Per poco non sono sceso in strada col popolo, sul quale la guardia
somoziana ha sparato a
bruciapelo.
Le versioni dei
fatti sulla stampa
fascista italiana sono esattamente contrarie alla
verità.
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Dopo la corrispondenza
di Mario Luzi, il grande poeta fiorentino scomparso lo scorso mese
di febbraio, è la volta delle lettere scritte da Oreste Macrì.
Si tratta di missive indirizzate a D’Andrea in un arco di
tempo relativamente breve. La prima risale al 1963, l’ultima
al 1981. Poi il rapporto epistolare si interrompe bruscamente.
Comunque, preziosi i giudizi espressi dal critico, anche perché,
tra l’altro, individuano con precisione il filone, cioè
la linea italiana cui appartiene la poesia di D’Andrea; e
in quel contesto è inquadrata e valutata, col linguaggio
franco del saggista.
Dobbiamo la pubblicazione di queste lettere (messe a disposizione
dalla signora D’Andrea) alla cortesia della professoressa
Albarosa Tronci Macrì, nipote del critico ermetico, e sensibile
curatrice dell’opera e della memoria del grande ispanista.
Otranto, 14 settembre 1963
Caro D’Andrea, prima di leggere il Suo elenco ho voluto scegliere
per mio conto.
Una perfetta coincidenza nei numeri: (21), (5) e (11), (12), (9),
(10), (15), (16), (19), (23) e (29). Nella 9 non mi piace l’aggettivo
“conventuale”.
In più io avevo scelto: (Zio Agostino), (Fuori porta), (Le
sere invernali), (La vigna bassa e la luna), (Mi porti lungo), (Padre
Silverio), (Signora la mia carne), (Povero vento francescano), (Se
mai mi leggerai), (L’amore / il suo spavaldo...), (Perderò
le immagini), (Morirò e la cosa è così certa),
(T’ho scritto), (Sto aspettando il fuoco).
Visto il suo elenco e avendo riletto meglio, coinciderei con Lei
su queste altre poesie: (5), (7), (20), (25) e (28).
Sarei in dubbio sulla 16. La 17 è notevole, ma l’ultimo
verso è di maniera e generico. Anche la 18 andrebbe forse,
eccetto l’aggettivo “conventuale” e l’ultimo
verso col vocabolo “medioevo”. Nella 21 ci sono le “sconfitte
giornaliere” troppo cardarelliane. Escluderei le altre, senz’altro.
Nella raccolta che mi ha dato non ho trovato il n. (27), (I poeti
del Sud). Sarebbero in totale 30, più le dubbie, oltre alla
27 che non ho visto. Lei, naturalmente, tenga nel conto che crede
il gusto della mia scelta e la non coincidenza assoluta in 9 liriche.
Comprendo bene il Suo desiderio di adire Betocchi e Vallecchi. Si
presenti a Betocchi a mio nome (il numero di telefono lo troverà
sulla guida); gli mando subito un biglietto di presentazione; definita
la raccolta, gliela può mostrare; staremo a vedere l’esito.
Io non so quando arriverò a Firenze; non sto ancora bene
e dovrò andare piano con la 600. Forse il 24. Mi telefoni;
se ci sarò, ci vedremo.
Un mio giudizio complessivo sulle Sue poesie. Non mancano qualità
di fondo e un grande viscerale amore della poesia, ma i componimenti
sono strutturalmente fragili, echeggiati di letteratura assunta
come materia prima di poesia (da Ungaretti a Cardarelli, da Quasimodo
a Bodini, oltre a Sinisgalli, ecc....). Occorrerebbe una rigenerazione
intima per una coincidenza precisa tra simboli universali e biografia
singolarissima della Sua anima. Il manierismo francescano,
rurale, crepuscolare è piuttosto indecifrabile nella sua
gracilità tra autenticità e maniera.
Le ho detto sinceramente quello che penso, oralmente e per iscritto;
la Sua intelligenza e la Sua sensibilità meritano ogni sincerità
(nei miei limiti di lettore, ovviamente).
Coi più cordiali saluti e auguri.
La prego di cancellare la dedica a me nella poesia n. 10; non se
l’abbia a male; quando ho fatto in tempo, ho sempre rifiutato
dediche di poesie anche da parte di vecchi amici come Girolamo Comi.
E si abbia tutto il mio animo grato per il Suo gentile pensiero.
Domani sera sarò a Maglie (Lecce).
Anzi, meglio, Le allego una lettera per Betocchi.

22 ottobre ‘63
Caro D'Andrea, delle sei poesie mi sembrano notevoli Come un
gallo, Di primavera, Fuori stagione, Preghiera e l’autunno.
Potrebbe aggiungerle alla raccolta.
Betocchi mi dice che sta per scriverle.
