La situazione
esistente rischia di creare un rilevante problema futuro, con alcune
generazioni che potrebbero
rientrare a pieno titolo nello
stereotipo del
povero vecchio.
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Secondo la XXI indagine Centro Einaudi-Bnl, il risparmio italiano
ha sofferto nel corso del 2003 per motivi sia internazionali sia
nazionali. Dal punto di vista internazionale basta citare laccentuata
volatilità dei mercati finanziari legata alla guerra in Iraq
e alla fine della recessione negli Usa. Dal punto di vista interno,
occorre ricordare il clamoroso dissesto Cirio (cui è seguito
quello Parmalat).
I risparmiatori fanno quindi sempre più fatica a trasformarsi
in investitori attivi e in misura crescente scelgono di parcheggiare
il risparmio in impieghi ad elevata sicurezza e liquidità.
Infatti le alternative sembrano mancare: da una parte ci sono impieghi
a redditività bassissima o addirittura negativa in termini
reali; dallaltra ci sono strumenti sempre più rischiosi,
che non si limitano ai titoli azionari ma anche alle obbligazioni,
sia private (Cirio, Parmalat e altri gruppi) sia pubbliche (Argentina).
Stretti fra la Scilla del rendimento nullo e la Cariddi del rischio,
i risparmiatori decidono, comprensibilmente, di non investire le
proprie disponibilità.
Oltretutto, il deficit di credibilità del settore finanziario
si è aggravato, particolarmente negli Usa. Dopo gli scandali
associati alla ripartizione truccata dei titoli offerti
in sottoscrizione iniziale dalle aziende durante il periodo 1999-2000,
emersa nel 2002, e dopo gli scandali legati alla cattiva gestione
delle aziende che presentavano bilanci falsi, nel 2003 sono venuti
a galla altri dettagli molto spiacevoli, il più clamoroso
dei quali riguardava i fondi comuni stessi. Per capire la centralità
di questo scandalo, basta pensare che i fondi comuni di investimento
sono stati linvenzione del secolo scorso negli
Usa. Offrendo la possibilità di investire in Borsa in maniera
diversificata, hanno aumentato la partecipazione del pubblico
alla detenzione di titoli azionari e hanno contribuito al forte
aumento dei prezzi.
Nel 2003 è emerso che non tutti gli investitori erano in
grado di avvantaggiarsi nello stesso modo della possibilità
di acquisire fondi comuni. Alcuni investitori privilegiati potevano
eseguire operazioni ai prezzi di chiusura, dopo la chiusura stessa
dei fondi comuni. Altri avevano la possibilità di fare frequenti
compravendite delle quote dei fondi stessi a discapito degli investitori
di lungo periodo. Gli investitori americani non erano dunque tutti
uguali: alcuni potevano guadagnare a spese degli altri, in maniera
oscura e illegale. Questo scandalo ha minato al cuore la credibilità
del sistema finanziario americano. La credibilità potrà
essere riconquistata non con la buona volontà del settore
degli intermediari finanziari, ma mediante una regolamentazione
ampia e incisiva, che impedisca ai furbi di diventare ladri.
Fortunatamente lItalia non è stata fino a questo momento
coinvolta in questo disastro finanziario. Peraltro, molti ritengono
che il vero motivo di questa diversa sorte del sistema finanziario
italiano e americano sia legata alla diversa capacità dei
regolamentatori più che alla diversa realtà istituzionale.
Per fortuna, dunque, i risparmiatori italiani continuano a risparmiare.
E non potrebbe essere altrimenti, data la mole di preoccupazioni
che grava su di loro: da un senso di generale timore verso il futuro,
dimostrato dal peggioramento sulle aspettative di reddito, a uno
specifico senso di consapevolezza sul deficit di ricchezza (e quindi
di reddito) nelletà della pensione, alla consapevolezza
che la capacità di risparmio è un fenomeno forzato
e non una scelta da parte di individui che decidono di comportarsi
da cicale. In queste condizioni, la materia prima non
può mancare. Il problema è che senza un corretto funzionamento
del sistema finanziario la materia prima non può essere trasformata
in un servizio per il sistema economico in maniera efficiente.
