Marzo 2005

Lettere di Oreste Macrì

Indietro
Caro D'Andrea
a.b.  
 
 

















Per poco non sono sceso in strada col popolo, sul quale la guardia somoziana ha sparato a
bruciapelo.
Le versioni dei
fatti sulla stampa
fascista italiana sono esattamente contrarie alla
verità.

 

Dopo la corrispondenza di Mario Luzi, il grande poeta fiorentino scomparso lo scorso mese di febbraio, è la volta delle lettere scritte da Oreste Macrì. Si tratta di missive indirizzate a D’Andrea in un arco di tempo relativamente breve. La prima risale al 1963, l’ultima al 1981. Poi il rapporto epistolare si interrompe bruscamente.
Comunque, preziosi i giudizi espressi dal critico, anche perché, tra l’altro, individuano con precisione il filone, cioè la linea italiana cui appartiene la poesia di D’Andrea; e in quel contesto è inquadrata e valutata, col linguaggio franco del saggista.
Dobbiamo la pubblicazione di queste lettere (messe a disposizione dalla signora D’Andrea) alla cortesia della professoressa Albarosa Tronci Macrì, nipote del critico ermetico, e sensibile curatrice dell’opera e della memoria del grande ispanista.


Otranto, 14 settembre 1963


Caro D’Andrea, prima di leggere il Suo elenco ho voluto scegliere per mio conto.
Una perfetta coincidenza nei numeri: (21), (5) e (11), (12), (9), (10), (15), (16), (19), (23) e (29). Nella 9 non mi piace l’aggettivo “conventuale”.
In più io avevo scelto: (Zio Agostino), (Fuori porta), (Le sere invernali), (La vigna bassa e la luna), (Mi porti lungo), (Padre Silverio), (Signora la mia carne), (Povero vento francescano), (Se mai mi leggerai), (L’amore / il suo spavaldo...), (Perderò le immagini), (Morirò e la cosa è così certa), (T’ho scritto), (Sto aspettando il fuoco).
Visto il suo elenco e avendo riletto meglio, coinciderei con Lei su queste altre poesie: (5), (7), (20), (25) e (28).
Sarei in dubbio sulla 16. La 17 è notevole, ma l’ultimo verso è di maniera e generico. Anche la 18 andrebbe forse, eccetto l’aggettivo “conventuale” e l’ultimo verso col vocabolo “medioevo”. Nella 21 ci sono le “sconfitte giornaliere” troppo cardarelliane. Escluderei le altre, senz’altro. Nella raccolta che mi ha dato non ho trovato il n. (27), (I poeti del Sud). Sarebbero in totale 30, più le dubbie, oltre alla 27 che non ho visto. Lei, naturalmente, tenga nel conto che crede il gusto della mia scelta e la non coincidenza assoluta in 9 liriche.
Comprendo bene il Suo desiderio di adire Betocchi e Vallecchi. Si presenti a Betocchi a mio nome (il numero di telefono lo troverà sulla guida); gli mando subito un biglietto di presentazione; definita la raccolta, gliela può mostrare; staremo a vedere l’esito. Io non so quando arriverò a Firenze; non sto ancora bene e dovrò andare piano con la 600. Forse il 24. Mi telefoni; se ci sarò, ci vedremo.
Un mio giudizio complessivo sulle Sue poesie. Non mancano qualità di fondo e un grande viscerale amore della poesia, ma i componimenti sono strutturalmente fragili, echeggiati di letteratura assunta come materia prima di poesia (da Ungaretti a Cardarelli, da Quasimodo a Bodini, oltre a Sinisgalli, ecc....). Occorrerebbe una rigenerazione intima per una coincidenza precisa tra simboli universali e biografia singolarissima della Sua anima. Il manierismo francescano, rurale, crepuscolare è piuttosto indecifrabile nella sua gracilità tra autenticità e maniera.
Le ho detto sinceramente quello che penso, oralmente e per iscritto; la Sua intelligenza e la Sua sensibilità meritano ogni sincerità (nei miei limiti di lettore, ovviamente).
Coi più cordiali saluti e auguri.

La prego di cancellare la dedica a me nella poesia n. 10; non se l’abbia a male; quando ho fatto in tempo, ho sempre rifiutato dediche di poesie anche da parte di vecchi amici come Girolamo Comi. E si abbia tutto il mio animo grato per il Suo gentile pensiero. Domani sera sarò a Maglie (Lecce).
Anzi, meglio, Le allego una lettera per Betocchi.

 


22 ottobre ‘63

Caro D'Andrea, delle sei poesie mi sembrano notevoli Come un gallo, Di primavera, Fuori stagione, Preghiera e l’autunno. Potrebbe aggiungerle alla raccolta.
Betocchi mi dice che sta per scriverle.
Studi e lavori. Sia paziente. Non viva negli attimi, ma nell’eterno. Molto cordialmente.


