Lapocalittica
previsione,
dichiarata in
parecchi milioni
di copie dai due diffusissimi
tabloid inglesi, non era stata
considerata oro colato dai governi dellUnione.
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Sono eccezioni: ma quando si verificano cosa che purtroppo
non accade tutti i giorni e neppure tutte le settimane e tutti i
mesi sono davvero belle e importanti. Parliamo dei casi in
cui lEuropa politica e lEuropa utile vanno damore
e daccordo, procedono sullo stesso binario, mano nella mano.
Di solito, lo abbiamo più volte visto anche in questo nostro
spazio, accade il contrario. LEuropa utile, quella che offre
benefici concreti ai cittadini, procede spedita e sicura, registrando
in ogni campo dalla tutela della salute pubblica alla difesa
dei diritti dei consumatori fino alla crescita dellimpegno
nella ricerca scientifica indubbi e rilevanti successi. Avanza
anche lEuropa politica e arriva ad aggiudicarsi traguardi
di grande dimensione e significato (basti ricordare leuro
e il Mercato Unico), ma ogni tanto, anzi spesso, sembra smarrire
strada e bussola, rallenta il passo, a volte si ferma, inducendo
i meno ottimisti a chiedersi se il processo dintegrazione
abbia ancora un futuro.

Guardando ai fatti più recenti questo è successo,
ad esempio, quando, al termine dellultima presidenza italiana
dellUnione (secondo semestre del 2003), il progetto di Costituzione
europea è sembrato condannato al naufragio; o quando Germania
e Francia, la scorsa primavera, hanno imposto allEcofin, il
gruppo dei ministri finanziari, una particolare interpretazione
a loro favorevole del Patto di Stabilità; o,
peggio di tutto, quando, lanno scorso, anche questanno,
sul problema della guerra in Iraq è esplosa (come già
era accaduto per i conflitti nei Balcani) la Babele delle diverse
e a volte contrastanti posizioni dei governi della Comunità.
Meno male che, almeno ogni tanto, la mano destra (lEuropa
politica) e la mano sinistra (lEuropa utile) non solo vanno
daccordo ma arrivano a lavorare insieme sia per il successo
del processo dintegrazione sia per migliorare le condizioni
di vita dei cittadini. Sta accadendo, ad esempio, per quanto riguarda
le conseguenze dellultimo allargamento, quello del primo maggio
del 2004.
E un esempio di particolare interesse. Soprattutto perché,
prima che avvenisse, lallargamento era visto con preoccupazioni
e dubbi da parte di non pochi uomini e gruppi sia dellEuropa
politica che dellEuropa utile nonostante lenorme suggestione
esercitata dai suoi numeri (la crescita dellUnione da 15 a
25 Paesi e da 379 milioni a 453 milioni di abitanti), nonostante
anche laltrettanto rilevante significato storico e politico
(lincontro tra popoli che durante mezzo secolo di Guerra Fredda
erano stati divisi non solo dallincompatibilità tra
i diversi regimi politici ma dal rischio stesso di uno scontro armato).
Alcuni vedevano nellUnione a venticinque la possibile sede
di un aumento delle diversità, quindi dei paralizzanti contrasti
in materia di scelte politiche, ad esempio sulle crisi internazionali,
e altri non nascondevano e non tacevano il timore che la suddivisione
delle risorse comunitarie tra un maggior numero di pretendenti potesse
appesantire le difficoltà dei vecchi soci (i 15) senza fornire
ai nuovi (i 10) mezzi adeguati per poter ottenere una crescita apprezzabile.
Bene, trascorsi alcuni mesi dallevento, critici e pessimisti
delluna e dellaltra Europa sono oggi in sensibile diminuzione.
E non manca tra loro chi, con franchezza, dichiara di aver cambiato
idea. Avviene perché finora almeno lultimo allargamento
non ha causato danni né allEuropa politica né
a quella utile, promette invece interessanti e positive prospettive
sia alluna che allaltra e sta diventando terreno per
una reciprocamente utile collaborazione tra di esse.

