Poh!
– disse Giove – incolperà l’uom dunque
sempre gli dei? Quando a se stesso i mali
fabbrica, de’ suoi mali a noi dà carco,
e la stoltezza sua chiama destino.
Odissea, I, 48-51 |
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Il 17 ottobre del 1730 il Municipio di Lanzarote, nelle Isole Canarie,
inviò un documento agli Uditori della regia autorità
spagnola, informandoli che «essendo scaturito un vulcano la
notte del primo giorno del mese passato, emettendo fuoco per nove
e dieci giorni, in seguito ai quali lasciò bruciate case,
cisterne, coste, fabbriche, pagliai, arativi, e lasciò perduti
completamente i raccolti e quasi murate le case, il Cielo ci aiuti
dal dolore causato dal pianto e dal lamento di uomini, donne e bambini».
In questo paesaggio ferito, che oggi si chiama Parco nazionale di
Timanfaya, percorso spesso dal calufo, l’intenso caldo locale,
abito io, José de Sousa. Saramago, aggiunto al mio cognome
dall’impiegato dell’anagrafe, in realtà era il
soprannome della famiglia paterna, e indicava una radice che i poveri
masticavano per sfamarsi.
Desidero parlare dell’invenzione di Dio. Abbiamo inventato
Dio perché moriamo. A volte dico che fuori della testa dell’uomo
non c’è nulla. E’ così, un decapitato
non può credere in Dio, anche se può già essere
in paradiso. Il problema sta qui. Moriamo e allora ci chiediamo:
muoio, e cosa succede dopo? Alcuni di noi sanno che non succede
niente ed è finita qui. Io dico che l’essenza umana
è un intermezzo tra il niente e il niente, e dopo c’è
ancora il niente. Per noi, dal punto di vista dell’essere,
è il niente. Ma altri non la pensano così. Pensano
che ci debba essere qualcosa, che chiamiamo dio. Fuori della testa
dell’uomo non c’è il bene, non c’è
il male, non ci sono gli ideali, non c’è dio, non c’è
niente. Tutto quello che abbiamo ce lo portiamo nella testa.
Tutte le guerre sono assurde, ma le guerre di religione sono più
assurde di tutte, perché si fanno in nome di non si sa cosa.
La capacità di autoinganno dell’essere umano non ha
limiti. Inventa qualche cosa e si convince che quello che ha inventato
è una verità definitiva. Tutto succede dentro di lui,
non c’è niente fuori. Che idea è mai questa,
che un dio potentissimo e imponente sarebbe andato a creare esseri
a sua immagine e somiglianza per metterli in una piccolissima galassia,
in un sistema solare insignificante, in un pianeta minuscolo con
tutto l’universo intorno? Ha creato tutto l’universo
per questo?

José Saramago
Premio Nobel per la Letteratura
L’arca di Noè, il diluvio. Dopo quella volta, Dio
lasciò gli umani liberi di combinare i loro guai. Dopo quella
volta, i disastri non furono più castigati da Dio. In un
certo senso, dopo di allora anche Dio ne fu castigato. Lo si chiama
in causa: ci mette alla prova, ci fa passare attraverso il male
per procurarci un bene maggiore... Pazzia, pazzia…
Persone sbarcano all’aeroporto. Hanno bei visi, provati, commossi.
Con la voce spezzata dicono: «Abbiamo visto la morte in faccia.
Dio ha voluto che ci salvassimo», e piangono. Accanto a loro
dei compagni di viaggio. Hanno perduto qualcuno. Pensano: «Dio
ha forse voluto che venisse trascinato via mio figlio, mia moglie?».
E piangono. Il vescovo di Como, Maggiolini, ha detto: «Occorre
mantenere salda la fede, anche se in questo momento ci risulta persino
difficile chiamare Dio nostro padre. Noi cristiani dobbiamo chiederci
perché avviene tutto questo…».
Dovunque la vecchia domanda: dov’era Dio, perché ha
permesso tutto questo? In gran parte le vittime dello tsunami erano
bambini. Si ricomincia con il terremoto di Lisbona, un secolo e
mezzo dopo, e Voltaire, e Rousseau, e Leopardi, fino a Norberto
Bobbio. Bobbio diceva di non poter credere in Dio ancora per via
del terremoto di Lisbona. Lasciate che i maremoti seppelliscano
i loro maremoti. La Terra si è stiracchiata e un po’
di insetti annidati sulla sua pelliccia sono andati gambe all’aria.
