Marzo 2005

Tsunami e dintorni

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Dov’era
(dov’è) Dio?
J. Saramago - A. Sofri - S. Bello - G. Tondi
 
 

Poh! – disse Giove – incolperà l’uom dunque
sempre gli dei? Quando a se stesso i mali
fabbrica, de’ suoi mali a noi dà carco,
e la stoltezza sua chiama destino.
      Odissea, I, 48-51

 

Il 17 ottobre del 1730 il Municipio di Lanzarote, nelle Isole Canarie, inviò un documento agli Uditori della regia autorità spagnola, informandoli che «essendo scaturito un vulcano la notte del primo giorno del mese passato, emettendo fuoco per nove e dieci giorni, in seguito ai quali lasciò bruciate case, cisterne, coste, fabbriche, pagliai, arativi, e lasciò perduti completamente i raccolti e quasi murate le case, il Cielo ci aiuti dal dolore causato dal pianto e dal lamento di uomini, donne e bambini». In questo paesaggio ferito, che oggi si chiama Parco nazionale di Timanfaya, percorso spesso dal calufo, l’intenso caldo locale, abito io, José de Sousa. Saramago, aggiunto al mio cognome dall’impiegato dell’anagrafe, in realtà era il soprannome della famiglia paterna, e indicava una radice che i poveri masticavano per sfamarsi.
Desidero parlare dell’invenzione di Dio. Abbiamo inventato Dio perché moriamo. A volte dico che fuori della testa dell’uomo non c’è nulla. E’ così, un decapitato non può credere in Dio, anche se può già essere in paradiso. Il problema sta qui. Moriamo e allora ci chiediamo: muoio, e cosa succede dopo? Alcuni di noi sanno che non succede niente ed è finita qui. Io dico che l’essenza umana è un intermezzo tra il niente e il niente, e dopo c’è ancora il niente. Per noi, dal punto di vista dell’essere, è il niente. Ma altri non la pensano così. Pensano che ci debba essere qualcosa, che chiamiamo dio. Fuori della testa dell’uomo non c’è il bene, non c’è il male, non ci sono gli ideali, non c’è dio, non c’è niente. Tutto quello che abbiamo ce lo portiamo nella testa.
Tutte le guerre sono assurde, ma le guerre di religione sono più assurde di tutte, perché si fanno in nome di non si sa cosa. La capacità di autoinganno dell’essere umano non ha limiti. Inventa qualche cosa e si convince che quello che ha inventato è una verità definitiva. Tutto succede dentro di lui, non c’è niente fuori. Che idea è mai questa, che un dio potentissimo e imponente sarebbe andato a creare esseri a sua immagine e somiglianza per metterli in una piccolissima galassia, in un sistema solare insignificante, in un pianeta minuscolo con tutto l’universo intorno? Ha creato tutto l’universo per questo?

 


José Saramago
Premio Nobel per la Letteratura

L’arca di Noè, il diluvio. Dopo quella volta, Dio lasciò gli umani liberi di combinare i loro guai. Dopo quella volta, i disastri non furono più castigati da Dio. In un certo senso, dopo di allora anche Dio ne fu castigato. Lo si chiama in causa: ci mette alla prova, ci fa passare attraverso il male per procurarci un bene maggiore... Pazzia, pazzia…
Persone sbarcano all’aeroporto. Hanno bei visi, provati, commossi. Con la voce spezzata dicono: «Abbiamo visto la morte in faccia. Dio ha voluto che ci salvassimo», e piangono. Accanto a loro dei compagni di viaggio. Hanno perduto qualcuno. Pensano: «Dio ha forse voluto che venisse trascinato via mio figlio, mia moglie?». E piangono. Il vescovo di Como, Maggiolini, ha detto: «Occorre mantenere salda la fede, anche se in questo momento ci risulta persino difficile chiamare Dio nostro padre. Noi cristiani dobbiamo chiederci perché avviene tutto questo…».
Dovunque la vecchia domanda: dov’era Dio, perché ha permesso tutto questo? In gran parte le vittime dello tsunami erano bambini. Si ricomincia con il terremoto di Lisbona, un secolo e mezzo dopo, e Voltaire, e Rousseau, e Leopardi, fino a Norberto Bobbio. Bobbio diceva di non poter credere in Dio ancora per via del terremoto di Lisbona. Lasciate che i maremoti seppelliscano i loro maremoti. La Terra si è stiracchiata e un po’ di insetti annidati sulla sua pelliccia sono andati gambe all’aria. Tutto qui.
Ma allora noi, la nostra vita, i nostri cari, i bambini birmani? Non c’è un mistero, non c’è un destino? Certo. Destino è il tornare delle cose su se stesse: la madre morta a Stava e il figlio a Phuket… Il destino è postumo. Tutte le cose sono predestinate, ma il loro destino si rivela solo dopo il compimento. Coincide con il compimento. La fede che vacilla davanti al mucchio di vittime non vacilla forse davanti a una vittima sola, a una sola esistenza inerme gettata nel dolore e nella morte: un figlio, una sorella, un amico?

