L’Europa,
in cui vive una
popolazione
di origine e di
credenze islamiche, ha bisogno per se stessa e per il mondo di stabilire
un dialogo con
i Paesi musulmani.
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Il dibattito sull’ingresso della Turchia nell’Unione
europea si fonda su asserzioni implicite, dal momento che una decisione
di fondo è già stata presa, che i progressi compiuti
da Ankara per soddisfare le esigenze democratiche e morali dell’Ue
sono di tutto rispetto e che questo Paese vanta un dinamismo economico
da fare invidia ai grandi Paesi del Vecchio Continente.
Si deve forse dire che la Turchia musulmana viene respinta dall’Europa
cristiana? Questo ragionamento sarebbe paradossale, dal momento
che lo Stato maggiormente reticente nei confronti della Turchia
è anche quello che si è opposto a qualsiasi riferimento
al Cristianesimo nel Trattato Costituzionale: la Francia. Infine,
alcuni sostengono che, nonostante i buoni propositi, la Turchia
sia ancora ben lontana dal soddisfare i parametri europei. Ma anche
in questo caso l’argomentazione è poco convincente,
visto che tutti sanno che la vera integrazione interviene solo dopo
un lungo periodo e che, in effetti, sono stati necessari diversi
anni anche a Paesi come Spagna e Portogallo per entrare nell’Unione.
La vera motivazione va ricercata altrove. Accettare la Turchia non
si giustifica dal punto di vista dell’estensione o del rafforzamento
della stessa Ue. Si potrebbe anche affermare che l’ingresso
di dieci nuovi membri abbia portato ad oggi più problemi
che benefici, il che non induce certo a rimetterli alla porta. L’opposizione
all’ingresso della Turchia si giustifica solamente con il
fatto che, proprio mediante quest’ingresso, l’Europa
stabilirebbe una relazione con il mondo musulmano, acquisendo nuovamente
quel ruolo nella politica mondiale che ormai ha perso e diventando
maggiormente indipendente nei confronti degli Stati Uniti che, dal
canto loro, sono già divenuti unilateralisti e hanno già
manifestato il proprio disprezzo per la “vecchia Europa”.
Senza dichiararlo espressamente, si può pensare che gli oppositori
all’ingresso della Turchia siano anche contrari al fatto che
l’Europa esca dalle proprie “frontiere naturali”;
in altre parole, si tratta di coloro i quali non credono nella possibilità
di costruire un rapporto tra Occidente e Islam capace di andare
esattamente nella direzione opposta al rapporto bellicoso scelto
dagli americani. Inoltre, molti europei, fra i quali rientrano anche
gli oppositori alla politica statunitense, non intendono assumersi
le proprie responsabilità nelle questioni mondiali, senza
accorgersi che così facendo rafforzano l’egemonia americana
e la volontà unilateralista degli Stati Uniti.
Poniamo dunque il problema in modo diretto. L’Europa deve
concentrarsi su se stessa, permettendo ai Paesi meno sviluppati
di raggiungere il gruppo di testa? Si può immaginare che
l’Europa si estenda fino all’Ucraina, come peraltro
già richiesto dai polacchi. Fatto, quest’ultimo, che
implicherebbe rifiutarsi di intervenire nelle questioni mondiali
e puntare invece sulla costruzione regionale, come quella che si
propongono di tanto in tanto i Paesi dell’America Latina.

C'è chi invece preferisce che l’Europa svolga un ruolo
mondiale. E’ a favore di questi che mi schiero apertamente.
In passato, però, in modo particolare durante la Guerra Fredda,
questo ruolo dell’Europa non era possibile. E probabilmente
non sarà possibile nemmeno in futuro, soprattutto se il confronto
sino-americano svolgerà un ruolo centrale.
Ma oggi questo ruolo non solo è possibile, ma addirittura
necessario, visto che il problema di fondo ruota intorno ai rapporti
tra Occidente e mondo islamico. Rapporti che l’Unione europea,
la Francia e la Germania in particolare, ma anche l’Italia
e la Spagna, possono voler risolvere a modo proprio (e cioè
diversamente dagli americani), dal momento che stanno subendo sui
loro territori le conseguenze dirette della crisi mediorientale.
La politica americana è stata determinata dall’appoggio
incondizionato a Israele e dalla decomposizione politica del mondo
arabo. Al contrario, gli europei devono fare affidamento sui Paesi
islamici dotati di uno Stato forte, che non siano stati colonizzati
o che, nella propria storia recente, abbiano già fatto grandi
passi avanti nel modello occidentale. E questo indipendentemente
dal fatto che i successi raggiunti dal primo Pahlevi siano stati
seguiti dai fallimenti del suo successore, ma sempre tenendo ben
presente che il kemalismo, sebbene in regresso e sempre più
moderato, ha profondamente laicizzato lo Stato turco.
Bisogna inoltre pensare al fatto che una parte importante della
gioventù riceve le proprie informazioni da Internet e, di
conseguenza, si sottrae in parte alle propagande islamiche. E infine,
come non riconoscere il ruolo centrale di Istanbul, città
in cui confluiscono tutte le correnti dell’Europa e dell’Oriente?
Al tempo stesso però osserviamo che il notevole ostacolo
rappresentato dall’insurrezione del Kurdistan è meno
grave rispetto a un tempo, in particolare perché i kurdi
dell’Iraq e dell’Iran non cullano più il sogno
di un Grande Kurdistan.
L’Europa, in cui vive una popolazione di origine e di credenze
islamiche, ha bisogno, per se stessa e per il mondo, di stabilire
un dialogo con i Paesi musulmani, per aiutarli a trasformarsi e
a stabilire un compromesso tra la loro eredità culturale
e una modernizzazione accelerata. Solo in questo modo saremo in
grado di migliorare la nostra immagine del mondo e costruire quelle
azioni positive capaci di compensare gli effetti negativi dell’attuale
politica americana.
L’ingresso in Europa della Turchia non apporterebbe benefici
solo alla stessa Turchia, ma all’intera Europa, in quanto
l’atteggiamento di ripiegamento su se stessa sta rafforzando
un po’ ovunque i nazionalismi, i populismi e il rifiuto dello
straniero. Tendenze che rappresentano una minaccia sempre più
reale per le nostre democrazie.
Concludo con la convinzione che l’Europa debba svolgere un
ruolo mondiale e trovare una soluzione originale ai rapporti tra
l’Occidente e il mondo islamico. Una soluzione volta a guidarci
non soltanto verso un atteggiamento favorevole nei confronti dell’ingresso
della Turchia in Europa, ma anche verso un vero e proprio entusiasmo
al servizio di un progetto che corrisponde agli interessi più
fondamentali dell’Europa: vale a dire la capacità di
agire come uno Stato che consideri la propria economia e la propria
cultura alla stessa stregua dei più gravi problemi internazionali.

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