Marzo 2005

Tra Occidente e islam

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Laboratorio Turchia
Alain Touraine  
 
 







L’Europa,
in cui vive una
popolazione
di origine e di
credenze islamiche, ha bisogno per se stessa e per il mondo di stabilire un dialogo con
i Paesi musulmani.

 

Il dibattito sull’ingresso della Turchia nell’Unione europea si fonda su asserzioni implicite, dal momento che una decisione di fondo è già stata presa, che i progressi compiuti da Ankara per soddisfare le esigenze democratiche e morali dell’Ue sono di tutto rispetto e che questo Paese vanta un dinamismo economico da fare invidia ai grandi Paesi del Vecchio Continente.
Si deve forse dire che la Turchia musulmana viene respinta dall’Europa cristiana? Questo ragionamento sarebbe paradossale, dal momento che lo Stato maggiormente reticente nei confronti della Turchia è anche quello che si è opposto a qualsiasi riferimento al Cristianesimo nel Trattato Costituzionale: la Francia. Infine, alcuni sostengono che, nonostante i buoni propositi, la Turchia sia ancora ben lontana dal soddisfare i parametri europei. Ma anche in questo caso l’argomentazione è poco convincente, visto che tutti sanno che la vera integrazione interviene solo dopo un lungo periodo e che, in effetti, sono stati necessari diversi anni anche a Paesi come Spagna e Portogallo per entrare nell’Unione.
La vera motivazione va ricercata altrove. Accettare la Turchia non si giustifica dal punto di vista dell’estensione o del rafforzamento della stessa Ue. Si potrebbe anche affermare che l’ingresso di dieci nuovi membri abbia portato ad oggi più problemi che benefici, il che non induce certo a rimetterli alla porta. L’opposizione all’ingresso della Turchia si giustifica solamente con il fatto che, proprio mediante quest’ingresso, l’Europa stabilirebbe una relazione con il mondo musulmano, acquisendo nuovamente quel ruolo nella politica mondiale che ormai ha perso e diventando maggiormente indipendente nei confronti degli Stati Uniti che, dal canto loro, sono già divenuti unilateralisti e hanno già manifestato il proprio disprezzo per la “vecchia Europa”.
Senza dichiararlo espressamente, si può pensare che gli oppositori all’ingresso della Turchia siano anche contrari al fatto che l’Europa esca dalle proprie “frontiere naturali”; in altre parole, si tratta di coloro i quali non credono nella possibilità di costruire un rapporto tra Occidente e Islam capace di andare esattamente nella direzione opposta al rapporto bellicoso scelto dagli americani. Inoltre, molti europei, fra i quali rientrano anche gli oppositori alla politica statunitense, non intendono assumersi le proprie responsabilità nelle questioni mondiali, senza accorgersi che così facendo rafforzano l’egemonia americana e la volontà unilateralista degli Stati Uniti.
Poniamo dunque il problema in modo diretto. L’Europa deve concentrarsi su se stessa, permettendo ai Paesi meno sviluppati di raggiungere il gruppo di testa? Si può immaginare che l’Europa si estenda fino all’Ucraina, come peraltro già richiesto dai polacchi. Fatto, quest’ultimo, che implicherebbe rifiutarsi di intervenire nelle questioni mondiali e puntare invece sulla costruzione regionale, come quella che si propongono di tanto in tanto i Paesi dell’America Latina.

C'è chi invece preferisce che l’Europa svolga un ruolo mondiale. E’ a favore di questi che mi schiero apertamente. In passato, però, in modo particolare durante la Guerra Fredda, questo ruolo dell’Europa non era possibile. E probabilmente non sarà possibile nemmeno in futuro, soprattutto se il confronto sino-americano svolgerà un ruolo centrale.
Ma oggi questo ruolo non solo è possibile, ma addirittura necessario, visto che il problema di fondo ruota intorno ai rapporti tra Occidente e mondo islamico. Rapporti che l’Unione europea, la Francia e la Germania in particolare, ma anche l’Italia e la Spagna, possono voler risolvere a modo proprio (e cioè diversamente dagli americani), dal momento che stanno subendo sui loro territori le conseguenze dirette della crisi mediorientale.
La politica americana è stata determinata dall’appoggio incondizionato a Israele e dalla decomposizione politica del mondo arabo. Al contrario, gli europei devono fare affidamento sui Paesi islamici dotati di uno Stato forte, che non siano stati colonizzati o che, nella propria storia recente, abbiano già fatto grandi passi avanti nel modello occidentale. E questo indipendentemente dal fatto che i successi raggiunti dal primo Pahlevi siano stati seguiti dai fallimenti del suo successore, ma sempre tenendo ben presente che il kemalismo, sebbene in regresso e sempre più moderato, ha profondamente laicizzato lo Stato turco.
Bisogna inoltre pensare al fatto che una parte importante della gioventù riceve le proprie informazioni da Internet e, di conseguenza, si sottrae in parte alle propagande islamiche. E infine, come non riconoscere il ruolo centrale di Istanbul, città in cui confluiscono tutte le correnti dell’Europa e dell’Oriente? Al tempo stesso però osserviamo che il notevole ostacolo rappresentato dall’insurrezione del Kurdistan è meno grave rispetto a un tempo, in particolare perché i kurdi dell’Iraq e dell’Iran non cullano più il sogno di un Grande Kurdistan.
L’Europa, in cui vive una popolazione di origine e di credenze islamiche, ha bisogno, per se stessa e per il mondo, di stabilire un dialogo con i Paesi musulmani, per aiutarli a trasformarsi e a stabilire un compromesso tra la loro eredità culturale e una modernizzazione accelerata. Solo in questo modo saremo in grado di migliorare la nostra immagine del mondo e costruire quelle azioni positive capaci di compensare gli effetti negativi dell’attuale politica americana.
L’ingresso in Europa della Turchia non apporterebbe benefici solo alla stessa Turchia, ma all’intera Europa, in quanto l’atteggiamento di ripiegamento su se stessa sta rafforzando un po’ ovunque i nazionalismi, i populismi e il rifiuto dello straniero. Tendenze che rappresentano una minaccia sempre più reale per le nostre democrazie.
Concludo con la convinzione che l’Europa debba svolgere un ruolo mondiale e trovare una soluzione originale ai rapporti tra l’Occidente e il mondo islamico. Una soluzione volta a guidarci non soltanto verso un atteggiamento favorevole nei confronti dell’ingresso della Turchia in Europa, ma anche verso un vero e proprio entusiasmo al servizio di un progetto che corrisponde agli interessi più fondamentali dell’Europa: vale a dire la capacità di agire come uno Stato che consideri la propria economia e la propria cultura alla stessa stregua dei più gravi problemi internazionali.

 

   
   
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