Una volta era
l’università
a selezionare la classe dirigente; oggi è il know how globale
a stabilire chi entra nel
novero dei pionieri sulla frontiera
del futuro.
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Costi energetici, dozzine di guerre, terrorismi, crisi dei mercati
finanziari, scarsa fiducia nelle istituzioni, debolissima propensione
al rischio... Una gran cautela è il mood che si
respira nei quartieri alti, dove si naviga a vista e fare previsioni
è considerata una missione da veri e propri scellerati. Perché
si ritiene che l’Italia sia come i gatti, un Paese dalle sette
vite.
Qui il clima d’incertezza e di stagnazione non induce alla
sobrietà. Anzi. Se i ceti medi e medio-alti, i “ricchi
occasionali”, come li ha definiti il sociologo Giampaolo Fabris,
sono stati costretti a ridimensionare i loro sogni e i loro consumi
(risparmio sulla spesa, per permettersi la borsa di Prada o la vacanza
alle Mauritius), tra i consumatori d’élite, gli happy
few dai cospicui patrimoni – imprenditori, immobiliaristi,
grandi professionisti, manager dalle lautissime stock-options –
c’è una vera e propria corsa all’acquisto di
dimore prestigiose, di yacht sempre più giganteschi, di auto
bellissime (dalla Maserati Quattroporte alla Porsche Cayenne Turbo),
di oggetti assai costosi (da Vuitton c’è da tempo una
lunga lista d’attesa per le nuove borse Monogram Denim e Monogram
Cherry), meglio se su misura, personalizzati, in “limited
edition”. Parola chiave: l’esclusività.

Alcuni esempi, fra i tanti. A Saint Moritz appartamenti costosi
come quelli dell’ex Hotel Post (firmati dall’architetto-star
Norman Foster, da un minimo di 30 mila franchi svizzeri al metro
quadrato) sono stati venduti quasi tutti a ricchissimi italiani,
mentre sembra che la moglie dell’ingegner Carlo De Benedetti
abbia acquistato un vecchio albergo di Silva Plana. Identico refrain
a Casa del Campo, Santo Domingo, dove sul ciglio di stupende marine
e accanto a quattro campi da golf sono di italiani alcune delle
ville più sontuose, a cominciare da quella che l’industriale
Augusto Perfetti ha acquistato dallo stilista Oscar Della Renta.
Boom del mattone come bene rifugio? Non solo questo, ma molto di
più. «Per il loro benessere i nostri clienti non badano
a spese; nelle loro ville si stanno realizzando palestre faraoniche»,
racconta Nerio Alessandri, l’industriale che ha inventato
Technogym. Il runner, la piscina, l’hammam come totem, come
status symbol da esibire. Se De Rita giudica l’Italia
un Paese «ricco male» perché fondato sul patrimonio
e socialmente squilibrato, altre analisi sono meno severe. Per Fabris
questa disponibilità elevatissima al consumo (una sorta di
autogratificazione anticrisi) può produrre benefici effetti
traino.
Così la tendenza al gigantismo negli yacht (barche da 60
metri e più, come l’“Altair” di Diego Della
Valle o “The One” di Francesco Caltagirone) sta facendo
la fortuna dei nostri cantieri, i più innovativi sul mercato.
Con i 140 maxiyacht nel portafoglio-ordini (attese fino a tre anni)
gli italiani sono leader in Europa e secondi nel mondo: un boom
che ha fatto schizzare in alto, dopo anni difficili, il fatturato
della nostra industria nautica. Non più soltanto l’elicottero
a bordo. «Sarà una cittadella galleggiante, dal portellone
di poppa invece del solito tender uscirà una piattaforma
con la palestra. Il mare sarà la piscina»: in questo
modo Lorenzo Taccoli, amministratore delegato di Crn, la società
del Gruppo Ferretti che costruisce i maxiyacht, descrive una nuova
megabarca da oltre 60 metri, destinata a un ricco cliente, italiano.
