Marzo 2005

Mini-dollaro / Super-euro

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Crollo in vista?
M.B. - D.M.B. Presidente della Repubblica Italiana
 
 





Il dollaro si
indebolisce
soltanto nei
confronti dell’euro e quindi scarica sugli europei tutto il peso dello
squilibrio
commerciale
che gli Stati Uniti hanno con la Cina.

 

«Se gli Stati Uniti lasciassero precipitare il valore del dollaro e il resto del mondo non facesse nulla per impedirlo, si rischierebbe una Hiroshima valutaria»: Paolo Savona riprende e rilancia l’analisi che il Premio Nobel Paul Samuelson aveva già rappresentato in termini realistici. I due studiosi non sono giovani di primo pelo, a caccia di notorietà; al contrario, sono due guru noti per l’esperienza sul campo e per la puntigliosità delle ricerche. Eppure, negli ultimi interventi pubblici hanno delineato scenari da brividi.
Secondo le loro previsioni, il deficit nei conti pubblici e lo squilibrio della bilancia commerciale statunitense hanno raggiunto una dimensione molto pericolosa. Senza un freno, senza un rimedio nel breve periodo, prima o poi potrà venir meno quell’afflusso di investimenti verso gli Stati Uniti che attualmente sostiene ancora la valuta americana. A questo punto diventerebbe inevitabile un’ulteriore e marcata discesa delle quotazioni del biglietto verde, con una conseguenza disastrosa, che l’economista italiano sintetizza così: «Un gran botto valutario, che polverizzerebbe le attività in dollari e farebbe sprofondare nella seconda grande crisi l’economia planetaria». Il rimedio? Si suggerisce la ricerca di un nuovo ordine monetario internazionale, esigenza di cui ha parlato anche il Governatore della Banca d’Italia, Fazio, durante le celebrazioni in memoria di Guido Carli.
Ma le prospettive sono davvero così nere? Rispondono alcuni economisti di diversa estrazione. Tra ottimisti, pessimisti e possibilisti, il risultato non è per nulla univoco. Tranne che su un punto: non ci sarà a breve una ripresa della divisa americana. Opinione comune è che la valuta statunitense resterà debole in questo periodo, e probabilmente perderà altro terreno.
Mario Deaglio, docente di Economia Internazionale a Torino, va subito al cuore del problema: «Non sono un profeta, non posso dire oggi se il dollaro reggerà oppure no in futuro. Però concordo con l’analisi di Savona: un rischio Hiroshima dei cambi c’è, ed è molto forte». Le ragioni sono identiche a quelle messe in campo anche da Samuelson: gli squilibri gemelli dei conti pubblici e della bilancia commerciale Usa: «Le Banche centrali saranno impegnate a pilotare la discesa del dollaro. Ma se gli Stati Uniti non metteranno ordine nei propri squilibri, saranno guai. Dell’esigenza di un nuovo ordine monetario mondiale ha parlato il Governatore. E questo futuro ordine inevitabilmente sarà destinato da un lato a mettere alcuni vincoli agli Stati Uniti e dall’altro a coinvolgere la Cina. Infatti questo Paese è il secondo detentore di riserve valutarie nel mondo, dunque è necessario che sieda al tavolo delle trattative. Non solo. La Cina è anche una vastissima area in fase di impetuoso sviluppo. Ora Pechino vorrebbe raffreddare un poco, soltanto un poco, la propria economia. Così non è impossibile pensare a una piccola rivalutazione dello yuan».