Mercati finanziari ed economia reale
Il primo semestre 2003 è stato un periodo estremamente volatile
dal punto di vista dei mercati finanziari globali. Lunica
isola di relativa stabilità è stata rappresentata
dai tassi di interesse, che si sono mossi gradualmente in un unico
senso, e come risultato hanno raggiunto i valori minimi da svariati
decenni a questa parte; la Federal Reserve negli Usa ha ridotto
il tasso sui federal funds al livello dell1%, la Banca centrale
europea ha abbassato il costo del denaro al 2%.
Le valute sono state caratterizzate da qualche stabilità
nel contesto di un trend di indebolimento del dollaro. Il cambio
fra euro e dollaro aveva chiuso il 2002 a un livello di circa 1,05
per portarsi a 1,15 alla fine di giugno 2003, ma dopo aver toccato
punte superiori a 1,18 durante lo stesso mese. Al contrario, i tassi
di interesse a lungo termine e i prezzi di Borsa hanno fluttuato
in maniera estrema, sia in Europa sia negli Usa. Il tasso di interesse
offerto dal titolo decennale tedesco è sceso dal 4,2 al 3,8%
tra linizio di gennaio e la fine di giugno, per tornare al
4,1% verso la metà di luglio. Il tasso di interesse del decennale
americano tra la metà di giugno e la metà di luglio
è salito di quasi 100 punti base, raggiungendo il 4,14%.
Il differenziale fra il tasso di interesse sui titoli obbligazionari
a dieci anni tedeschi e americani, pari a circa zero a inizio 2003,
si è ampliato a 40 punti base in maggio, per diventare negativo
a luglio.
Le quotazioni dei titoli azionari hanno fluttuato in modo rilevante.
Lindice S&P500 della Borsa americana ha iniziato il 2003
a un livello di 880 per scendere a 800 a metà marzo e superare
quota 1.000 a metà giugno. Lindice Nasdaq ha iniziato
il 2003 a 1.400 per arrivare a 1.270 a metà marzo e superare
quota 1.700 a luglio. Nelle stesse date il Mibtel ha toccato rispettivamente
quota 17.485, 15.125, 18.700, e lindice Dax della Borsa tedesca
è passato da 2.892 a 3.200.
Si tratta di movimenti molto ampi. Un aumento di 100 punti base
nel tasso di interesse pagato da un titolo decennale equivale a
una diminuzione del 10% circa del valore dellinvestimento.
I movimenti dellindice S&P500 equivalgono a una diminuzione
del 10% e a un aumento del 25% dai minimi. Per lindice Dax
le cifre sono addirittura -23% e +45%.
Al contrario, leconomia reale si è mostrata relativamente
stabile, purtroppo con unintonazione di fondo relativamente
debole. Le previsioni di ripresa sono state sistematicamente spostate
in avanti, verso la seconda metà del 2003 da qualcuno, e
verso il 2004 da altri. Il Pil negli Usa è cresciuto a tassi
superiori a quelli europei, ma insufficienti a consentire un riassorbimento
della disoccupazione, che infatti è costantemente aumentata
sino a toccare il 6,4% alla fine del primo semestre 2003. In Europa
si è molto vicini alla crescita zero. La produzione industriale
in Italia ha accusato battute darresto preoccupanti, e ha
motivato un dibattito sulla competitività del Paese e sulla
necessità di riforme strutturali. Linflazione è
bassa ovunque, dall1% della Germania al 2% di Eurolandia e
degli Usa. Gli utili delle imprese americane sono cresciuti, ma
soprattutto grazie ai tagli occupazionali e al contenimento dei
costi, non certo grazie a un aumento dei ricavi. In queste condizioni,
laumento dellutile aziendale equivale ad addossare al
bilancio pubblico una parte dei costi. Infatti, i disavanzi pubblici
sono esplosi ovunque, sia negli Usa, su valori vicini al 4% del
Pil, sia in Europa, dove gli scostamenti del rapporto disavanzo-Pil
da parte dei grandi Paesi, rispetto al valore fissato dal Patto
di Stabilità, sono ormai la norma più che leccezione.