Niente nomi, ovviamente. «L’alto di gamma, soprattutto
la nautica, è il settore che va meglio. Se tutta l’economia
italiana avesse questi risultati, vivremmo in paradiso», conferma
il segretario di Alta Gamma, l’associazione che riunisce sessanta
aziende italiane (da Ferrari a Tod’s, da Bulgari a Loro Piana
e a Gucci) che riescono ad essere competitive nel mondo grazie a
quell’inimitabile e prezioso quid che sanno mettere
gli italiani quando fanno bene i loro prodotti.

L’alto di gamma (adesso si dice così, perché
la parola “lusso” è fuori moda) per gli italiani
è un mercato strategico, buona ragione per evitare facili
moralismi e inattuali autoflagellazioni. Quanto all’autogratificazione,
non è sicuramente bisogno solo da ricchi, chi ha molti soldi
ha mille modi per goderne.
Come evitare noiose code nel week-end o la perdita dei bagagli a
Fiumicino o a Malpensa? Molto semplice: «A 109 mila euro offriamo
la “Netjets private card”, 25 ore di volo sui nostri
aerei», spiega Monica Agusta, vicepresidente per l’Italia
e per la Costa Azzurra della società con una flotta di 560
aerei in tutto il mondo creata dal miliardario Warren Buffet. Una
semplice telefonata, e via in volo.
Fine del minimalismo, e anche del “politicamente corretto”.
Dopo anni di forzato digiuno animalista, le ricche signore italiane
sono tornate a comprare pellicce. Afferma uno stilista del ramo
che le clienti vanno pazze per lo zibellino scamosciato (80-100
mila euro), e spiega: «Il gioco è fingere di coprirlo
per poi esibire il tesoro che c’è dentro. Non a Roma,
a Venezia o a Milano, ma in vacanza a Gstaad o a New York».
Qualche settimana fa si è visto il sultano del Qatar entrare
nel negozio di un celebre gioielliere della milanese via Montenapoleone.
Costui mostra un collier di 27 rubini e brillanti, con spilla di
12 carati e orecchini coordinati: il tutto, di una bellezza abbagliante,
costa 5 milioni di euro. Domanda per capire: «A parte i sultani,
quanti clienti italiani si potrebbero mai presentare per una parure
del genere?». Risposta lapidaria: «Più di quelli
che lei immagina!». Il fatto è che di soldi in giro
ce ne sono davvero tanti. Ben altra cosa è investire, scommettendo
sul nostro e sul comune futuro.
Chi lo fa, generalmente mette in gioco i figli. E stiamo parlando
di gente che di soldi ne ha tanti, che lavora molto e bene, e che
non ha alcuna intenzione di vedere scendere la curva dei profitti
dell’impresa familiare o di vedere esclusi dal novero dei
manager di primo livello i propri discendenti. E così i giovani
devono “farsi le ossa” laureandosi, magari a Oxford,
e svolgendo un periodo di lavoro in Italia. Un’esperienza
breve. Poi, master in America, e innesto nei centri di ricerca delle
università statunitensi, dove si impara a proiettarsi continuamente
nel futuro.
In alternativa, esplorazione delle opportunità che offre
l’immenso mercato cinese, dove sta succedendo di tutto e i
ritmi di crescita sono semplicemente pazzeschi: dunque, aereo per
Shanghai e master alla “China Europe International Business
School”, che è sponsorizzata dalla Bocconi. Durata,
diciotto mesi. Poi, almeno cinque o sei anni di lavoro da quelle
parti: quanto basta per creare una rete di relazioni e una serie
di conoscenze che saranno utilissime per l’attività
da svolgere in Italia o in Europa.
Ecco: una volta era l’università pura e semplice a
selezionare la nostra classe dirigente; oggi è il know
how globale a stabilire chi fa parte delle eccezioni virtuose,
chi entra nel novero dei pionieri sulla frontiera del futuro, chi
sta sul versante dei privilegiati self made man; insomma,
chi è destinato ad essere ricco, (di idee, oltre che di patrimonio),
attivo, creativo, e magari fortunato acquirente di grandi yacht
e di megaville in luoghi esotici. Almeno farà la differenza
con chi fa gli acquisti e le vacanze in alto di gamma, ma con i
soldi di papà.
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