Tutto qui.
Ma allora noi, la nostra vita, i nostri cari, i bambini birmani?
Non c’è un mistero, non c’è un destino?
Certo. Destino è il tornare delle cose su se stesse: la madre
morta a Stava e il figlio a Phuket… Il destino è postumo.
Tutte le cose sono predestinate, ma il loro destino si rivela solo
dopo il compimento. Coincide con il compimento. La fede che vacilla
davanti al mucchio di vittime non vacilla forse davanti a una vittima
sola, a una sola esistenza inerme gettata nel dolore e nella morte:
un figlio, una sorella, un amico?
Adriano Sofri
Opinionista

Dov’era Dio? Chi scrive sa bene che il suo è un discorso
fatto a freddo e da un di fuori assai distante dall’immane
tragedia che ha colpito regioni tra le più povere della terra,
seppur meta di turisti da tutto il mondo. Come uomini siamo rimasti
profondamente colpiti e addolorati, come cristiano non possiamo
non cercare una risposta di fede.
Qualcuno si è chiesto: e Dio dov’era? Già, dov’era
Dio mentre un ciclone di mare sconvolto dal terremoto s’abbatteva
sulle coste affollatissime del Sud-Est asiatico? Se Dio è
Padre di tutti gli uomini, perché permette che una sua creatura,
la Terra, che egli ci ha donato come luogo da “dominare”
e da coltivare, si turbi a tal punto da annientare tante
vite e fatiche?
Ci son repliche a questa dolente domanda? Se non ci fossero, vivremmo
in balia dell’assurdo. Pensiamo che ci sia innanzitutto una
risposta un po’ tra ragione e fede. Il processo di dominio
(secondo il comando divino) e, quindi, di controllo del pianeta,
è un processo lungo ma in continuo progresso. Le conoscenze
dei movimenti del pianeta crescono e i mezzi per conoscerli in anticipo
sono in buona parte in possesso dei Paesi più avanzati nella
ricerca. Si tratta di renderli fruibili da tutti i popoli, o di
coordinare quanto più è possibile i centri di registrazione
e i mezzi di informazione.
C’è, poi, la risposta della fede non contraddetta dalla
ragione, che si articola in considerazioni tra loro compatibili.
La prima è che al credente non sarà svelato mai pienamente
il mistero del dolore, specie quello innocente, come pure il mistero
della vita e delle sue variazioni positive e negative; un’altra
considerazione fa riferimento esplicito alla Rivelazione: «La
natura geme nelle doglie del parto (San Paolo) e attende anch’essa
il riscatto dal peccato dell’uomo e dalla morte, la sua rigenerazione
finale. Ancora, se Dio è creatore e Padre di tutti gli uomini
e tuttavia permette tanto terrore e morte e sofferenze come quelle
registrate di recente, non si può per questo ritenerlo assente
(“Dov’era?”) e indifferente (“Perché
non interviene?”).
Egli ha invece ragione di metterci davanti agli occhi dell’anima
suo Figlio crocifisso per dirci quanto egli ama l’umanità.
Quale padre, potendolo evitare, permetterebbe che un suo figlio
subisca una fine così tragica come quella dell’innocente
Gesù? Dio Padre lo ha permesso, ma per la nostra redenzione
definitiva dal terrore e dalla morte, frutti malefici del peccato,
della ribellione a Dio stesso. Cristo ha pagato per tutti noi, ma
ha anche reso il dolore, ancor più quello innocente, un dolore
redentore. Egli, infatti, non ha neppure impedito la strage
degli innocenti perpetrata da Erode.
Certo, ricordiamo bene il miracolo della tempesta sedata da Gesù;
egli ha fatto anche camminare Pietro sulle acque e, pensiamo, per
incoraggiare la fede ancora debole degli apostoli a riconoscerlo
Figlio di Dio. Piegare, quindi, il capo alla volontà divina
è umile e profonda saggezza («I miei pensieri non sono
i vostri», leggiamo nella Sacra Scrittura; e Gesù che
suda sangue nell’orto degli ulivi: «... non la mia,
Padre, ma la tua volontà sia fatta») fino al Giorno
supremo in cui «saranno svelati i pensieri dei cuori»
e Dio stesso ci svelerà – se lo vorrà –
i suoi pensieri per quell’ora quaggiù imperscrutabile.