Adriano Sofri
Opinionista

 

Dov’era Dio? Chi scrive sa bene che il suo è un discorso fatto a freddo e da un di fuori assai distante dall’immane tragedia che ha colpito regioni tra le più povere della terra, seppur meta di turisti da tutto il mondo. Come uomini siamo rimasti profondamente colpiti e addolorati, come cristiano non possiamo non cercare una risposta di fede.
Qualcuno si è chiesto: e Dio dov’era? Già, dov’era Dio mentre un ciclone di mare sconvolto dal terremoto s’abbatteva sulle coste affollatissime del Sud-Est asiatico? Se Dio è Padre di tutti gli uomini, perché permette che una sua creatura, la Terra, che egli ci ha donato come luogo da “dominare” e da coltivare, si turbi a tal punto da annientare tante vite e fatiche?
Ci son repliche a questa dolente domanda? Se non ci fossero, vivremmo in balia dell’assurdo. Pensiamo che ci sia innanzitutto una risposta un po’ tra ragione e fede. Il processo di dominio (secondo il comando divino) e, quindi, di controllo del pianeta, è un processo lungo ma in continuo progresso. Le conoscenze dei movimenti del pianeta crescono e i mezzi per conoscerli in anticipo sono in buona parte in possesso dei Paesi più avanzati nella ricerca. Si tratta di renderli fruibili da tutti i popoli, o di coordinare quanto più è possibile i centri di registrazione e i mezzi di informazione.
C’è, poi, la risposta della fede non contraddetta dalla ragione, che si articola in considerazioni tra loro compatibili. La prima è che al credente non sarà svelato mai pienamente il mistero del dolore, specie quello innocente, come pure il mistero della vita e delle sue variazioni positive e negative; un’altra considerazione fa riferimento esplicito alla Rivelazione: «La natura geme nelle doglie del parto (San Paolo) e attende anch’essa il riscatto dal peccato dell’uomo e dalla morte, la sua rigenerazione finale. Ancora, se Dio è creatore e Padre di tutti gli uomini e tuttavia permette tanto terrore e morte e sofferenze come quelle registrate di recente, non si può per questo ritenerlo assente (“Dov’era?”) e indifferente (“Perché non interviene?”).
Egli ha invece ragione di metterci davanti agli occhi dell’anima suo Figlio crocifisso per dirci quanto egli ama l’umanità. Quale padre, potendolo evitare, permetterebbe che un suo figlio subisca una fine così tragica come quella dell’innocente Gesù? Dio Padre lo ha permesso, ma per la nostra redenzione definitiva dal terrore e dalla morte, frutti malefici del peccato, della ribellione a Dio stesso. Cristo ha pagato per tutti noi, ma ha anche reso il dolore, ancor più quello innocente, un dolore redentore. Egli, infatti, non ha neppure impedito la strage degli innocenti perpetrata da Erode.
Certo, ricordiamo bene il miracolo della tempesta sedata da Gesù; egli ha fatto anche camminare Pietro sulle acque e, pensiamo, per incoraggiare la fede ancora debole degli apostoli a riconoscerlo Figlio di Dio. Piegare, quindi, il capo alla volontà divina è umile e profonda saggezza («I miei pensieri non sono i vostri», leggiamo nella Sacra Scrittura; e Gesù che suda sangue nell’orto degli ulivi: «... non la mia, Padre, ma la tua volontà sia fatta») fino al Giorno supremo in cui «saranno svelati i pensieri dei cuori» e Dio stesso ci svelerà – se lo vorrà – i suoi pensieri per quell’ora quaggiù imperscrutabile.
E però sarebbe viltà piegarsi all’ineluttabilità degli eventi, mentre occorre reagire, iniziando dalla solidarietà e continuando col rifiuto di ogni violenza dell’uomo contro l’uomo, di popoli contro popoli, e nella tensione verso una concordia universale per cui tutti si sentano impegnati a sconfiggere le malattie, le sofferenze, le povertà, e a sapersi difendere, per quanto possibile, coi ritrovati della scienza e con le applicazioni tecniche, da certi inevitabili fenomeni naturali. Usare espressioni tipo “onde assassine” o “maremoto killer” è dare vacuamente alla natura madre, se pur Leopardi la diceva “matrigna”, attributi mutuati dal nostro responsabile libero arbitrio.
Eppure, la terribile onda anomala, pur nella sua negatività, può esserci d’insegnamento, ci auguriamo una volta per tutte, contro le assassine anomalie messe in atto, nella storia e nella cronaca, da creature appartenenti allo stesso genere umano. E allora la domanda iniziale potrebbe essere ribaltata? Ossia, l’uomo moderno, capace di scalare la Luna, di tentare Marte, di scrutare la profondità dell’atomo, di leggere la targa di un’auto da altezze sideree, “l’UOMO dov’era?”.
Il tempo, che scorre inesorabile, è prezioso e va impiegato non per isolarsi e sopraffare i propri simili, ma per compattarsi e alleviare le condizioni penose di milioni di esseri umani, soprattutto di innocenti bambini, i più esposti alle tragedie e i più fragili davanti alle perversioni che li insidiano e li annientano.

