|
|
Si dice ancora oggi epoca industriale: e si intende
designare letà della rivoluzione industriale
che, sul finire del Settecento, operò colossali trasformazioni
in campo economico, sociale, territoriale.
Quelletà travolse lagricoltura, portando nei
Paesi avanzati gli addetti a meno del dieci per cento, ed esaltò
la ciminiera, che aggregò oltre il cinquanta per cento degli
occupati. Sul piano sociale, quella rivoluzione operò
la separazione definitiva, in quei Paesi tra casa
e lavoro; e rese incompatibile il doppio ruolo della donna, lavoratrice
e/o custode del focolare domestico.
Su quello territoriale, le concentrazioni delle industrie nelle
città determinarono massicci spostamenti di popolazione e,
specularmente, la congestione delle metropoli e lo spopolamento
delle campagne. Tutto ciò, ha sostenuto il sociologo Detragiache,
condusse decine di milioni di individui «ad operare il salto
enorme dalle società tradizionali, caratterizzate dal sapere
per esperienza, dalla ripetitività dei comportamenti, dagli
usi e costumi fissi da secoli, dalle società protette dalla
famiglia allargata e dalla comunità di vicinato alle società
industriali».

Il salto fu lacerante. Nacque la famiglia nucleare. La società
industriale crebbe fortemente individualizzata e competitiva. La
solidarietà affettiva fu sostituita dalla solidarietà
di interessi. La religione conobbe nuovi conflitti con la scienza.
Un mondo vissuto per millenni sotto il segno tragico della penuria
vedeva trasformato lorizzonte delle paure nellorizzonte
delle speranze.
Questa trasformazione era stata incubata a lungo. Lo storico belga
Henri Pirenne individuava gli antesignani della classe borghese
(che di fatto opererà questa grande trasformazione) nei mercanti
girovaghi, geniali avventurieri che dopo il Mille, senza identità
sociale nel mondo feudale, passavano da una città allaltra,
abilissimi nel commerciare, affrontando paesi, genti e mercati sconosciuti,
e dunque rischiando la pelle e le sostanze.
Fu questo gruppo di esperti in traffici a rompere leconomia
chiusa del feudo, a creare relazioni e comunicazioni, e metter su
addirittura dei mercati; e fu questo stesso gruppo a cominciare
a produrre per vendere, a sperimentare lintrapresa
economica a ciclo completo. La rinascita delle città medioevali,
quella della civiltà comunale, e, in seguito, della civiltà
rinascimentale, avrebbe trovato in questi nuovi ceti gli antecedenti
storici. E Max Weber avrebbe poi messo in rilievo il ruolo giocato
dal mondo protestante nel generare una motivazione religiosa al
durissimo impegno terrestre, indispensabile per attuare la trasformazione.
Parallelamente, si trasformò la scienza. E Galileo scoprì
le leggi della natura non più per contemplarla, ma per dominarla.
Dunque: etica del rischio, conseguente razionalità economica
e scienza che si fa tecnica furono i fattori che, annodandosi a
fine Settecento, mutarono il volto della società occidentale
(con sviluppo endogeno) e di quella orientale (per induzione). Con
esclusione delle colonie, rimaste vincolate alla loro
arretratezza: problema, questo, di dimensioni enormi, e come tale
consegnato dalla società industriale a quella post-industriale.

Lepoca industriale raggiunse il vertice della parabola negli
anni Sessanta del secolo Ventesimo. In quel momento si manifestò,
generale, il rigetto dei due sistemi sui quali si era strutturata:
il grande stabilimento e la grande città. Allora si deverticalizzò,
in nome della diffusione delle piccole e medie imprese sul territorio.
In quegli anni prese il via la rivoluzione microelettronica:
si ampliò la gamma dei prodotti, si modificarono le tecnologie
produttive, crollò la tecnologia meccanica, riemerse molto
sommerso (mai estinto, in realtà: il lavoro a domicilio,
del resto, era stato invenzione del Medioevo).
Luomo si riscoprì meccanismo di una folla di
solitari, volle ritrovare la propria identità, entrò
in una nuova forza centripeta, abbandonò la massa e linurbamento.
Loccupazione industriale precipitò di circa il venti
per cento. Si aprì un altro orizzonte: si sarebbe vissuti
ancora grazie allindustria, non si sarebbe vissuti più
nellindustria. Avanzò il terziario specializzato: e
avanzarono linformatica, gli apparati di servizio, la robotica,
e infine la telematica con gli incroci delle comunicazioni. Mentiva,
dunque, chi affermava che ci si stava reindustrializzando.
Il mondo stava cambiando pelle. Ed era in vista una massiccia disoccupazione
tecnologica. Questo fu laltro problema della società
post-industriale.
Cosè accaduto in Italia? Innanzitutto, il (consueto)
ritardo nel processo di industrializzazione. Ma, ha scritto Giovanni
Amedeo, «quel che deve essere sottolineato è non tanto
una sfasatura cronologica in sé, quanto il portato di questa
sfasatura». In altri termini: noi tirammo su le ciminiere
quando altrove esse avevano già determinato, oltre allarricchimento
dei ceti imprenditoriali più attivi, anche una lotta politica,
allinterno della quale si era formato il moderno socialismo.
Questa antinomia (quel socialismo nacque come reazione allindustrialismo)
in Italia non fu vista nella sua specifica configurazione; noi importammo
simultaneamente socialismo e industrialismo, e ciò determinò
una sorta di fede sia nelluno che nellaltro. Confusione
che non fu senza conseguenze. Neppure uomini di mente acutissima,
quali Gramsci e Gobetti, seppero superare lequivoco. E quando
si cominciò a veder chiaro, nel 1940, era ormai troppo tardi.