Il patrimonio delle famiglie italiane
Questo il quadro di sintesi sullevoluzione dei portafogli
finanziari delle famiglie italiane. La quota destinata a liquidità,
titoli a breve e a medio / lungo termine è passata dal 43,6%
di fine 2001 al 49,4% di fine 2002. La quota destinata a fondi comuni,
azioni e partecipazioni ha proseguito la discesa dal 36,5% del 2000
al 32,2% del 2001 e al 26,3% del 2002. Nel totale, le attività
finanziarie salgono di circa il 2% rispetto al 2002.
La diversificazione internazionale di portafoglio scende ulteriormente:
le attività sullestero calano dal 9,7% al 7,7% del
totale delle attività finanziarie e in valore il flusso è
negativo per oltre 11 miliardi di euro, un profondo cambiamento
dal flusso positivo di oltre 22 miliardi di euro nel 2001.
Occorre ovviamente ricordare la rilevanza dello scudo fiscale nelle
scelte degli investitori italiani: per quanto la localizzazione
del risparmio sia in linea di principio indipendente dalla destinazione
dello stesso presso attività nazionali o estere, è
ovvio che nel passaggio da intermediari finanziari esteri a italiani
ci sia stata una tendenza allaumento della domanda di attività
interne.
Le cifre fornite dalla Banca dItalia si riferiscono ai soli
patrimoni finanziari. Per avere unidea complessiva della ricchezza
aggregata occorre stimare il valore del patrimonio immobiliare.
Bankitalia, nella relazione sulla situazione economico-finanziaria
delle famiglie italiane, a fine 1998 stimava un valore medio di
ricchezza immobiliare pari a 218 milioni di lire per famiglia. Ipotizzando
lesistenza di 21.200.000 nuclei familiari alla fine del 98,
e tenendo conto di un aumento medio del prezzo delle abitazioni
del 9,5% per il 99, del 13,6% per il 2000, del 14,2% per il
2001 e del 15,1% per il 2002 (dati Nomisma), si ottiene un valore
totale di patrimonio immobiliare pari a circa 3.713 miliardi di
euro a fine 2002. Sommando le voci delle poste finanziarie della
Relazione annuale di Bankitalia, pari a 2.519 miliardi di euro,
al valore degli immobili, si ottiene quindi un dato della ricchezza
patrimoniale (finanziaria e immobiliare) pari a circa 6.232 miliardi
di euro a fine 2002, contro il valore di 5.862 a fine 2001. La ricchezza
complessiva è quindi cresciuta del 6% nel 2002; il patrimonio
immobiliare rappresenta ormai il 59% della ricchezza complessiva.
La composizione del patrimonio complessivo è la seguente:
12% in liquidità, 17% in obbligazioni nazionali, 3% in obbligazioni
internazionali, 6% in azioni nazionali, 2% in azioni internazionali,
59% in immobili, il resto nella categoria di altre e minori attività
finanziarie.

Qual è il rischio e quale il rendimento atteso del patrimonio
complessivo detenuto dalle famiglie italiane? Il calcolo è
stato effettuato sulla base delle seguenti ipotesi. Il rendimento
atteso delle obbligazioni italiane ed europee è stato posto
pari al 3%, valore che tiene conto del rendimento delle obbligazioni
europee con tre anni di vita residua. Per le obbligazioni internazionali,
2,5%, ottenuto dal tasso di interesse delle obbligazioni internazionali
negli Usa e dallipotesi di stabilità del tasso di cambio
fra euro e dollaro. Per i titoli azionari internazionali, 6,5%,
stima coerente con una valutazione del premio al rischio compreso
fra il 4 e il 4,5%. Per i titoli azionari italiani, 7,5% medio allanno,
che tiene conto di un ulteriore premio dell1% legato alla
maggiore rischiosità di un investimento poco diversificato.
Per gli immobili, un prudente 4%, per tenere conto di una stabilizzazione
dei prezzi degli immobili in una fase di possibile aumento dei tassi
di interesse. Con queste ipotesi si ottiene un rendimento atteso
del 3,6%.
