Marzo 2005

Cinque secoli di tradizione musicale

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Napoli, per esempio
Sergio Bello  
 
 






Le compagini
corali dei
conservatori
furono impiegate nelle festività
ecclesiastiche, nei funerali, nel corso del Carnevale, nelle feste di Corte e nelle case dei nobili.

 

Fu nella prima metà del Cinquecento che sorsero nella capitale del Sud cinque Conservatori di musica, nei quali si svilupparono un’arte e degli studi musicali apprezzati in tutta Europa. All’inizio, narra un maestro del teatro musicale contemporaneo, Roberto De Simone, quei Conservatori nacquero col fine di raccogliere dalla strada ragazzi orfani o abbandonati, per educarli e poi immetterli nel mondo del lavoro come artigiani. Comunque, quei ragazzi salvati dalla pubblica carità venivano istruiti anche nel canto, che col passare degli anni finì per diventare l’attività principale.
Durante i secoli XVI e XVII, sostiene De Simone, «nella città di Napoli, per la sfarzosa rappresentatività politica dei Viceré spagnoli, si attivò una committenza musicale che non ebbe uguali in Europa, sia per il moltiplicarsi di chiese, cappelle e confraternite, sia per il sorgere di nuovi palazzi nobiliari in cui, sull’esempio della Corte, si accoglievano manifestazioni vocali, corali e strumentali. Tale consumo, a mano a mano, venne coperto proprio dall’attività dei Conservatori, le cui compagini corali di giovinetti furono impiegate nelle festività ecclesiastiche, nei funerali, nel corso del Carnevale, nelle feste di Corte e nelle case dei nobili».

Di qui, la necessità di specifiche composizioni occasionali, di cantate, di manifestazioni celebrative, che oltre a quella vocale attivarono la scuola di composizione, nella quale, come nelle antiche botteghe, lavoravano maestri e allievi, in armonico insieme. Nel Settecento, col sorgere dei grandi teatri, (il San Carlo, il Teatro dei Fiorentini, il Nuovo, numerosi altri), i Conservatori produssero una quantità di opere, comiche o serie, dando vita anche al genere di teatro definito “opera buffa”, oppure “commedia musicale”, che non ebbe pari in Europa e che ebbe come cultori musicisti del calibro di Händel, Haydn e Mozart.
Il più antico dei Conservatori fu quello di Santa Maria di Loreto (1537), sorto ad opera di un calzolaio spinto da intenti caritatevoli e assistito sotto il profilo economico anche dai nobili e dallo stesso Viceré. Vi confluirono anche allievi a pagamento, e vi insegnarono il Durante, il Provenzale e Nicola Porpora, che fu compositore e maestro di canto cui fecero capo i più celebri castrati, dal Farinelli al Caffarelli, al Porporino, ad altri. Tra gli allievi, Domenico Cimarosa.

Il Conservatorio di Sant’Onofrio, costituito intorno al 1578 come Sant’Onofrio a Capuana, formò lo Jommelli, il Paisiello e Piccinni, che ebbero fama internazionale in Germania, in Russia e in Francia. Nel 1583 sorse il Conservatorio della Pietà dei Turchini, la cui fama è collegata alla gloria dei nomi di Leonardo Leo, Francesco Feo, Gaspare Spontini e Saverio Mercadante. Il 1589 è generalmente indicato come l’anno di nascita del Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, realizzato dal francescano Marcello Fossataro. Vi insegnarono Gaetano Greco, il Durante, il Porpora, il Feo e l’Abos. Tra gli allievi, Giambattista Pergolesi. Ultimo nato, fu il primo ad essere soppresso, a causa di una rivolta degli allievi contro il Rettore.
Alla fine del Settecento anche il Conservatorio di Santa Maria di Loreto scomparve, fuso con quello di Sant’Onofrio. Nel 1806, re Giuseppe Napoleone unificò tutti gli istituti alla Pietà dei Turchini, che prese il nuovo titolo di Real Collegio di Musica. Nel 1808, trasferito in nuovi locali, prese il nome di Conservatorio di San Sebastiano. Vi studiò Vincenzo Bellini. Nel 1826, per decreto di Francesco I, si spostò definitivamente nell’antico monastero di San Pietro a Maiella, dove sono tuttora conservati gli archivi di tutti i conservatori, ad eccezione di quelli dei Poveri di Gesù Cristo, gestiti dall’Archidiocesi.
Sottolinea De Simone che «la nostra storia musicale si distinse dalle altre scuole italiane, o europee, per la rilevanza data alla vocalità ed alle componenti teatrali [...]. I musicisti di scuola napoletana, insomma, composero le loro opere in riferimento a virtuosi di bel canto, sviluppando linee melodiche di altissimo stile, sostenute elegantemente da sobrie armonie, da equilibratissime orchestrazioni che mai sopraffacevano il canto: il tutto era finalizzato a una teatralità in cui il suono diventava gesto, coinvolgente drammaturgia, senza mai indulgere ad alcuno strumentalismo volgarmente veritiero».
In epoca romantica, con la soppressione degli evirati, si sviluppò un tipo di vocalità femminile e tenorile adeguato alle nuove opere di Bellini e di Rossini, ma pur sempre connotato da caratteri virtuosistici di bel canto. In seguito si sviluppò una grande scuola pianistica, una moderna scuola di composizione con produzioni di verismo musicale, collegato ai nomi di Francesco Cilea e Umberto Giordano. Alla fine dell’Ottocento, Richard Wagner venne ospitato a Napoli nel periodo in cui componeva il “Parsifal”. Nel Conservatorio udì il “Miserere” di Leonardo Leo cantato dagli allievi. Le commosse parole che espresse ci sono state tramandate dalle testimonianze della moglie del grande compositore (un suo autografo è conservato al San Pietro a Maiella), e di Umberto Giordano, che era tra gli allievi che eseguirono quella sublime musica.
Seicentomila i testi musicali, tra cui manoscritti autografi dei grandi musicisti della scuola napoletana, sono custoditi nel Conservatorio, e costituiscono un patrimonio unico al mondo. Non per niente il San Pietro a Maiella ha avuto tre direttori nominati per chiara fama: Giuseppe Martucci, Francesco Cilea e Roberto De Simone. Vi hanno svolto i loro studi il pianista Aldo Ciccolini, il violinista Salvatore Accardo, il direttore d’orchestra Giuseppe Patanè e l’eccelso Riccardo Muti.

 

   
   
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