Marzo 2005

 

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"Credo, quia absurdum"

Vito Primiceri Direttore Generale Banca Popolare Pugliese
 
 

Partecipando
a “Coppula Tisa” abbiamo voluto
raccogliere
e rilanciare una sfida che è
culturale ed
economica allo stesso tempo.

 

Ricordo bene il giorno in cui Edoardo Winspeare venne in banca per parlarmi di “Coppula Tisa”, della sua lucertola salentina, che, come ebbe a ripetermi più volte nel giro di pochi minuti, «non demorde e continua ad adunare il suo esercito di volontari per difendere la bellezza del paesaggio salentino».
Rammento pure le sensazioni che avvertii mentre Winspeare continuava ad espormi il suo progetto con quello slancio, quella passione, quell’entusiasmo che lo rendevano, almeno così mi sembrava in quei momenti, sempre meno progetto e sempre più una sorta di moderna “chiamata” alle “armi” per combattere una guerra, beninteso incruenta, contro «il brutto oggettivo, conclamato e irrimediabile. Il brutto-brutto, insomma: il brutto senza appello e senza speranza».
Dinanzi a questa “chiamata” le mie reazioni furono due. La prima – più epidermica e pragmatica – mi suggeriva di salutare l’interlocutore e la sua utopia, ringraziandolo della parentesi onirica che mi stava dando “e a gratis” (anch’io so parlare in dialetto), prima di tornare ad occuparmi di “cose concrete” in maniera concreta, come si vuole da chi lavora in banca (a ciascuno il suo!) e come d’altronde pretendevano le persone che nella stanza affianco aspettavano il loro turno per entrare e sedersi al posto di Edoardo e trattare i loro “travaij”.
A mano a mano però che Edoardo mi parlava della sua lucertola, la reazione iniziale cominciò a diminuire fino a scomparire e ad essere sostituita da un’altra certamente più buffa e surreale. Guardavo Winspeare, che continuava a “tormentarmi” con la stessa caparbietà della sua lucertola e lo stava facendo talmente bene che ad un certo punto cominciò ad assumere, mentre parlava, le sembianza del lucertolone con la “coppula tisa”, con la visiera rialzata, simbolo di quei “cafoni” fieri, arditi, cocciuti che non vollero piegare mai la testa ai soprusi, alle angherie, alle ingiustizie; di quei “cafoni” che non si rassegnarono, che non abbassarono la visiera delle loro “coppule” sin sotto gli occhi, per continuare a “vedere”, a camminare a testa alta.