La previdenza
I precedenti rapporti rilevavano una scarsa attenzione degli italiani
per il tema della pensione privata. Ora il 52% afferma di pensare
spesso al problema dellinsufficienza del livello di reddito
al momento della pensione. Anche nel 2003 i fondi pensione di categoria
o aperti presentano una diffusione inferiore a quella di strumenti
tradizionali come veicolo scelto per linvestimento di lungo
periodo: il 29% (in calo dal 35 dello scorso anno) ha una polizza
sulla vita che garantirà un vitalizio, il 46% (dal 43) vuole
investire solo per la vecchiaia, il 14,6% (dal 16) aderisce a un
fondo pensione di categoria, il 5,7% (dal 6,5) a un fondo pensione
aperto.
E globalmente stabile la disponibilità a risparmiare
nei fondi pensione: se è vero che il 25,8% (dal 24% dellanno
precedente e dal 21% del 2001) afferma che non sarebbe disposto
ad accantonare alcuna parte delle proprie entrate correnti per investire
in un fondo pensione, e il 20% (dal 16) sino al 2% delle entrate
correnti, è anche vero che il 20% (dal 23) accantonerebbe
ogni anno tra il 2% e il 4% delle proprie entrate.

Alla domanda su quale sia il modo per ottenere il miglior rendimento
dai contributi pensionistici dei lavoratori, con riferimento alle
recenti discussioni sulla possibilità di impiegare il Tfr
presso fondi di pensione, il 16% ritiene che sia preferibile mantenerlo
nella versione attuale, il 3% che sia meglio lasciare i fondi presso
le aziende, affidando a queste la gestione finanziaria, il 6,6%
che sia meglio affidare le risorse a fondi di pensione liberi di
effettuare la gestione finanziaria secondo le loro competenze, il
15,8% che sia bene lasciare agli individui la gestione dei contributi,
il 48% che sia la cosa migliore lasciare ai singoli individui la
scelta relativa non solo alla gestione finanziaria, ma anche alla
somma da risparmiare.
In complesso, si tratta di un quadro poco entusiasmante. Gli italiani
non sembrano prepararsi adeguatamente al problema pensionistico,
che secondo gli esperti si presenterà tra qualche anno. Alcuni
calcoli suggeriscono che, pur in presenza di un sistema pensionistico
pubblico capace nelle varie ipotesi di pagare una pensione pari
al 50% del salario medio dellultimo decennio di vita lavorativa,
è necessario risparmiare il 10% del reddito per poter mantenere
il livello di consumo. Neppure il solo aumento del rendimento medio
ottenuto dallinvestimento finanziario può fare molto
per controbilanciare il declino del patrimonio. La variabile cruciale
pare essere la propensione al risparmio e non il rendimento finanziario.
La scarsa propensione allaccumulazione di risorse pensionistiche
può certamente essere inquadrata nel comportamento precedentemente
descritto, caratterizzato per alcuni dallassenza di progettualità
futura a livello economico e per altri dalla difficoltà di
procedere al mantenimento di un soddisfacente livello di risparmio
in presenza di risorse scarse. La situazione esistente rischia di
creare un rilevante problema futuro, con alcune generazioni che
potrebbero rientrare a pieno titolo nello stereotipo del povero
vecchio.
Trasparenza ed efficienza del sistema bancario italiano
Lanalisi, condotta a ottobre, ha riguardato 522 casi. La
prima domanda riguardava le regole apparse sulla Gazzetta
Ufficiale dellagosto 2003 sulla trasparenza dei servizi
bancari, ed era incentrata sul grado di conoscenza da parte degli
intervistati. Il 78% ignorava le regole: dato sorprendentemente
alto. La seconda domanda, rivolta solo a chi conosceva le regole,
verteva sul grado di miglioramento dei servizi offerti dalle banche
in virtù delle disposizioni di Bankitalia. Per il 35%, servizi
molto migliorati; per il 40%, abbastanza migliorati; per il 5%,
per niente migliorati. Tutto sommato, si può ritenere che
il pubblico riponga grande fiducia in Bankitalia. Allo stesso tempo
è importante notare come con questa iniziativa la Banca centrale
italiana abbia inteso mettere sul piatto della bilancia tutta la
sua reputazione e come lefficacia delle nuove regole sarà
cruciale per incrementare ulteriormente, o ridurre drasticamente,
la fiducia dei risparmiatori.