7 novembre 1963

Caro D’Andrea, dell’ultimo mannello di liriche mi sono piaciute specialmente Sempre un atto d’amore, Bisogna che consoli, Un senso di morte. In genere, rilevo ancora certa sensuosità inerziale ed effusa, certo abbandono elegiaco e crepuscolare, che sono la grazia e il limite del Suo poetare. E’ bene che Lei si ponga innanzi la Sua materia e se la studi con assoluto rigore.
Le sono grato della lettura del mio Fray Luis de Leon; spero che in dicembre esca la nuova edizione.
Stia attento all’amicizia che desidera da me; io ne sono lieto e onorato, ma appartengo a un’altra generazione, ho esaurito molti miti, contemplo, misuro, come posso. Lei ha bisogno dei suoi coetanei (in senso non temporale, naturalmente), ha bisogno anzi di combatterci, altrimenti rischia l’epigonismo, di più anche nella Sua poesia alcunché di sentimentale e di disarmato, e mi richiamo all’appunto di prima. Se fossi un vecchio bacucco, mi compiacerei, ma ho troppo vissuto nella milizia e sulla breccia, ho visto trascorrere varie generazioni, e mi son fatto astuto per giovare ai più giovani di me.

(Cerchi a Lecce Donato Valli; Pagano, De Rosa; pare che il Critone riprenda).
Coi più cordiali saluti.


21 dic. ‘63

Caro D’Andrea, grazie della poesia In tutto il poco. C’è qualche buon verso, ma in complesso soffre di certa inerzia e maniera di arresa dolcezza: questo campo semantico è periglioso per Lei, gliel’ho detto.
Non ho poteri presso case editrici, diretti; posso consigliare, ma dette case hanno i propri consulenti che fanno tutto.
Non sono riuscito a nulla per Fallacara che è morto senza vedere unita la sua opera alla luce delle stampe. La situazione è orrenda. Oppure la fossa comune dei Rebellato, Guanda, ecc.
Cordialmente Le ricambio gli auguri, e sia sincero, lavori (è quel che conta). Suo Macrì.


3 maggio 1964

Caro D’Andrea, decisi all’improvviso di partire per Lecce a sentire il mio vecchio amico Marti per le sue nozze con la cattedra. Pensai di vederla.
Ho parlato di Lei con Pagano, al quale Lei si può affidare con ogni fiducia. Circa la dedica, Le ripeto la mia umiltà dinanzi a tutti i poeti, facendo io la professione del critico puro. Già a Comi – s’immagini – ebbi a rifiutare l’offerta di un intero libro. Infine, non mi formalizzo, e mi dedichi pure la poesia, se è questo il Suo ultimo desiderio. Grazie.
Per i poeti spagnoli guardi la bibliografia del mio libro guandiano Poesia spagnola del Novecento, II edizione. Si può aggiornare attraverso la rivista Insula, Calle de Carmen 9, Madrid (13).
Indirizzo di Rosales (è accademico della Española): Ex.mo D. Luis Rosales, Altamirano 37, Madrid.
Le ultime poesie che mi ha mandato sono graziose, ma sostanzialmente non aggiungono molto alle precedenti. C’è qualche rischio di manierismo neocrepuscolare. Occorre che Lei guardi soprattutto alla linea novecentesca italiana alla quale si riporta la Sua poesia: Gozzano, Corazzini, Saba, Palazzeschi, Penna, Bertolucci, ma penso che qualche dubbio di Betocchi (il quale peraltro non sta bene davvero) concerna certa stasi edonistica del Suo fare poetico. Sono cose che io già Le ho detto, poiché Lei merita ogni sincerità. Coi più cordiali saluti e auguri.

(La prego di non mandarmi espressi, che mi arrivano più tardi, se nessuno è in casa).

10 gennaio 1965

Caro D’Andrea, vivamente La ringrazio del dono del volumetto di poesia; sto rileggendo le Sue liriche con piacere e mi compiaccio che siano state raccolte; si contemplerà oggettivato nella stampa che è crudele come una luce, e necessaria per proseguire, quando un certo cammino è stato compiuto con passione e sincerità, come ha fatto Lei.
Molto cordialmente.

28-2-65

Caro D’Andrea, La ringrazio vivamente dell’attenzione cortese e generosa con cui Lei riguarda il mio lavoro ispanistico e della fiducia che ripone in me.
Vedrò Betocchi domani e raccomanderò il Suo libretto di poesie; Betocchi è più vicino di me a Pampaloni in questo settore.
Auguri e cordiali saluti.