Studi e lavori. Sia paziente. Non viva negli attimi, ma nell’eterno.
Molto cordialmente.
7 novembre 1963
Caro D’Andrea, dell’ultimo mannello di liriche mi sono
piaciute specialmente Sempre un atto d’amore, Bisogna che
consoli, Un senso di morte. In genere, rilevo ancora certa sensuosità
inerziale ed effusa, certo abbandono elegiaco e crepuscolare, che
sono la grazia e il limite del Suo poetare. E’ bene che Lei
si ponga innanzi la Sua materia e se la studi con assoluto rigore.
Le sono grato della lettura del mio Fray Luis de Leon; spero che
in dicembre esca la nuova edizione.
Stia attento all’amicizia che desidera da me; io ne sono lieto
e onorato, ma appartengo a un’altra generazione, ho esaurito
molti miti, contemplo, misuro, come posso. Lei ha bisogno dei suoi
coetanei (in senso non temporale, naturalmente), ha bisogno anzi
di combatterci, altrimenti rischia l’epigonismo, di più
anche nella Sua poesia alcunché di sentimentale e di disarmato,
e mi richiamo all’appunto di prima. Se fossi un vecchio bacucco,
mi compiacerei, ma ho troppo vissuto nella milizia e sulla breccia,
ho visto trascorrere varie generazioni, e mi son fatto astuto per
giovare ai più giovani di me.
(Cerchi a Lecce Donato Valli; Pagano, De Rosa; pare che il Critone
riprenda).
Coi più cordiali saluti.
21 dic. ‘63
Caro D’Andrea, grazie della poesia In tutto il poco.
C’è qualche buon verso, ma in complesso soffre di certa
inerzia e maniera di arresa dolcezza: questo campo semantico è
periglioso per Lei, gliel’ho detto.
Non ho poteri presso case editrici, diretti; posso consigliare,
ma dette case hanno i propri consulenti che fanno tutto.
Non sono riuscito a nulla per Fallacara che è morto senza
vedere unita la sua opera alla luce delle stampe. La situazione
è orrenda. Oppure la fossa comune dei Rebellato, Guanda,
ecc.
Cordialmente Le ricambio gli auguri, e sia sincero, lavori (è
quel che conta). Suo Macrì.
3 maggio 1964
Caro D’Andrea, decisi all’improvviso di partire per
Lecce a sentire il mio vecchio amico Marti per le sue nozze con
la cattedra. Pensai di vederla.
Ho parlato di Lei con Pagano, al quale Lei si può affidare
con ogni fiducia. Circa la dedica, Le ripeto la mia umiltà
dinanzi a tutti i poeti, facendo io la professione del critico puro.
Già a Comi – s’immagini – ebbi a rifiutare
l’offerta di un intero libro. Infine, non mi formalizzo, e
mi dedichi pure la poesia, se è questo il Suo ultimo desiderio.
Grazie.
Per i poeti spagnoli guardi la bibliografia del mio libro guandiano
Poesia spagnola del Novecento, II edizione. Si può
aggiornare attraverso la rivista Insula, Calle de Carmen
9, Madrid (13).
Indirizzo di Rosales (è accademico della Española):
Ex.mo D. Luis Rosales, Altamirano 37, Madrid.
Le ultime poesie che mi ha mandato sono graziose, ma sostanzialmente
non aggiungono molto alle precedenti. C’è qualche rischio
di manierismo neocrepuscolare. Occorre che Lei guardi soprattutto
alla linea novecentesca italiana alla quale si riporta la Sua poesia:
Gozzano, Corazzini, Saba, Palazzeschi, Penna, Bertolucci, ma penso
che qualche dubbio di Betocchi (il quale peraltro non sta bene davvero)
concerna certa stasi edonistica del Suo fare poetico. Sono cose
che io già Le ho detto, poiché Lei merita ogni sincerità.
Coi più cordiali saluti e auguri.
(La prego di non mandarmi espressi, che mi arrivano più tardi,
se nessuno è in casa).
10 gennaio 1965
Caro D’Andrea, vivamente La ringrazio del dono del volumetto
di poesia; sto rileggendo le Sue liriche con piacere e mi compiaccio
che siano state raccolte; si contemplerà oggettivato nella
stampa che è crudele come una luce, e necessaria per proseguire,
quando un certo cammino è stato compiuto con passione e sincerità,
come ha fatto Lei.
Molto cordialmente.
28-2-65
Caro D’Andrea, La ringrazio vivamente dell’attenzione
cortese e generosa con cui Lei riguarda il mio lavoro ispanistico
e della fiducia che ripone in me.
Vedrò Betocchi domani e raccomanderò il Suo libretto
di poesie; Betocchi è più vicino di me a Pampaloni
in questo settore.
Auguri e cordiali saluti.