La seconda domanda era legata a un altro tema caldo, quello dei
Patti Chiari, che prevedono una serie di miglioramenti
per quel che riguarda lattenzione delle banche alle esigenze
dei clienti (comunicazione dei tempi certi sulla decisione di concessione
di prestiti, confrontabilità sui costi e condizioni dei conti
correnti delle varie banche, ecc.). Il 22% dei risparmiatori sostiene
che i risultati saranno «positivi, ma non in tempi brevi».
Per il 37% saranno «positivi, ma solo fra alcuni anni».
Per il 16% «risultati non positivi». Il 25% non ha voluto
rispondere.
Altra domanda, sui prodotti finanziari che come sostengono
Bankitalia e Consob devono essere venduti con corredo di
dettagliati prospetti informativi che ne illustrino tutte le caratteristiche.
Sullampiezza di informazione, 52% molto daccordo, 32%
abbastanza daccordo, 7% poco daccordo, 3% per niente
daccordo. Va tenuto conto che solo il 7% ritiene sufficienti
le informazioni dei prospetti, mentre l80% precisa che è
necessaria la presenza di un esperto. Il ricorso a un consulente
evidenzia la difficoltà dei clienti a interpretare la complessità
dei prodotti esistenti sul mercato. Linteresse degli intermediari
finanziari è ovviamente nel rapporto fiduciario e nella semplificazione.
Questultima dovrebbe contraddistinguere innanzitutto i prodotti,
e dovrebbe riguardare anche la spiegazione del loro uso e delle
loro proprietà, altrimenti si spingono i risparmiatori ad
allontanarsi da questo tipo di acquisti.
Le caratteristiche degli investimenti finanziari
Intanto, la percentuale di chi sa quanto tempo dedica ogni settimana
allinformazione finanziaria non dipende dalletà,
ma sembra essere in relazione con la professione e con listruzione.
Se è il 28% a sapere quanto tempo viene dedicato, la percentuale
sale al 47% per dirigenti e funzionari, al 35% per imprenditori,
liberi professionisti e insegnanti, al 28% per impiegati. Per quanto
riguarda listruzione, le percentuali sono 33 e 32 per chi
ha conseguito un diploma di scuola superiore e universitario, al
24 per chi ha un diploma di scuola media inferiore, al 21 per chi
ha conseguito la licenza elementare.
Principali fonti dinformazione. La banca resta il canale più
importante, con il 54%, seguita dal 16% di amici e familiari e dall11%
dei promotori finanziari. Giornali, televisione, televideo sommano
al 10%, Internet è segnalato all1,8%, in aumento dall1,4%
del 2002 ma in calo dal 2% del 2001.
Sotto il profilo delle decisioni, non è né più
facile né più difficile investire rispetto allanno
precedente per il 39,2%, mentre è più semplice per
il 6,2%. I principali elementi di difficoltà: la scelta fra
azioni e obbligazioni per il 35,5%; seguire landamento degli
investimenti e decidere il momento in cui investire, disinvestire
o cambiare impiego (il market timing) per il 41,5%;
la scelta di singoli titoli per il 21%; la comprensione delle caratteristiche
delle proposte di investimento del mercato per il 26%.
Solo il 4,8% degli intervistati ha investito negli ultimi dodici
mesi in prodotti del risparmio gestito (fondi comuni di investimento
o servizi di gestione patrimoniale), in discesa dal 6,5% dellanno
precedente. La percentuale di chi ha acquistato fondi comuni è
scesa al 18%, in lieve risalita dal 16% dellanno precedente,
ma ancora minore del 24% del periodo 1998-2000. Scende dal 72% al
67% la cifra di chi non ha acquistato e non ha mai esaminato materiale
sui fondi.
Nella sezione relativa ai motivi per la sottoscrizione dei fondi
comuni si nota la crescita della richiesta di diversificazione (59%),
lattenzione al gestore (di fiducia) e alla sua performance
(rispettivamente 48% e 53%). In continuo aumento il dato relativo
alla liquidabilità dellinvestimento, pari al 62% (dal
44% dellanno precedente). Emerge dunque una lieve ripresa
della soddisfazione media dei risparmiatori per linvestimento
in fondi. Quanto alla scelta dei singoli fondi, il 72% sostiene
di avere sottoscritto quelli indicati dal venditore, il 28% di avere
scelto personalmente. Infine, in questa fase di caduta dei mercati
azionari, il 71% afferma che il venditore si è dimostrato
attento alle esigenze, il 10% che è stato attento alle esigenze
ma non è stato in grado di spiegare che cosa stava succedendo,
il 19% che il venditore si è dimostrato disattento e non
si è quasi mai fatto vedere o sentire nelle fasi di caduta
dei mercati. Globalmente, in ultima analisi, un quadro con molte
luci e altrettante ombre.