Ad un convegno-seminario sul futuro dellEuropa svoltosi a
metà settembre a Bruxelles chi scrive questarticolo
ha sentito più volte ripetere da dirigenti delle istituzioni
europee, studiosi dei problemi comunitari ed europeisti intervenuti
nel dibattito, la seguente affermazione: non è pura coincidenza
che la Costituzione sia stata approvata da un Consiglio europeo
non un anno o dieci anni fa ma lo scorso giugno, un mese dopo lallargamento,
è semplicemente avvenuto come naturale seguito ed effetto
di un evento, appunto lallargamento, che ha ridato carica
al processo dintegrazione.
Con queste parole, che riecheggiano giudizi detti e scritti in molte
altre sedi, non si dichiara la fine o la riduzione delle tante divergenze
politiche che esistevano e continuano a esistere tra i governi dellUnione,
si sottolinea invece la maggiore sicurezza, acquisita con lallargamento,
di poter continuare, nonostante le diversità, un percorso
comune verso un obiettivo comune (anche se non del tutto preciso
nei particolari). Non è cosa da poco. Come non è cosa
da poco il fatto che stiano ormai chiaramente assumendo la forma
e la sostanza di vere e proprie tigri di carta le catastrofi economiche
temute, per lEuropa utile, come conseguenze dellammissione
nella famiglia comunitaria di Paesi, come quelli dellEuropa
centro-orientale, con basso reddito pro-capite (mediamente circa
la metà di quello dei Paesi membri dellUnione a 15).
Vediamo, per fermare lattenzione su un esempio di grande
significato, che cosa sta accadendo per lesodo di manodopera
dal Centro e dallEst dellEuropa, annunciato allinizio
dellanno dagli euroscettici e da giornali che come
alcuni quotidiani cosiddetti popolari del Regno Unito vanno
a nozze con gli allarmismi, oltreché con scandali e pettegolezzi.
«Arriveranno in almeno 4 milioni avevano scritto The
Mirror e The Daily Express e toglieranno pane e lavoro ad
altrettanti padri di famiglia dei 15 Paesi dellUnione».
Lapocalittica previsione, dichiarata in parecchi milioni di
copie dai due diffusissimi tabloid inglesi, non era stata considerata
oro colato dai governi dellUnione. Tra la maggior parte di
essi, tuttavia, qualche forte timore si era diffuso: soprattutto
di fronte alla drammatica eloquenza dei numeri sui disoccupati nellEuropa
dei Quindici (4 milioni, pari al 10,5 per cento della popolazione
attiva solo nella Germania federale). Il rischio che allondata
di clandestini già in arrivo in molti Paesi (soprattutto
lItalia) si aggiungesse un esodo di disperati e affamati dal
Centro e dallEst dellEuropa era stato così ritenuto
possibile e grave da molti governi: con la conseguenza di una clausola,
negli accordi per lallargamento, che consentiva di filtrare,
quindi centellinare, lafflusso di manodopera dai nuovi Paesi
membri per alcuni anni (non oltre il 2011).
Se si fosse data unocchiata attenta e obiettiva ad alcuni
precedenti e se i risultati di un Eurobarometro della
scorsa primavera fossero stati utilizzati come attendibili elementi
di giudizio, tanta cautela e tanta prudenza (che indirettamente
ma chiaramente assumevano il significato di atteggiamenti di scarsa
fiducia verso i Paesi candidati allallargamento) avrebbero
potuto essere evitate. Sia nel 1980, in occasione dellammissione
della Grecia, sia nel 1981, lanno dellallargamento a
Spagna e Portogallo, i governi dei nove Paesi che in quel periodo
componevano lEuropa comunitaria si erano inventati norme restrittive
con cui, anche allora per sette anni, si era limitata lemigrazione
di lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri. Tali norme si
erano rivelate del tutto inutili.
Dopo i due allargamenti, i greci che si erano trasferiti in un altro
Paese comunitario non avevano superato i 10 mila allanno,
i portoghesi erano stati 7.700, gli spagnoli anche meno. Non solo.
Trascorsi pochi anni si era addirittura manifestata una controtendenza:
una parte degli emigrati greci, portoghesi, spagnoli aveva ripreso
la via di casa.
