Le notizie
britanniche sulle riduzioni dei
dipendenti delle pubbliche
amministrazioni sono state da noi accolte con un
silenzio assordante.
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In genere, quando si pensa alla Giamaica sono le spiagge e la musica
reggae a venire in mente, non certo linnovazione tecnologica.
Allo stesso modo, se qualcosa caratterizza il Costa Rica oppure
la Namibia pensiamo subito che non si tratti dellesemplarità
della pubblica amministrazione di questi due Paesi. Eppure, nellultimo
Rapporto sulla competitività del World Economic Forum lItalia
è al 50° posto, dietro la Giamaica, per competitività
tecnologica, e al 48° posto, dietro il Costa Rica e la Namibia,
per la sua pubblica amministrazione. Se a questi dati aggiungiamo
il 47° posto per potenziale di crescita e il 34° nella competitività
economica, abbiamo un quadro che ci lascia increduli. Possibile
che lItalia che abbiamo davanti vada così male? Queste
stime saranno veritiere e rappresentative della nostra realtà
economica?
Non è possibile fare comparazioni con gli anni precedenti
su molti dati. Uno significativo, però, cè.
E quello sul potenziale di crescita che ha visto lItalia
perdere in due anni ben quattordici posti, passando dal 33°
del 2002 al 47° attuale. Si potrebbe dubitare dellattendibilità
metodologica dellanalisi del World Economic Forum, basata
su interviste fatte a imprenditori e operatori economici dei rispettivi
Paesi. Ma essa può segnalare un indice di fiducia sul futuro
economico che si sta progressivamente deteriorando tra i membri
della comunità degli affari. Daltra parte, se si analizzano
i più importanti Rapporti sulla competitività, sullinnovazione
e sulla libertà economica, (da quelli dellOcse e dellUe
a quello dellImd), e si fa una media di tutte le graduatorie,
lItalia non se la passa molto meglio. Infatti finisce al 30°
posto, con un continuo peggioramento negli ultimi cinque anni.
A parte le battute sul Botswana (siamo preceduti anche da questo
splendido Paese), dobbiamo sinceramente chiederci che cosa fare
quando, anno dopo anno, un folto gruppo di business leader, che
governa investimenti molto rilevanti, sentenzia che la competitività
del Belpaese procede col passo del gambero. E innanzitutto dobbiamo
convincerci che il problema è reale, anche se questa o quella
posizione nella classifica può sembrarci alquanto ingenerosa:
basta vedere lo spazio decrescente che le nostre vicende economiche
conquistano sulla stampa internazionale, o parlare con manager di
imprese multinazionali, o infine girare per congressi e università,
per rendersi conto della deriva di cui soffre non da oggi
soltanto la nostra economia.
LItalia è vista in misura crescente come un mercato
di vendita, più che come un luogo di produzione; come una
nebbiosa palude amministrativa e un inferno di rapina fiscale, più
che come un esempio moderno di legislazione snella e di rigorosi
comportamenti antispreco; come una meta turistica, più che
unautentica fucina dinnovazione.
I problemi sono dunque reali (e vitali), e irridere chi ce li indica
non è particolarmente utile.
Oltre tutto, è il caso di aver chiaro che larga parte del
problema-competitività risiede nel quadro normativo e nelle
amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, cui dobbiamo
far risalire buona parte della responsabilità di alcuni punteggi
molto poco lusinghieri che il nostro Paese questanno si è
meritato: dissipazione di risorse pubbliche, favoritismi nella loro
allocazione, fisco onnivoro, legalità troppe volte ferita
o elusa.
Il settore privato sembrerebbe cavarsela assai meglio, con alcune
punte di eccellenza, tuttavia oscurate da giganteschi imbrogli che
danneggiano limmagine dellItalia a livello planetario.

La centralità delle istituzioni e dellamministrazione
nel nodo-competitività è un aspetto particolarmente
critico del problema, piuttosto difficile da affrontare per motivi
culturali (la permanente sottovalutazione di ogni aspetto organizzativo,
assai diffusa nel nostro Paese). Aspetto difficile da affrontare
anche per motivi politici (lormai abituale riduzione a slogan
di ogni dibattito su questi temi).
Il problema, però, deve essere affrontato a tutti i livelli
in cui si presenta. Sul piano normativo, stupisce infatti osservare
Paesi come gli Stati Uniti o il Regno Unito che hanno
problemi di gran lunga minori dei nostri, ma dedicano risorse e
attenzioni allesame dellefficienza delle norme e alla
valutazione dei costi che esse impongono a imprese e cittadini.
Seguendo il loro esempio, il nostro Parlamento dovrebbe condurre
analisi periodiche sui costi delle nuove leggi che esso discute,
e il Governo dovrebbe condurre annualmente analisi sullimpatto
economico degli apparati normativi e regolamentari.
Sul piano più strettamente amministrativo, sono probabilmente
necessari interventi di ridisegno complessivo di procedure ormai
forse automatizzate, ma il cui impianto risale agli anni Cinquanta
e Sessanta.
E insomma necessario un colpo di reni nellefficienza
della macchina amministrativa: nessuno ne vuole parlare, e le notizie
britanniche sulle riduzioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni
sono state da noi accolte con un silenzio assordante.
Parlarne però è necessario, in chiave operativa e
a tutti i livelli, altrimenti il prossimo anno saremo ancora qui
a commentare il nostro sorpasso ad opera di qualche altro, colorito
ma più intraprendente, Paese in via di sviluppo.
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