(La prego di non mandarmi lettere affrancate con Espresso; mi arrivano
più tardi, e, se non sono in casa, sono costretto a recarmi
al centro per rilevarle; l’Espresso è meramente psicologico
e, nel mio caso, non è necessario).
Maglie 15 sett. 65
Caro D’Andrea, l’aspetto lunedì 20 c. alle 18
ca. in casa di mio fratello Giuseppe in Via D. Rosa Garzia 16. La
rivedrò con piacere. Cordiali saluti.
22 maggio 1966
Caro D’Andrea, di cuore La ringrazio del volumetto di liriche
che ho riletto e gustato, spesso nella tecnica più avvertita,
più concentrata. Le auguro buon lavoro e buone letture.
Firenze, 17 ott. ‘66
Caro D’Andrea, mi è dispiaciuto di non averla vista
a Otranto. Spero che ci incontreremo a Pasqua. Grazie della poesia;
mi sembra un po’ debole di rilkismo-pascolismo, pur sempre
col suo segno di autentica intimità.
Grazie del ricordo del Caffè Fiorentino, scritto con garbo
e penna lieve.
Buon lavoro e cordiali saluti.
Firenze, 17 nov. ‘66
Caro D’Andrea, di cuore La ringrazio del suo pensiero fraterno.
Siamo tutti scampati all’orribile flagello, ma l’angoscia
è feroce per tanti lutti e disastri. Cordialmente, Suo.
Firenze, 27-1-67
Caro D’Andrea, torno dal Nicaragua dove ho fatto in tempo
ad assistere a una piccola rivoluzione di quel bellissimo e disprezzatissimo
paese dominato da quattro famiglie. Per poco non sono sceso in strada
col popolo, sul quale la guardia somoziana ha sparato a bruciapelo.
Le versioni dei fatti sulla stampa fascista italiana sono esattamente
contrarie alla verità.
Grazie della Sua lettera e della poesia. Mi rallegro per le Sue
sempre più ampie e intense letture. Ma decanti quel che legge
prima di accingersi a poetare. Cordialmente.
La prego di eliminare quel “Maestro”; sono ancora un
critico militante e non un vecchio bacucco.
Firenze, 24 aprile 1967
Caro D’Andrea, non pensi che l’abbia dimenticato; gli
è che i momenti di “ozio santo”, come diceva
Machado, si fanno sempre più rari in questo sperpero d’ore
e non sono uso a scrivere convenzionalmente a chi mi aspetta dal
pudore della sua intimità rivelata. (D’altra parte,
speravo di scendere costì per Pasqua, ma non è stato
possibile).
Voglio dirle semplicemente che ho riletto con gusto letterario e
vitale insieme il Suo Spazio domestico; che ormai mi aggiro
e indugio familiarmente in esso come luogo della mia infanzia
e del futuro eterno con cui ci accingiamo a partire. La chiesa,
la sorella, la madre, il barone, gli antenati, Donatella, la lumaca,
il carro, ecc., tutto è inciso gentilmente in un legno antico
in aria fresca e arida d’una tristezza di radice non crepuscolare.
Molto belle le poesie a Comi, quelle che ha voluto dedicarmi, Foglia
a foglia, Autunnale. Qui è estrema concentrazione,
diretta trasposizione di sé nella figura larica e paesistica.
Tenga presente per l’avvenire Non ho che questo cuore, sia
fedele a se stesso, ma cerchi altro varco ed altro spazio. Già
qua e là si nota qualche rischio di estasi che è stasi,
qualche tristezza intristita nella sua inane reiterazione. Appena,
dico. Oltre sanità e peccato c’è altro, uno
scandaglio più interno.
Ma lasciamo il futuro sulle ginocchia di Giove e rallegriamoci
insieme d’una letizia che è ormai di tutti, come è
proprio della poesia operata con onestà e impegno umano.
Cordialmente.

Firenze, 19 marzo 1968
Caro D’Andrea, il poemetto La porta delle pecore è
costruito con perizia e giustezza di parole e scene, nulla da dire
sulla sua coerenza interna. Quel che mi preoccupa è la materia
ambigua e lasciva, in senso appunto materico, impropriamente
morale. Mi sembra un momento di crisi proprio nel demone costruttivo;
un po’ di dissacrazione neoliberty; dal neocrepuscolarismo
sembra che Lei sia passato a un neodannunzianesimo. Comunque i primi
4 versi del n. VIII sono, appunto, astuti e piuttosto belli, altri
passi hanno qualche bellezza bassa e sinistra.
Si vigili molto e si scateni con misura. Cordialmente, Suo grato.
Firenze, 4 febbraio 1971
Caro D’Andrea, sono d’accordo su tutto che mi propone,
ma non potrebbe aspettare fino a Pasqua? Mi piacerebbe concordare
con Donato formato, caratteri, titolo esatto della collana. Comunque,
se ha fretta, sono disposto ad accontentarla. Mi stupisce e mi incanta
(di questi tempi) la freschezza di questi suoi desideri di poeta.