In altri momenti della conversazione le parole di Edoardo mi sembravano quasi riecheggiare un bando cavalleresco: madama “Bellezza” chiama alle armi quanti vogliono combattere la buona battaglia sotto le sue insegne.
Voglio rassicurarvi, non mi sento, né mi sono mai sentito, un novello oplita, ma quelle descritte sono sensazioni (durate pochissimo ma di forte intensità) che mi piace proporvi, prima di chiarire il senso e la portata della partecipazione di Banca Popolare Pugliese a “Coppula Tisa”.
In breve, le ragioni della nostra adesione al progetto di “acquistare ecomostri per distruggerli”, vanno ricercate innanzitutto nel DNA della nostra Banca : “popolare” e “pugliese”. In quanto “popolare” e “pugliese”, Winspeare si è rivolto a noi, piuttosto che ad altre banche, che avrebbero potuto, almeno in ipotesi, sostenerlo come noi e, forse, più di noi in termini economici.
In quanto “popolare” e “pugliese” la nostra banca ha deciso di sposare l’iniziativa, non attraverso una sponsorizzazione o un’adesione a distanza, come si usa oggi, ma attraverso una condivisione che è innanzitutto culturale: vogliamo che i nostri figli abbiano un Salento integro e bello così come lo abbiamo conosciuto. Partecipando a “Coppula Tisa” abbiamo voluto infatti raccogliere e rilanciare una sfida che è culturale ed economica allo stesso tempo: dobbiamo dimostrare di aver capito non solo con l’intelletto (la cosa di per sé non è difficile) ma con gli atti e i comportamenti assunti da ciascuno di noi quotidianamente che l’integrità e la bellezza del territorio costituiscono la più grande capitalizzazione delle nostre risorse, in primo luogo di quelle turistiche.
E la Banca? Anche questa occasione ci è propizia per “esporci” in prima linea nel supportare lo sviluppo economico locale con un’attenzione particolare a quella imprenditoria sana, in grado di coniugare crescita economica e rispetto del territorio, della sua storia, delle sue tradizioni.
E’ in questa direzione che va collocata l’iniziativa della Banca, che si affianca a tante altre, così come attesta il nostro Bilancio sociale per la responsabilità etica e sociale nella gestione d’impresa, giunto ormai alla quinta edizione.
Non mi nascondo, ovviamente, i limiti e i vincoli dell’iniziativa.
Innanzitutto, “Coppula Tisa” non aspira a eliminare tutto il brutto che c’è, ma solo ad attuare alcune iniziative dimostrative ad alto contenuto simbolico (distruggere per ricostruire, non è forse il ciclo della vita?), che destino quanti dormono o sonnecchiano (sia nel pubblico che nel privato). Gli interrogativi non sono pochi. Una volta esaurito lo slancio iniziale, che contrassegna queste iniziative, saremo capaci di “gestire” le fasi successive di inevitabile riflusso? Per quanto tempo bisognerà raccogliere fondi per acquisire i “mostri” da eliminare? Che cosa fare dei luoghi ripuliti? E così via.
A queste (e ad altre) domande, “Coppula Tisa” è chiamata a rispondere e lo farà nella misura in cui ne sarà capace. L’importante è che l’iniziativa contribuisca a smuovere le coscienze. I vincoli e i limiti non sono pochi, ma riusciranno ad impedire che le intenzioni si tramutino in azioni? Io credo di no, e lo credo perché è nei limiti e nella “stranezza” di “Coppula Tisa” che sono racchiusi la forza e il valore simbolico dell’iniziativa.
«Credo, quia absurdum», direbbe Ezra Pound. «Credo, perché assurdo», ma quante volte l’assurdo è diventato realtà? Edoardo col suo modo di fare e di dire apparentemente scanzonato pone interrogativi seri: «La Bellezza salverà il mondo come ricerca d’armonia e d’amore» (Dostoevskij)? Per quanto mi riguarda, non so rispondere. Ma se la Bellezza, da sola, non riuscirà a salvare il mondo, “sento” che potrà parteciparvi enormemente.
Da uomo “pratico”, sono d’accordo con Winspeare quando dice che è «complicato indagare e accertare cos’è bello e cosa invece è brutto, e particolarmente temerario approfondire la differenza fra bello e brutto, tema che infatti implicherebbe dispendiose riflessioni…». Non voglio rubare il mestiere a filosofi, teologi o intellettuali, vorrei però, non sapendo definire in positivo i tratti della Bellezza, proporre quanto è “Non-Bellezza”, attraverso una frase pronunziata da Lenin: «E’ l’ora in cui non è più possibile sentire la musica, perché la musica fa venire desiderio di accarezzare la testa ai bambini, mentre è venuto il momento di tagliargliela». Dal suo punto di vista Lenin aveva indubbiamente ragione. Tra il bello e il bene esiste un legame misterioso, inafferrabile, ma indistruttibile. Ed è per questo che evidentemente soprattutto i regimi totalitari ci hanno regalato le architetture più orrende della storia.

Con “Coppula Tisa” vogliamo fare il contrario di Lenin. Vogliamo continuare a “sentire la musica” e a non aver paura del desiderio di “accarezzare la testa ai bambini”.
Si tratta, per dirla con Edoardo, di «lottare contro la volgarità dilagante e il contemporaneo cinismo per recuperare l’Incanto perduto», per riscoprire la Bellezza, non solo la Bellezza circoscritta dai canoni accademici o relegata nell’atmosfera irreale dei musei, ma la Bellezza sparsa, come un polline, nei petali della vita, nei gesti, negli sguardi e nelle parole, nei volti, negli oggetti, nelle case, nelle strade, nel trascorrere incessante della vita quotidiana. Una bellezza incarnata. Una Bellezza dalla quale potrà nascere un nuovo umanesimo per illuminare le nostre tenebre.

   
   
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