Per quel che riguarda i titoli azionari, si è ridotta la
percentuale di chi li ha acquistati nellultimo anno. Si tratta
di un fenomeno del tutto comprensibile, viste le forti diminuzioni
dei livelli di prezzo nei mercati azionari di tutto il mondo, ma
è anche necessario osservare che la tendenza a vendere i
titoli azionari nei momenti di debolezza dei prezzi può essere
associata a una fragilità emotiva e alla scarsa comprensione
del concetto di rischio e di volatilità. Non va dimenticato
che un rendimento atteso del 5% e una volatilità del 20%
implicano che esiste una probabilità di oltre il 15% di conseguire
un rendimento annuale inferiore a -15%. Gli eventi degli ultimi
anni hanno quindi rappresentato un caso certamente inatteso, ma
non tanto improbabile.
Il saldo tra la quota di quelli che si dichiarano molto o abbastanza
soddisfatti e quella di coloro che sono poco o per nulla soddisfatti
è diventato molto negativo, segnando un vero e proprio crollo.
Aumenta in modo sensibile la percentuale dei per nulla soddisfatti,
passata da 6 a 35 in soli tre anni. Linvestimento azionario
non ha dato, quindi, i risultati sperati. Gli italiani hanno mutato
le loro opinioni in merito alla valutazione delle azioni nazionali:
aumenta leterogeneità della valutazione, nel senso
che quote crescenti di investitori pensano che il mercato sia sottovalutato
e quote crescenti che sia sopravvalutato. Diminuisce la percentuale
di indecisi e di chi ritiene che il mercato sia corretto.
E comunque interessante osservare come ancora oggi un quarto
degli investitori in titoli azionari si aspettino un rendimento
a due cifre, contrariamente alle opinioni dei professionisti
e degli accademici, che si sono recentemente pronunciati a favore
di rendimenti attesi dellordine del 5-6%.
E se il mercato crollasse del 30%? Il 4,7% ritiene che risalirebbe
subito, il 24,1% che risalirebbe nel giro di sei-dodici mesi, il
37,5% nel giro di uno-tre anni, il 22% che potrebbe non risalire
mai, il 12% non sa. Gli investitori stanno quindi assumendo un atteggiamento
psicologico più vicino alla situazione di una crisi lunga
anziché di breve durata. Molti ormai ritengono che una eventuale
nuova forte discesa potrebbe richiedere vari anni prima di essere
assorbita.
Paradossalmente, cresce la quota di investitori che ritiene le obbligazioni
rischiose: il 22,4% le percepisce addirittura come un investimento
molto rischioso e oltre il 30% non si esprime al riguardo; solo
il 18% (dal 22% dellanno precedente) le ritiene del tutto
sicure. Latteggiamento è paradossale perché
trascura la possibilità di mantenere le obbligazioni in portafoglio
e di percepire le cedole nominalmente stabilite, a meno che si faccia
riferimento al rischio di mancato pagamento delle stesse cedole
e/o del capitale.
Ancora molto modesta è la conoscenza delle obbligazioni
strutturate: diminuisce dal 58 al 55% la quota di coloro che non
ne hanno mai sentito parlare, e aumenta debolmente il numero di
coloro che vorrebbero saperne di più. In compenso, aumenta
la quota di individui che, pur avendo ricevuto una proposta di investimento
su queste obbligazioni, hanno rifiutato o per ignoranza dello strumento
(6,4%) o per timore di rischio eccessivo (6%).
Identici risultati per le obbligazioni di impresa (corporate
bonds). Sale dal 37 al 40 la percentuale di chi afferma di
non averne mai sentito parlare, sale dal 20 al 25 la percentuale
di chi le giudica poco attraenti. E molto probabile che dopo
i casi Cirio e Parmalat le opinioni siano ancora più sfavorevoli.