E però sarebbe viltà piegarsi all’ineluttabilità
degli eventi, mentre occorre reagire, iniziando dalla solidarietà
e continuando col rifiuto di ogni violenza dell’uomo contro
l’uomo, di popoli contro popoli, e nella tensione verso una
concordia universale per cui tutti si sentano impegnati a sconfiggere
le malattie, le sofferenze, le povertà, e a sapersi difendere,
per quanto possibile, coi ritrovati della scienza e con le applicazioni
tecniche, da certi inevitabili fenomeni naturali. Usare espressioni
tipo “onde assassine” o “maremoto killer”
è dare vacuamente alla natura madre, se pur Leopardi la diceva
“matrigna”, attributi mutuati dal nostro responsabile
libero arbitrio.
Eppure, la terribile onda anomala, pur nella sua negatività,
può esserci d’insegnamento, ci auguriamo una volta
per tutte, contro le assassine anomalie messe in atto, nella storia
e nella cronaca, da creature appartenenti allo stesso genere umano.
E allora la domanda iniziale potrebbe essere ribaltata? Ossia, l’uomo
moderno, capace di scalare la Luna, di tentare Marte, di scrutare
la profondità dell’atomo, di leggere la targa di un’auto
da altezze sideree, “l’UOMO dov’era?”.
Il tempo, che scorre inesorabile, è prezioso e va impiegato
non per isolarsi e sopraffare i propri simili, ma per compattarsi
e alleviare le condizioni penose di milioni di esseri umani, soprattutto
di innocenti bambini, i più esposti alle tragedie e i più
fragili davanti alle perversioni che li insidiano e li annientano.
Don Salvatore Bello
Parroco e scrittore
E Dio dov’era il 26 dicembre? E’ l’interrogativo
che molti si sono posti dinanzi alla tragedia del maremoto che ha
colpito le popolazioni di Asia e Africa. Questa domanda, però,
mi pare che necessariamente rimandi ad un’altra: “Chi
è Dio per me?”.
Se Dio per me è “solo” il Creatore, Onnisciente,
Onnipotente, che, dopo aver fatto il mondo, si disinteressa delle
vicende umane, allora Lui è lì e noi siamo qui, completamente
estranei l’uno all’altro. Quanto avviene quaggiù
non lo riguarda affatto.
Se Dio me lo rappresento come giudice severo, pronto a punire con
durezza ogni infrazione della legge morale, allora quanto accaduto
costituisce la “giusta” retribuzione/punizione da parte
di questo Dio, a dir poco crudele, che placa la sua sete bevendo
il sangue dei peccatori. Per l’ateo, Dio non esiste. E’
un’invenzione dell’uomo, che si serve di questo concetto
quando, non riuscendo a dare una spiegazione razionale a taluni
perché, intraprende la scorciatoia della risposta “mitica”
e/o “dogmatica”. In altre parole, l’uomo, scoprendosi
incapace di dare un senso al dolore e alla morte, si fabbrica un
Dio, illudendosi così di non rimanere drammaticamente solo
e nudo dinanzi a questi eventi/misteri che lo attanagliano.
Per chi, però, crede in un Dio personale, che riconosce e
invoca come “Padre che ama i suoi figli”, diventa difficile
dare una risposta al perché e come mai questo “Dio-Padre
buono” si limiti ad assistere inerte alla morte di centinaia
di migliaia di persone.
Chi è Dio, allora? Per noi cattolici (ma è il caso
di dire per noi cristiani) la risposta si trova in una storia che
è narrata nella Bibbia. Una storia: fatti veramente accaduti
che hanno segnato la vita di uomini e donne che hanno trasmesso
la loro esperienza di Dio alle generazioni successive, raccontandola
attraverso immagini e parole – così come furono capaci
di esprimersi – per comunicare realtà che sfuggono
ad una descrizione chiara e precisa.