Don Salvatore Bello
Parroco e scrittore

E Dio dov’era il 26 dicembre? E’ l’interrogativo che molti si sono posti dinanzi alla tragedia del maremoto che ha colpito le popolazioni di Asia e Africa. Questa domanda, però, mi pare che necessariamente rimandi ad un’altra: “Chi è Dio per me?”.
Se Dio per me è “solo” il Creatore, Onnisciente, Onnipotente, che, dopo aver fatto il mondo, si disinteressa delle vicende umane, allora Lui è lì e noi siamo qui, completamente estranei l’uno all’altro. Quanto avviene quaggiù non lo riguarda affatto.
Se Dio me lo rappresento come giudice severo, pronto a punire con durezza ogni infrazione della legge morale, allora quanto accaduto costituisce la “giusta” retribuzione/punizione da parte di questo Dio, a dir poco crudele, che placa la sua sete bevendo il sangue dei peccatori. Per l’ateo, Dio non esiste. E’ un’invenzione dell’uomo, che si serve di questo concetto quando, non riuscendo a dare una spiegazione razionale a taluni perché, intraprende la scorciatoia della risposta “mitica” e/o “dogmatica”. In altre parole, l’uomo, scoprendosi incapace di dare un senso al dolore e alla morte, si fabbrica un Dio, illudendosi così di non rimanere drammaticamente solo e nudo dinanzi a questi eventi/misteri che lo attanagliano.
Per chi, però, crede in un Dio personale, che riconosce e invoca come “Padre che ama i suoi figli”, diventa difficile dare una risposta al perché e come mai questo “Dio-Padre buono” si limiti ad assistere inerte alla morte di centinaia di migliaia di persone.
Chi è Dio, allora? Per noi cattolici (ma è il caso di dire per noi cristiani) la risposta si trova in una storia che è narrata nella Bibbia. Una storia: fatti veramente accaduti che hanno segnato la vita di uomini e donne che hanno trasmesso la loro esperienza di Dio alle generazioni successive, raccontandola attraverso immagini e parole – così come furono capaci di esprimersi – per comunicare realtà che sfuggono ad una descrizione chiara e precisa.
Attraverso la Parola (di cui la Bibbia costituisce una parte rilevante) il fedele è in grado di cogliere la “verità”. Non si tratta, però, di una verità storica o filosofica o scientifica, ma salvifica.