Il quadro è analogo per le obbligazioni a capitale garantito.
Il 36% non ne ha mai sentito parlare, il 17% le ritiene poco attraenti,
il 21% ne vorrebbe sapere di più, il 7% pensa che sia inutile
acquistarle ora, dopo che i prezzi dei titoli azionari hanno già
registrato forti ribassi. Solo il 6% ne detiene. Anche nel corso
del 2002-2003 linvestimento immobiliare si è mantenuto
a livelli elevati, toccando un nuovo massimo storico. La soddisfazione
nei confronti dellinvestimento in abitazioni è alta:
il 56% afferma di essere molto soddisfatto (percentuale analoga
a quella dellanno precedente, corrispondente al massimo dal
1994) e il saldo tra vantaggi e difetti risulta accresciuto notevolmente.
In generale, questo tipo di investimento viene visto come ottimo
(il migliore possibile) e anche come il più sicuro. Da rilevare
però il peso crescente assegnato allelemento della
liquidabilità, evidenziato già a proposito dei fondi.
Viene quindi confermata lipotesi di un investimento che cerca
protezione e immediata disponibilità di denaro liquido, anche
se nel settore immobiliare la maggiore difficoltà di smobilizzazione
di un immobile rispetto a un titolo azionario non è tanto
penalizzante da portare a esprimere giudizi negativi.
Conclusioni
Il risparmio è indispensabile dal punto di vista individuale
e aggregato. Il singolo deve accumulare un patrimonio per poter
consumare durante la pensione, unesigenza oggi ancora più
sentita di un tempo a causa delle ristrettezze del bilancio pubblico
e degli andamenti demografici. Il Paese deve bilanciare domanda
e offerta aggregata e trovare le risorse per incrementare il patrimonio
di capitale (fisico e umano) necessario per la produzione futura.
I mercati finanziari sono indispensabili per consentire a tutti
di attuare le decisioni in maniera efficiente e per far sì
che le decisioni individuali di risparmio trovino un riscontro aggregato
di accumulazione di capitale nei settori più utili.
I risparmiatori italiani mostrano vari punti di forza e di debolezza.
Tra i primi si segnala soprattutto la consapevolezza della necessità
del risparmio e il desiderio di risparmiare per motivi precauzionali.
Anche la prudenza finanziaria, che suggerisce di continuare a privilegiare
investimenti immobiliari, è un punto di forza in periodi
difficili, come quelli attuali. Tra i secondi esiste in primo luogo
la mancanza di progettualità, che non induce a risparmiare
per uno scopo preciso. Questa mancanza di progettualità sembra
coinvolgere il problema sempre più complesso del risparmio
previdenziale. In secondo luogo si trova uneccessiva mobilità
negli obiettivi di investimento, che induce gli italiani a cercare
il profitto apparentemente facile in periodi in cui
i prezzi delle attività finanziarie sono elevati e a rifuggire
dagli investimenti rischiosi in periodi in cui i prezzi sono bassi.
In terzo luogo, un grande elemento di debolezza è la carenza
di informazione finanziaria. Gli italiani non conoscono i meccanismi
di determinazione dei prezzi delle obbligazioni, i costi dei fondi
comuni, le differenze tra fondi comuni e fondi pensione, e non trovano
il tempo per cercare questa informazione. Vorrebbero avere degli
esperti a disposizione, ma non si fidano di quelli disponibili sul
mercato e soprattutto non vorrebbero pagarli. Si fidano delle banche
di piccole e medie dimensioni, e anche di quelle di grandi dimensioni,
ma di queste ultime in maniera meno completa dopo la caduta dei
mercati, che li ha colti di sorpresa, e dopo alcuni episodi discutibili.
Molto può quindi essere fatto per rifondare il sistema di
formazione e utilizzo del risparmio nazionale. I risparmiatori devono
cercare di acquisire conoscenze per prendere le giuste decisioni
in tema di risparmio, di accumulazione previdenziale e di investimenti.
Ma soprattutto gli intermediari finanziari devono cancellare quote
di ignoranza che condizionano la maggior parte della clientela,
proponendo prodotti e servizi utili e a costi ragionevoli. Levidenza
empirica alla fine del 2003 dimostra che cè ancora
molto da fare in tutti questi settori.
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