Sostiene Alberto Alesina, Capo del Dipartimento economico dell’Università di Harvard: «Non vedo all’orizzonte crisi drammatiche del dollaro o attacchi speculativi. Si tratta di mercati troppo grandi anche per gli speculatori più agguerriti. Ma non è impossibile, anzi è molto probabile, che le quotazioni del dollaro nei prossimi mesi scenderanno ancora». Alesina, economista italiano fra i più seguiti a livello internazionale, non si iscrive al partito dei pessimisti, ma non per questo guarda con minore apprensione alla situazione economico-finanziaria pubblica americana: «Il deficit commerciale è molto alto, supera il 5 per cento del Prodotto interno lordo. Gli Stati Uniti crescono molto e importano molto. Anche il deficit pubblico è alto, mentre il risparmio delle famiglie è basso. In una situazione del genere o si decide di svalutare il dollaro o si accetta che negli Usa parta l’inflazione, oppure si mette un po’ di ordine nei deficit americani. Oppure, ancora, cosa più probabile, si verificano tutte e tre queste cose. Quindi, è sicuramente possibile che il dollaro comunque scenda ancora di più. Per l’Europa questo significa strada in salita. Nei prossimi mesi o anni nessun aiuto verrà dal dollaro e dagli Stati Uniti. Il Vecchio Continente questa volta deve farcela da solo, sapendo che la partita più importante la giocherà con la Cina, specializzandosi nelle produzioni ad alta tecnologia e ad alta intensità di capitale».
Chiarissimo il pensiero di Giacomo Vaciago, docente di Politica Economica e direttore dell’Istituto di economia e finanza della Cattolica di Milano: «Altro che dollaro debole. Qui stiamo assistendo alla sfida dell’euro contro tutti, perché attaccate al dollaro ci sono la Cina, l’India, l’intera America Latina. Ed è questo il vero problema». Vaciago punta il dito, più che sulla debolezza della divisa americana, sul comportamento degli europei: «L’Italia ha deciso di allearsi dal punto di vista monetario con gli altri Paesi dell’Ue. Ma poi nessuno fa squadra. Così, da un lato ci sono gli Stati Disuniti d’Europa, dall’altro gli Usa, più i colossi che ormai hanno collegato le proprie valute al dollaro, come, appunto, quei veri e propri continenti che sono la Cina e l’India, oltre al Sudamerica. E allora qui sta l’aspetto più preoccupante: se il dollaro si indebolisse nei confronti di tutte le altre valute, poco male. Il problema è che si indebolisce soltanto nei confronti dell’euro e quindi scarica sugli europei tutto il peso dello squilibrio commerciale che gli Stati Uniti hanno, per esempio, con la Cina. Cosa fare? Per evitare che l’andamento dei cambi abbia contraccolpi sullo sviluppo e sull’occupazione, l’Europa deve crescere di più, aiutando in questo modo anche gli Usa ad affrontare i propri deficit. Dobbiamo spendere meglio; non per difendere il passato, ma per costruire il futuro».

Paolo Garonna, direttore del Centro Studi di Confindustria, la vede in questo modo: «Bisogna ricordare che, accanto ad economisti che prevedono crisi drammatiche sui cambi, vi sono altri secondo i quali anche con gli attuali squilibri dei conti pubblici e della bilancia commerciale americana si potrà tranquillamente andare avanti per almeno dieci anni. Questo non vuol dire che non ci siano preoccupazioni. Con il dollaro a queste quotazioni la crescita europea si riduce. E il problema riguarda soprattutto l’Italia, che ha le stesse specializzazioni produttive dei Paesi asiatici, i quali hanno la propria valuta agganciata al dollaro. Però si deve anche riconoscere che vi sono fatti incoraggianti. Dopo una svalutazione del 50 per cento, come quella subita dalla moneta Usa, stiamo riscontrando ora segnali non isolati di ripresa. Detto a bassa voce: la vitalità per reagire le imprese italiane in realtà ce l’hanno, e ormai hanno fatto anche l’abitudine all’euro forte».
Infine, Luigi Paganetto, preside della Facoltà di Economia a Tor Vergata: «Il dollaro è destinato a restare debole e non è prevedibile ora come ora un ingente flusso di capitale a suo sostegno. Ma gli Stati Uniti mantengono un forte differenziale di produttività rispetto all’Europa e questo può portare a esiti importanti dal punto di vista della spinta competitiva. Non sono pessimista. Anzi, metto nel conto anche un possibile risvolto positivo, in analogia con quanto avvenne quando il Giappone invase gli Usa con le merci poco costose. Allora, invece di far passare una spinta al protezionismo, prevalse l’impegno per far crescere l’efficienza. Oggi potrebbe accadere la stessa cosa, sotto la spinta della concorrenza cinese. La condizione? Se la politica economica di Bush saprà garantire la crescita dell’occupazione e l’uso efficiente delle risorse, si accrescerà negli Stati Uniti un’alta produttività. Se così sarà, questa fase di debolezza va considerata temporanea e finirà con l’attirare l’afflusso di capitali».

   
   
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