Genesi, capitolo I: Dio crea l’uomo e il mondo in sei giorni. Al termine di ogni giorno Dio esclama: «ed era cosa buona». Anzi, alla fine del sesto, guardando l’ultima sua creazione (l’uomo), dice: «ed era cosa molto buona».
Dio crea il mondo perfettamente “buono”, pienamente armonico. Non c’è alcuna “lacerazione” fra Dio, l’uomo e il creato e ciò almeno fino a quando un primo uomo e una prima donna non rompono il rapporto amichevole che li legava a Dio (ed è quello che noi chiamiamo peccato). E’ quanto viene descritto con linguaggio simbolico in Genesi, capitolo III: Adamo, Eva, il pomo, il serpente, il peccato ovvero il desiderio della creatura (ingannata dal “grande mentitore”) di arrogarsi le prerogative del Creatore, poi il “risveglio” (l’uomo non è diventato “come Dio”, ma scopre di essere “nudo”, ovvero limitato), la delusione (e ne provò “vergogna”), l’ordine infranto, la caduta.
Il Paradiso è perduto! La ferita che provoca il “peccato” lede non solo la relazione dell’uomo con Dio, ma anche quelle dell’uomo con i suoi simili, dell’uomo con il cosmo (uomo e natura = problema ecologico) e, perfino, dell’uomo in sé (chi di noi, guardandosi dentro, non si riscopre profondamente diviso e lacerato nel proprio intimo?).
Dio, dunque, creò il mondo buono e non così come noi lo conosciamo oggi. Si deve al “peccato” del primo uomo e della prima donna, se nel mondo, assieme ad esso, irrompono il dolore, la sofferenza e la morte.
Con il “peccato” si ebbe un vero e proprio “tsunami cosmico”, che provocò “rotture”, ovvero onde lunghe, giunte fino a noi, attraverso il tempo e la storia. Da allora il mondo si è incrinato e tutto il “creato” (animato e inanimato) geme, come se fosse lacerato in se stesso, e attende di essere riscattato (Rom., 5).
Cristo, luce del mondo (come lo acclamiamo a Natale e, ancor più, nella veglia di Pasqua), è venuto per riscattarci dal giogo della morte e del peccato (San Paolo) e questo riscatto, cominciato 2000 anni fa, terminerà quando verrà per la seconda volta (parusia), quando cioè il “Principe di questo mondo”, il diavolo, sarà definitivamente sconfitto.
E’ singolare la “prossimità” fra l’attività del Principe di questo mondo e lo tsunami:

a) Diavolo (diaballo), ovvero colui che divide, che separa, che introduce, col concorso dell’uomo, la morte e il peccato. Le “onde” di quell’evento cosmico da allora hanno attraversato il tempo e la storia fino a giungere a noi. Una sorta di onde temporali;

b) Tsunami, ovvero maremoto = rottura della crosta terrestre = separazione/divisione, che provoca onde che si diffondono e si dilatano per migliaia di chilometri, seminando morte e distruzione. Onde spaziali.

Che dire ancora? Se la ragione può aiutarmi a comprendere (ma fino a che punto?) che Dio “permette” il male e che da esso trae il bene, l’“occhio della fede” mi dà la grazia di cogliere che Egli – in maniera reale, anche se misteriosa – è vicino all’uomo sofferente; in particolare, all’uomo colpito dalla sofferenza immeritata.
«Espressiva è, a tale riguardo, la risposta che un noto scrittore poneva in bocca a Cristo, al quale un povero viandante si era rivolto, dopo essere caduto nel fango: “Dove sei, o mio Dio?”, aveva gridato il pellegrino sprofondato nella melma. Ma subito egli sentì una voce misteriosa che gli rispondeva dall’alto: “Io sono con te nel fango”! Ecco, questa è la lezione della fede: Dio accompagna l’uomo in ogni istante della propria vita» (Card. Sodano).


Giuseppe Tondi

   
   
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