Dopo lallargamento del maggio 2004 le esperienze di oltre
ventanni fa dovrebbero più o meno ripetersi, sia pure
con quale differenza (questa volta, rispetto all80-81,
il gap tra il livello di vita nei vecchi e nei nuovi Stati membri
è molto maggiore). Laveva del resto già previsto
lEurobarometro della scorsa primavera in cui sindicava
in una cifra tuttaltro che preoccupante, 220 mila allanno,
la quantità delle persone intenzionate a trasferirsi, per
cercare un lavoro, dalla nuova Europa (quella dei 10
Paesi appena ammessi) alla vecchia Europa (dei 15).
Considerato che nellUnione ci sono oggi 192,8 milioni di persone
occupate (di cui 164 nellEuropa dei 15) appariva chiaro che
sarebbe stato grottesco definire esodo il modesto trasferimento
di manodopera previsto dalla nuova alla vecchia Unione.
Un altro dato, sempre di Eurobarometro, riferito al tipo di emigrazione
che era attesa, conteneva ulteriori elementi utili per dissipare
ogni preoccupazione. Secondo questo dato, la gran parte dei 220
mila era costituita da giovani appena laureati o prossimi alla laurea
o al diploma, dunque in grado di offrire manodopera qualificata
o in procinto di qualificarsi. E il genere di manodopera che
da tempo scarseggia sul mercato del lavoro europeo. Tanto è
vero che nella sola Germania, il Paese europeo più colpito
dalla disoccupazione, ogni anno 75 mila offerte di impiego qualificato
cadono nel vuoto per mancanza di candidati idonei. In definitiva,
lafflusso della pattuglia centro-orientale prometteva di riempire
un vuoto anziché di allargarlo.
Appare chiaro dunque che Margot Wallström, commissario europeo
per lOccupazione e gli Affari Sociali, era in possesso di
ragioni da vendere quando, commentando i dati dellEurobarometro,
aveva affermato: «Ogni allarme è ingiustificato»
(a proposito del temuto esodo dal Centro e dallEst europeo).
Alcuni, anzi molti, non le avevano creduto. Si era arrivati così
alle norme restrittive che, fino al 2011, regoleranno le immigrazioni
dai Paesi centrorientali. Trascorsi diversi mesi dallallargamento,
alcuni, anzi molti, si stanno però ricredendo. Tra gli altri
cè la Germania, che pure era stata tra i più
decisi e intransigenti sostenitori delle norme restrittive. Con
una nuova legge sui gastarbeiter (lavoratori ospiti)
il governo tedesco si prepara ora ad accogliere circa 200 mila immigrati
allanno, vale a dire poco meno di quanti, in base alle stime
dellEurobarometro, sono attesi nellinsieme dellEuropa
dei Quindici.
Cessato allarme, dunque? Pare proprio di sì, anche se sarà
prudente aspettare qualche mese o qualche anno per annunciare con
completa sicurezza che il pericolo dellesodo è definitivamente
scongiurato. E pare proprio che si possa dire, fin da ora, che questo
sta avvenendo grazie a uneccezionale prova di convergenza
e di collaborazione tra Europa politica ed Europa utile. La prima,
con un coraggioso atto politico, ha costruito e messo in funzione
un ponte tra due sponde europee che fino al 1989, lanno della
caduta del Muro di Berlino, erano agli antipodi luna dallaltra.
La seconda, inizialmente con gli interventi di preadesione, poi
con la politica di coesione (che sostiene i Paesi con un reddito
inferiore al 75 per cento della media comunitaria e ha già
avuto il merito di favorire la crescita dellIrlanda, della
Spagna, del Portogallo), ha permesso ai dieci nuovi membri dellUnione
di cominciare a curare i propri mali economici e sociali e di poter
realisticamente promettere ai propri cittadini un futuro benessere
nel Paese in cui risiedono.
E un esempio di produttiva concordia che a noi, e a tutti
quelli che credono nellEuropa, piacerebbe vedere in campo
più spesso. Sperando che avvenga, plaudiamo intanto alla
bella eccezione.
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