuta meno una visione strategica
sul futuro del Sud e sulle scelte concrete conseguenti: il sistema-Paese
non ha attuato alcuna aggressiva e pacifica rivoluzione, volta a
conquistare tempi, spazi e impulsi tali da ridurre se non del tutto,
almeno in buona parte, i divari che hanno contraddistinto la storia
delleconomia italiana e meridionale. Significa che, al di
là di pure e semplici operazioni di maquillage, è
reale il rischio dellarretramento competitivo dellintera
Italia, che non sa, o non vuole, recuperare oltre un terzo del proprio
territorio al rilancio socio-economico.
LItalia vuol essere un Paese moderno, e per questo vanta
un sesto o un settimo posto tra i Paesi più industrializzati
del mondo occidentale. Ma non ha saputo, o voluto, darsi un meridionalismo
moderno: allora è lecito chiedersi quale Italia occupa quel
posto, perché la scelta conservatrice e non pacificamente
e aggressivamente rivoluzionaria; e che senso ha parlare di obiettivi
di coesione quando della politica industriale pare si siano
dimenticati tutti quanti, quando di criteri di priorità degli
interventi neppure si parla più, quando sono tramontate nella
palude della più squallida affabulazione le promesse di nuove
Californie e di splendenti Silicon Valley, quando gli istituti di
credito meridionali sono passati nella proprietà di quelli
centro-settentrionali, quando la politica dellambiente, che
nel Sud ha unenorme rilevanza, è negletta, quando il
turismo è fortemente vincolato alla sola stagione estiva
(nessuno ha imparato la lezione della Liguria sul tempo libero della
terza età nelle altre stagioni?), quando alla fola del Sud
da agganciare allEuropa succede quella del Sud da agganciare
al Mediterraneo... Quando proporranno di agganciarlo alla Cina?
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