Attraverso la Parola (di cui la Bibbia costituisce una parte rilevante)
il fedele è in grado di cogliere la “verità”.
Non si tratta, però, di una verità storica o filosofica
o scientifica, ma salvifica.
Genesi, capitolo I: Dio crea l’uomo e il mondo in
sei giorni. Al termine di ogni giorno Dio esclama: «ed era
cosa buona». Anzi, alla fine del sesto, guardando l’ultima
sua creazione (l’uomo), dice: «ed era cosa molto buona».
Dio crea il mondo perfettamente “buono”, pienamente
armonico. Non c’è alcuna “lacerazione”
fra Dio, l’uomo e il creato e ciò almeno fino a quando
un primo uomo e una prima donna non rompono il rapporto amichevole
che li legava a Dio (ed è quello che noi chiamiamo peccato).
E’ quanto viene descritto con linguaggio simbolico in Genesi,
capitolo III: Adamo, Eva, il pomo, il serpente, il peccato ovvero
il desiderio della creatura (ingannata dal “grande mentitore”)
di arrogarsi le prerogative del Creatore, poi il “risveglio”
(l’uomo non è diventato “come Dio”, ma
scopre di essere “nudo”, ovvero limitato), la delusione
(e ne provò “vergogna”), l’ordine infranto,
la caduta.
Il Paradiso è perduto! La ferita che provoca il “peccato”
lede non solo la relazione dell’uomo con Dio, ma anche quelle
dell’uomo con i suoi simili, dell’uomo con il cosmo
(uomo e natura = problema ecologico) e, perfino, dell’uomo
in sé (chi di noi, guardandosi dentro, non si riscopre profondamente
diviso e lacerato nel proprio intimo?).
Dio, dunque, creò il mondo buono e non così come noi
lo conosciamo oggi. Si deve al “peccato” del primo uomo
e della prima donna, se nel mondo, assieme ad esso, irrompono il
dolore, la sofferenza e la morte.
Con il “peccato” si ebbe un vero e proprio “tsunami
cosmico”, che provocò “rotture”, ovvero
onde lunghe, giunte fino a noi, attraverso il tempo e la storia.
Da allora il mondo si è incrinato e tutto il “creato”
(animato e inanimato) geme, come se fosse lacerato in se stesso,
e attende di essere riscattato (Rom., 5).
Cristo, luce del mondo (come lo acclamiamo a Natale e, ancor più,
nella veglia di Pasqua), è venuto per riscattarci dal giogo
della morte e del peccato (San Paolo) e questo riscatto, cominciato
2000 anni fa, terminerà quando verrà per la seconda
volta (parusia), quando cioè il “Principe
di questo mondo”, il diavolo, sarà definitivamente
sconfitto.
E’ singolare la “prossimità” fra l’attività
del Principe di questo mondo e lo tsunami:
a) Diavolo (diaballo), ovvero colui che divide, che separa,
che introduce, col concorso dell’uomo, la morte e il peccato.
Le “onde” di quell’evento cosmico da allora hanno
attraversato il tempo e la storia fino a giungere a noi. Una sorta
di onde temporali;
b) Tsunami, ovvero maremoto = rottura della crosta terrestre = separazione/divisione,
che provoca onde che si diffondono e si dilatano per migliaia di
chilometri, seminando morte e distruzione. Onde spaziali.
Che dire ancora? Se la ragione può aiutarmi a comprendere
(ma fino a che punto?) che Dio “permette” il male e
che da esso trae il bene, l’“occhio della fede”
mi dà la grazia di cogliere che Egli – in maniera reale,
anche se misteriosa – è vicino all’uomo sofferente;
in particolare, all’uomo colpito dalla sofferenza immeritata.
«Espressiva è, a tale riguardo, la risposta che un
noto scrittore poneva in bocca a Cristo, al quale un povero viandante
si era rivolto, dopo essere caduto nel fango: “Dove sei, o
mio Dio?”, aveva gridato il pellegrino sprofondato nella melma.
Ma subito egli sentì una voce misteriosa che gli rispondeva
dall’alto: “Io sono con te nel fango”! Ecco, questa
è la lezione della fede: Dio accompagna l’uomo in ogni
istante della propria vita» (Card. Sodano).
Giuseppe Tondi
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