Ha pesato
landamento dei conti, sullo sfondo di un debito che non cala
e di uno dei profili
demografici più sfavorevoli
del pianeta.
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Retroscena. Parecchi avevano previsto che sarebbe accaduto, eppure
tutti sono stati presi in contropiede. Quando Standard & Poors
(S&Ps) ha annunciato il voto sulla solvibilità
di quel debitore da 1.400 miliardi che è lItalia, il
problema non è stato chiarire perché lo ha fatto,
ma perché lo ha fatto in quel preciso momento, nel pieno
del lavoro del governo su tre fronti: lattuazione della manovra
sui conti del 2004; il piano di tagli alle tasse e alla spesa pubblica
2005-2007; il varo della riforma delle pensioni da far scattare
nel 2008. Ancora un paio di settimane, e il quadro sarebbe stato
più chiaro.
Ma S&Ps non ha atteso, e gli italiani hanno subito pensato
che sia stato un puro e semplice problema di concorrenza. Nel 1993
fu laltra grande agenzia di rating, Moodys, a declassare
per prima lItalia (il 25 febbraio) e guidare così il
mercato. S&Ps si adeguò il 2 marzo successivo,
ma la sua presa di posizione non ebbe alcun impatto. Ora la terza
attrice, Fitch, aveva iniziato a lanciare segnali in direzione di
Roma. E S&Ps ha deciso che non era il caso di farsi anticipare.

Ma di concreto cè dellaltro. Sostiene Konrad
Reuss, capo dei rating degli Stati europei per lagenzia londinese:
«La decisione non si spiega con nessun evento specifico».
Ma quella che definisce «una tessera del nostro mosaico»
cè, ed è la rinuncia del commissario europeo
Mario Monti a prendere la guida delleconomia del nostro e
suo Paese. Reuss minimizza, sostenendo che «è stato
soltanto un pezzo del puzzle», indicativo tuttavia di come
il partito della spesa pubblica e assistenziale sia più forte
a Roma: il che avrebbe convinto Monti a fare un deciso passo indietro.
Anche se Ecofin non aveva estratto per noi il cartellino giallo.
Anche se Moodys non ci aveva declassato.
Cronologia. 1 luglio 1991. Moodys. Anche la prima bocciatura
di questa società giunse nel mese di luglio: lItalia
di allora (a Palazzo Chigi sedeva Giulio Andreotti, mentre il ministero
del Tesoro era retto da Guido Carli) perse la tripla A, cioè
il livello più alto di giudizio ottenuto nel 1986. Lindicazione
passò ad Aa1, mentre oggi la valutazione della stessa agenzia
è Aa2.
13 agosto 1992. Moodys. Ulteriore downgrading dellItalia,
passata da Aa1 ad Aa3. Sui mercati e sulla lira si abbatte un terremoto.
Alla poltrona di premier è giunto da soli due mesi Giuliano
Amato, mentre al Tesoro siede Piero Barucci. Tra le motivazioni,
le difficoltà dellItalia nel processo di convergenza
monetaria in Europa.
2 marzo 1993. Standard & Poors. Il giudizio di questa
società passa da AA+ ad AA. Il ministro del Tesoro è
sempre Barucci. Neanche il premier è cambiato. Oltre ai conti
pubblici, il richiamo è esteso a Tangentopoli: «Londata
di indagini sul fenomeno della corruzione di questi ultimi mesi
ha coinvolto personaggi di alto livello della leadership politica».

6 maggio 1998. Standard & Poors. Fino a questa data,
S&Ps consegna due giudizi ai Paesi europei: uno sul debito
in valuta estera (per lItalia AA), laltro su quello
in valuta locale (per noi AAA). Il ministro del Tesoro del governo
Prodi è Carlo Azeglio Ciampi. Il 5 maggio lagenzia
fa convergere i due giudizi, affidando al nostro Paese soltanto
AA. Motivazione, la perdita di flessibilità nella politica
monetaria.
7 luglio 2004. Standard & Poors. Mercoledì infausto:
il verdetto giunge alle tre di pomeriggio, quando quasi nessuno
se lo aspetta. Più attenta ai tempi del mercato che alle
alchimie della politica, S&Ps declassa la Repubblica italiana
sul piano dellaffidabilità nel pagare i debiti. Senza
aspettare, dopo un anno e mezzo di avvertimenti, altre decisioni
o esitazioni nel governo e in Parlamento. Il giudizio sul nostro
Paese da parte della prima agenzia di rating al mondo è il
più basso da quando, nel 1988, il Tesoro la chiamò
per avere valutazioni indipendenti a beneficio di chi acquistava
titoli di Stato.
Il livello, certamente, resta lontano da quello delle obbligazioni
ad alto rischio. Ma col voto AAmeno sulle cedole a lungo termine,
lItalia è un gradino sotto quella AA assegnatale (al
ribasso) nel 1993, nel pieno dellemergenza politico-finanziaria
dellepoca. Questultimo rating è al livello del
Giappone, il Paese zavorrato dallo stock debito più pesante
del mondo. Nella zona euro, solamente la Grecia è oggetto
di un giudizio inferiore. Insieme con il rating dello Stato, scende
anche quello delle Poste italiane (il Tesoro ne è azionista
al 70 per cento) e quello di vari enti locali: Emilia Romagna, Lombardia,
Friuli-Venezia Giulia, Val dAosta, fra le regioni, e Bologna,
Milano, Brescia, Venezia e Firenze, fra i comuni. E si tratta della
prima frustata a un Paese europeo da quando esiste la moneta unica.
Commenti. Ha pesato landamento dei conti, sullo sfondo di
un debito che non cala e di «uno dei profili demografici più
sfavorevoli del pianeta»: ovvero, di una spesa per le pensioni
che sarà onerosa anche in futuro. Gli oneri previdenziali
salgono (0,2 per cento del Pil, ma giunti al 14,4 per cento solo
nel 2003). E scivola fuori linea il deficit: anche con la manovra
correttiva dei tagli per 7,5 miliardi di euro, il disavanzo crescerà
questanno del 3,1 per cento e lì resterà «nel
medio termine». E pur con le nuove privatizzazioni, il debito
scenderà dal 106,2 per cento al 105,6 per cento, per restare
su questo livello per il resto del decennio.
Si aggiungono le incertezze della politica (di maggioranza, ma anche
di opposizione) e i tagli delle tasse con raffronto con i tagli
delle spese: previsto che il deficit schizzerà al 4 per cento
nel 2005-2006. Serve dunque un colpo dala. Servono decisioni,
e non mediazioni. O sarà crollo.
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