(La prego di non mandarmi lettere affrancate con Espresso; mi arrivano più tardi, e, se non sono in casa, sono costretto a recarmi al centro per rilevarle; l’Espresso è meramente psicologico e, nel mio caso, non è necessario).


Maglie 15 sett. 65


Caro D’Andrea, l’aspetto lunedì 20 c. alle 18 ca. in casa di mio fratello Giuseppe in Via D. Rosa Garzia 16. La rivedrò con piacere. Cordiali saluti.

22 maggio 1966

Caro D’Andrea, di cuore La ringrazio del volumetto di liriche che ho riletto e gustato, spesso nella tecnica più avvertita, più concentrata. Le auguro buon lavoro e buone letture.

Firenze, 17 ott. ‘66

Caro D’Andrea, mi è dispiaciuto di non averla vista a Otranto. Spero che ci incontreremo a Pasqua. Grazie della poesia; mi sembra un po’ debole di rilkismo-pascolismo, pur sempre col suo segno di autentica intimità.
Grazie del ricordo del Caffè Fiorentino, scritto con garbo e penna lieve.
Buon lavoro e cordiali saluti.

Firenze, 17 nov. ‘66

Caro D’Andrea, di cuore La ringrazio del suo pensiero fraterno. Siamo tutti scampati all’orribile flagello, ma l’angoscia è feroce per tanti lutti e disastri. Cordialmente, Suo.

Firenze, 27-1-67

Caro D’Andrea, torno dal Nicaragua dove ho fatto in tempo ad assistere a una piccola rivoluzione di quel bellissimo e disprezzatissimo paese dominato da quattro famiglie. Per poco non sono sceso in strada col popolo, sul quale la guardia somoziana ha sparato a bruciapelo. Le versioni dei fatti sulla stampa fascista italiana sono esattamente contrarie alla verità.
Grazie della Sua lettera e della poesia. Mi rallegro per le Sue sempre più ampie e intense letture. Ma decanti quel che legge prima di accingersi a poetare. Cordialmente.
La prego di eliminare quel “Maestro”; sono ancora un critico militante e non un vecchio bacucco.

Firenze, 24 aprile 1967

Caro D’Andrea, non pensi che l’abbia dimenticato; gli è che i momenti di “ozio santo”, come diceva Machado, si fanno sempre più rari in questo sperpero d’ore e non sono uso a scrivere convenzionalmente a chi mi aspetta dal pudore della sua intimità rivelata. (D’altra parte, speravo di scendere costì per Pasqua, ma non è stato possibile).
Voglio dirle semplicemente che ho riletto con gusto letterario e vitale insieme il Suo Spazio domestico; che ormai mi aggiro e indugio familiarmente in esso come luogo della mia infanzia e del futuro eterno con cui ci accingiamo a partire. La chiesa, la sorella, la madre, il barone, gli antenati, Donatella, la lumaca, il carro, ecc., tutto è inciso gentilmente in un legno antico in aria fresca e arida d’una tristezza di radice non crepuscolare.
Molto belle le poesie a Comi, quelle che ha voluto dedicarmi, Foglia a foglia, Autunnale. Qui è estrema concentrazione, diretta trasposizione di sé nella figura larica e paesistica. Tenga presente per l’avvenire Non ho che questo cuore, sia fedele a se stesso, ma cerchi altro varco ed altro spazio. Già qua e là si nota qualche rischio di estasi che è stasi, qualche tristezza intristita nella sua inane reiterazione. Appena, dico. Oltre sanità e peccato c’è altro, uno scandaglio più interno.
Ma lasciamo il futuro sulle ginocchia di Giove e rallegriamoci insieme d’una letizia che è ormai di tutti, come è proprio della poesia operata con onestà e impegno umano.
Cordialmente.

 

Firenze, 19 marzo 1968

Caro D’Andrea, il poemetto La porta delle pecore è costruito con perizia e giustezza di parole e scene, nulla da dire sulla sua coerenza interna. Quel che mi preoccupa è la materia ambigua e lasciva, in senso appunto materico, impropriamente morale. Mi sembra un momento di crisi proprio nel demone costruttivo; un po’ di dissacrazione neoliberty; dal neocrepuscolarismo sembra che Lei sia passato a un neodannunzianesimo. Comunque i primi 4 versi del n. VIII sono, appunto, astuti e piuttosto belli, altri passi hanno qualche bellezza bassa e sinistra.
Si vigili molto e si scateni con misura. Cordialmente, Suo grato.