Linghippo veniva da lontano. NellOttocento, solo qualche
critica al nuovo razionalismo: veniva dagli Scapigliati. Per il
resto, industrialismo e socialismo venivano parallelamente esaltati.
Ada Negri evitò la retorica, anche perché sinceramente
turbata dallo squallore delle fabbriche suburbane; ma Mario Rapisardi
riuscì a vedere le macchine animate da uno spirito umano
e da una volontà di lotta ai tiranni: potenza delle suggestioni!
Marinetti e i Futuristi si schierarono apertamente dalla parte della
macchina. DAnnunzio, maestro di doppiezza, esaltò gli
aeroplani, la torpediniera, i nuovi ordigni di guerra, e contemporaneamente
la natura raccolta, le voci antiche, il divino silenzio
delluomo che forma la materia con le proprie mani. Pirandello
espresse un giudizio netto di fronte allo spettacolo della natura
saccheggiata dalluomo (nella novella Il fumo)
e fu il primo, in Italia, a cogliere linarrestabile decadenza
dellarte (ne I giganti della montagna). Poi venne
il primo sterminio mondiale, e gli scrittori abbandonarono i territori
dellidillio. Qualche trasalimento lo ebbe il Tozzi (in La
scuola danatomia).
Ma non si era ancora alla cultura del pensare. Giocava un ruolo
«una ripulsa istintiva, anche se motivata», che tuttavia
non dava il bandolo della matassa, mentre avanzava lera tecnologica.
Un segnale si avrà soltanto con Pea, nel terzo racconto della
Trilogia di Moscardino. Giuda, un rivoluzionario, dice
al protagonista: «Ho voluto che tu mi vedessi con la barba
che portavo quando tradii Gesù, ricordatelo: avevo lambizione
del trono dIsraele. Adesso sono per le macchine, per le scienze:
sono moderno come il tuo padrone». Poi venne Svevo, e nacque
la coscienza dei nuovi rapporti. Luomo, scrisse, «inventa
gli ordigni fuori del suo corpo e se cè stata salute
e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in
chi li usa».
Il resto può interessare relativamente. Ci interessa questa
anticipazione sveviana; che, riferita ai nostri giorni, e anche
al nostro Paese, può riassumersi nellarco parabolico
che Silvio Bertocci fa passare dallutopia telematica alla
disperazione cibernetica. Dice Bertocci: la società attuale
ha contraddizioni troppo vistose perché si possa giustificare
lottimismo di coloro i quali prefigurano un universo
telematico (cioè di combinazioni nellapplicazione
dellinformatica e delle telecomunicazioni) come unimminente
e favolosa età delloro in cui tutti i problemi avrebbero
una soluzione, liberando luomo dai bisogni e dai condizionamenti.
Le utopie, si sa, sono ricorrenti nella storia, in particolare in
epoche di profonde crisi della coscienza collettiva.
Che cosa succede, in realtà? «Se è vero che
le prime generazioni di robot e di calcolatori sono ormai diventate
oggetto dantiquariato [
], confermando la rapidità
dei processi di trasformazione ma anche di obsolescenza, è
altrettanto vero che la prospettiva telematica risponde allesigenza
di reideologizzare il concetto di pragmatismo che, dopo aver fatto
tabula rasa di molte ideologie allinsegna della razionalizzazione,
ha prodotto un diffuso pessimismo culturale e persino moderne forme
di luddismo che si esplicitano nella contestazione, tramite consistenti
movimenti ecologisti e pacifisti, delle macchine che producono beni
di consumo distruggendo lambiente, e nella richiesta di distruzione
delle più perfette e sofisticate macchine da guerra costruite
dalluomo in virtù dello sviluppo tecnologico».
Cioè: di fronte alla crisi di coscienza collettiva e al dilagante
pessimismo culturale, i profeti dellera telematica «hanno
avvertito la necessità di ammantare con prefigurazioni mitologiche
lo stesso progresso scientifico e tecnico».
Si sublima luniverso telematico. Ma nessuno ci dice che, in
realtà, questo universo è portato ad escludere gradualmente
le forze produttive, e proprio a partire dal momento in cui queste
deverticalizzate e diffuse nel territorio hanno ritrovato
una nuova dimensione umana.
In sostanza: quasi tutta la letteratura che da decenni si occupa
della rivoluzione scientifico-tecnologica (dei calcolatori, degli
elaboratori elettronici, della cibernetica, dellenergetica,
della biochimica, dei satelliti per comunicazioni, delle materie
prime) non ha saputo (o potuto, o voluto) elaborare una teoria complessiva
e soddisfacente «del cambiamento determinato dalle innovazioni
tecnologiche da raccordare o in parallelo con le teorie del mutamento
sociale [
]. Si direbbe che tutti i teorici e gli assertori
senza condizioni dellutopia telematica considerino le componenti
umane e sociali delle forze produttive quasi alla stregua di un
elemento marginale».
Siamo forse alla post-civiltà ipotizzata da Herman
Kahn, secondo il quale tecnologia, scienza e conquiste un giorno
saranno concentrate in poche mani, quelle di élites tecnocratico-manageriali,
militari, burocratiche, vale a dire di unoligarchia specializzata
e impegnata esclusivamente a raggiungere la pacificazione delle
masse? E la trasformazione universale, preliminare
alla nascita di unarmoniosa società del benessere,
creata dalla tecnologia cibernetica e fondata sulla regolamentazione
e sul controllo delluomo e della vita delluomo, profetizzata
da Zbigniew Brzezinski? Con un ferreo sistema sociale al posto del
sistema-uomo? Con i Paesi-guida e con i Paesi-neocolonie? E con
un cielo di orwelliane stelle fredde?
|