Cordialmente.
Firenze, 4 febbraio 1972
sto studiando il suo libro per un saggio sull’Albero,
saggio non recensione. I miei umori – non credo sconsiderati
– li pago sempre di persona con chi vale. Con chi non vale
non ho umori, non sento niente. Mi irritò il minimo
di certo suo spirito faccendiere non degno delle sue qualità
maggiori: ecco tutto.
Ma ora non se ne parli più. Nel sacro della poesia ogni umore
e miseria deve cessare. E lei riprenda tranquillamente il suo lavoro,
non si arrovelli e cerchi meglio il passaggio segreto (ci deve essere)
per sfuggire alla sua matrice domestica; sfuggire per ritornarvi
più persona, più io, se la poesia serve a costruire
la propria persona e a suggerire una probabile salvezza.
Praticamente, lasciamo pure il suo libretto come sta con la speranza
che Milella lo faccia uscire in II edizione. So che ha chiesto a
Luzi di interessarsi per un altro editore; ne sarei lieto se servisse
a lanciare meglio il libro. L’Albero ha mera funzione
di indicare poeti “poveri”. Decida lei come le
pare più opportuno. L’augurio e il cordiale saluto
del suo amico.
L’autorizzo a consigliare a Valli di mettere la pubblicità
del suo libro nel prossimo numero dell’Albero, insieme
con l’annunzio di quello di Tentori.
Firenze, 5 luglio 1965
Caro D’Andrea, grazie per la Sua lettera e per l’amicizia
che mi dimostra. Sarò a settembre a Otranto e avremo modo
di conversare a lungo su tanti temi così vivi. In estate
a Firenze è difficile trovare gli amici. Io sto per partire
per Montecatini.
Molto cordialmente.
30 ag. ‘65
Caro D’Andrea,
grazie della poesia, che leggerò con piacere, e delle lettere
di così intima confidenza (non so se me le merito, vecchio
bisbetico e smobilitato della critica militante). Conto di essere
a Otranto tra una settimana. Si accerti della mia venuta presso
mio fratello Giuseppe Macrì a Maglie; il numero di telefono
è nell’elenco. Discorreremo con agio.
Arrivederci e cordialità.
Otranto, p. Vetruccio, Riviera degli Elei, 83
25 settembre 1972
Caro D’Andrea,
La ringrazio della Sua lettera, la prima veramente sensata e acuta
di sé e della poesia, pur ancora con qualche sbavatura narcisistica,
di che non mi stupisco, anzi l’approvo, dovendo essere l’artista
un sanguinario e un monastico. Scherzo; venga a trovarmi in sull’imbrunire.
Lasci le poesie per ora e ci dia subito il Lisi! Con la trascrizione
del nastro.
Cordialmente.
Firenze, 28 novembre 1972
Caro D’Andrea,
grazie della lettera, del suo periplo nuovo di vita e di letture;
sento in lei alcunché di nuovo, non saprei dire, per quanto
permane qualche residuo del suo io radicale.
Nell’isolare il mio carteggio con Bodini scorrevo il mio epistolario
con gli amici della mia generazione; passavano centinaia di lettere
senza minimo accenno a questo io; si parlava di tutto e di altro,
anche di noi stessi, ma mai molto di rado di quest’io tenace
caldo-umido assorbente. Ma lei pensi a se stesso, vada per la sua
via.
Sul progetto della nuova edizione di Ozi e negozi dissento
dal cambiare il titolo della raccolta, se lei abbia solo a integrarla
con testi affini. Se crede, può premettere il mio studio
sull’ “Albero”. La mia è una proposta del
tutto adiafora, in parole povere indifferente totalmente da parte
mia; decida lei liberamente.
Più mi rallegrano le recensioni e il saggio su Lisi.
Se resterò a Firenze a Natale? non lo so; non so mai nulla
del mio presente, immaginiamoci del futuro. Sono sempre stupito
quando un mio simile crede di esistere, progetta, sa che cosa farà
due minuti dopo. Vi sono perfino poeti che pensano a stampare, ad
avere premi. Certo! anche Bodini rimbaudiano-salentino pensava a
se stesso; ha lasciato le carte in ordine. Poi mi sono accorto che
tutto era ironico, se non tragico, come un mostruoso alibi rispetto
a una dimora diversa, quella del sacro Caos, delle Origini del mondo...
Ma non badi a quello che le sto dicendo. Talora mi assale umore
rilkiano dell’identità poeta-eroe-santo, e invece il
poeta è poeta, un uomo fragile e consumato, cioè il
più uomo degli uomini.
Cordialmente.
(1- continua)
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