Firenze, 4 febbraio 1971

Caro D’Andrea, sono d’accordo su tutto che mi propone, ma non potrebbe aspettare fino a Pasqua? Mi piacerebbe concordare con Donato formato, caratteri, titolo esatto della collana. Comunque, se ha fretta, sono disposto ad accontentarla. Mi stupisce e mi incanta (di questi tempi) la freschezza di questi suoi desideri di poeta. Cordialmente.

Firenze, 4 febbraio 1972

sto studiando il suo libro per un saggio sull’Albero, saggio non recensione. I miei umori – non credo sconsiderati – li pago sempre di persona con chi vale. Con chi non vale non ho umori, non sento niente. Mi irritò il minimo di certo suo spirito faccendiere non degno delle sue qualità maggiori: ecco tutto.
Ma ora non se ne parli più. Nel sacro della poesia ogni umore e miseria deve cessare. E lei riprenda tranquillamente il suo lavoro, non si arrovelli e cerchi meglio il passaggio segreto (ci deve essere) per sfuggire alla sua matrice domestica; sfuggire per ritornarvi più persona, più io, se la poesia serve a costruire la propria persona e a suggerire una probabile salvezza.
Praticamente, lasciamo pure il suo libretto come sta con la speranza che Milella lo faccia uscire in II edizione. So che ha chiesto a Luzi di interessarsi per un altro editore; ne sarei lieto se servisse a lanciare meglio il libro. L’Albero ha mera funzione di indicare poeti “poveri”. Decida lei come le pare più opportuno. L’augurio e il cordiale saluto del suo amico.
L’autorizzo a consigliare a Valli di mettere la pubblicità del suo libro nel prossimo numero dell’Albero, insieme con l’annunzio di quello di Tentori.

Firenze, 5 luglio 1965

Caro D’Andrea, grazie per la Sua lettera e per l’amicizia che mi dimostra. Sarò a settembre a Otranto e avremo modo di conversare a lungo su tanti temi così vivi. In estate a Firenze è difficile trovare gli amici. Io sto per partire per Montecatini.
Molto cordialmente.

30 ag. ‘65

Caro D’Andrea,
grazie della poesia, che leggerò con piacere, e delle lettere di così intima confidenza (non so se me le merito, vecchio bisbetico e smobilitato della critica militante). Conto di essere a Otranto tra una settimana. Si accerti della mia venuta presso mio fratello Giuseppe Macrì a Maglie; il numero di telefono è nell’elenco. Discorreremo con agio.
Arrivederci e cordialità.

Otranto, p. Vetruccio, Riviera degli Elei, 83
25 settembre 1972

Caro D’Andrea,
La ringrazio della Sua lettera, la prima veramente sensata e acuta di sé e della poesia, pur ancora con qualche sbavatura narcisistica, di che non mi stupisco, anzi l’approvo, dovendo essere l’artista un sanguinario e un monastico. Scherzo; venga a trovarmi in sull’imbrunire. Lasci le poesie per ora e ci dia subito il Lisi! Con la trascrizione del nastro.
Cordialmente.

Firenze, 28 novembre 1972

Caro D’Andrea,
grazie della lettera, del suo periplo nuovo di vita e di letture; sento in lei alcunché di nuovo, non saprei dire, per quanto permane qualche residuo del suo io radicale.
Nell’isolare il mio carteggio con Bodini scorrevo il mio epistolario con gli amici della mia generazione; passavano centinaia di lettere senza minimo accenno a questo io; si parlava di tutto e di altro, anche di noi stessi, ma mai molto di rado di quest’io tenace caldo-umido assorbente. Ma lei pensi a se stesso, vada per la sua via.
Sul progetto della nuova edizione di Ozi e negozi dissento dal cambiare il titolo della raccolta, se lei abbia solo a integrarla con testi affini. Se crede, può premettere il mio studio sull’ “Albero”. La mia è una proposta del tutto adiafora, in parole povere indifferente totalmente da parte mia; decida lei liberamente.
Più mi rallegrano le recensioni e il saggio su Lisi.
Se resterò a Firenze a Natale? non lo so; non so mai nulla del mio presente, immaginiamoci del futuro. Sono sempre stupito quando un mio simile crede di esistere, progetta, sa che cosa farà due minuti dopo. Vi sono perfino poeti che pensano a stampare, ad avere premi. Certo! anche Bodini rimbaudiano-salentino pensava a se stesso; ha lasciato le carte in ordine. Poi mi sono accorto che tutto era ironico, se non tragico, come un mostruoso alibi rispetto a una dimora diversa, quella del sacro Caos, delle Origini del mondo...
Ma non badi a quello che le sto dicendo. Talora mi assale umore rilkiano dell’identità poeta-eroe-santo, e invece il poeta è poeta, un uomo fragile e consumato, cioè il più uomo degli uomini.
Cordialmente.


(1- continua)

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2005