Le compagini
corali dei
conservatori
furono impiegate nelle festività
ecclesiastiche, nei funerali, nel corso del Carnevale, nelle feste
di Corte e nelle case dei nobili.
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Fu nella prima metà del Cinquecento che sorsero nella capitale
del Sud cinque Conservatori di musica, nei quali si svilupparono
un’arte e degli studi musicali apprezzati in tutta Europa.
All’inizio, narra un maestro del teatro musicale contemporaneo,
Roberto De Simone, quei Conservatori nacquero col fine di raccogliere
dalla strada ragazzi orfani o abbandonati, per educarli e poi immetterli
nel mondo del lavoro come artigiani. Comunque, quei ragazzi salvati
dalla pubblica carità venivano istruiti anche nel canto,
che col passare degli anni finì per diventare l’attività
principale.
Durante i secoli XVI e XVII, sostiene De Simone, «nella città
di Napoli, per la sfarzosa rappresentatività politica dei
Viceré spagnoli, si attivò una committenza musicale
che non ebbe uguali in Europa, sia per il moltiplicarsi di chiese,
cappelle e confraternite, sia per il sorgere di nuovi palazzi nobiliari
in cui, sull’esempio della Corte, si accoglievano manifestazioni
vocali, corali e strumentali. Tale consumo, a mano a mano, venne
coperto proprio dall’attività dei Conservatori, le
cui compagini corali di giovinetti furono impiegate nelle festività
ecclesiastiche, nei funerali, nel corso del Carnevale, nelle feste
di Corte e nelle case dei nobili».

Di qui, la necessità di specifiche composizioni occasionali,
di cantate, di manifestazioni celebrative, che oltre a quella vocale
attivarono la scuola di composizione, nella quale, come nelle antiche
botteghe, lavoravano maestri e allievi, in armonico insieme. Nel
Settecento, col sorgere dei grandi teatri, (il San Carlo, il Teatro
dei Fiorentini, il Nuovo, numerosi altri), i Conservatori produssero
una quantità di opere, comiche o serie, dando vita anche
al genere di teatro definito “opera buffa”, oppure “commedia
musicale”, che non ebbe pari in Europa e che ebbe come cultori
musicisti del calibro di Händel, Haydn e Mozart.
Il più antico dei Conservatori fu quello di Santa Maria di
Loreto (1537), sorto ad opera di un calzolaio spinto da intenti
caritatevoli e assistito sotto il profilo economico anche dai nobili
e dallo stesso Viceré. Vi confluirono anche allievi a pagamento,
e vi insegnarono il Durante, il Provenzale e Nicola Porpora, che
fu compositore e maestro di canto cui fecero capo i più celebri
castrati, dal Farinelli al Caffarelli, al Porporino, ad altri. Tra
gli allievi, Domenico Cimarosa.

Il Conservatorio di Sant’Onofrio, costituito intorno al 1578
come Sant’Onofrio a Capuana, formò lo Jommelli, il
Paisiello e Piccinni, che ebbero fama internazionale in Germania,
in Russia e in Francia. Nel 1583 sorse il Conservatorio della Pietà
dei Turchini, la cui fama è collegata alla gloria dei nomi
di Leonardo Leo, Francesco Feo, Gaspare Spontini e Saverio Mercadante.
Il 1589 è generalmente indicato come l’anno di nascita
del Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, realizzato dal
francescano Marcello Fossataro. Vi insegnarono Gaetano Greco, il
Durante, il Porpora, il Feo e l’Abos. Tra gli allievi, Giambattista
Pergolesi. Ultimo nato, fu il primo ad essere soppresso, a causa
di una rivolta degli allievi contro il Rettore.
Alla fine del Settecento anche il Conservatorio di Santa Maria di
Loreto scomparve, fuso con quello di Sant’Onofrio. Nel 1806,
re Giuseppe Napoleone unificò tutti gli istituti alla Pietà
dei Turchini, che prese il nuovo titolo di Real Collegio di Musica.
Nel 1808, trasferito in nuovi locali, prese il nome di Conservatorio
di San Sebastiano. Vi studiò Vincenzo Bellini. Nel 1826,
per decreto di Francesco I, si spostò definitivamente nell’antico
monastero di San Pietro a Maiella, dove sono tuttora conservati
gli archivi di tutti i conservatori, ad eccezione di quelli dei
Poveri di Gesù Cristo, gestiti dall’Archidiocesi.
Sottolinea De Simone che «la nostra storia musicale si distinse
dalle altre scuole italiane, o europee, per la rilevanza data alla
vocalità ed alle componenti teatrali [...]. I musicisti di
scuola napoletana, insomma, composero le loro opere in riferimento
a virtuosi di bel canto, sviluppando linee melodiche di altissimo
stile, sostenute elegantemente da sobrie armonie, da equilibratissime
orchestrazioni che mai sopraffacevano il canto: il tutto era finalizzato
a una teatralità in cui il suono diventava gesto, coinvolgente
drammaturgia, senza mai indulgere ad alcuno strumentalismo volgarmente
veritiero».
In epoca romantica, con la soppressione degli evirati, si sviluppò
un tipo di vocalità femminile e tenorile adeguato alle nuove
opere di Bellini e di Rossini, ma pur sempre connotato da caratteri
virtuosistici di bel canto. In seguito si sviluppò una grande
scuola pianistica, una moderna scuola di composizione con produzioni
di verismo musicale, collegato ai nomi di Francesco Cilea e Umberto
Giordano. Alla fine dell’Ottocento, Richard Wagner venne ospitato
a Napoli nel periodo in cui componeva il “Parsifal”.
Nel Conservatorio udì il “Miserere” di Leonardo
Leo cantato dagli allievi. Le commosse parole che espresse ci sono
state tramandate dalle testimonianze della moglie del grande compositore
(un suo autografo è conservato al San Pietro a Maiella),
e di Umberto Giordano, che era tra gli allievi che eseguirono quella
sublime musica.
Seicentomila i testi musicali, tra cui manoscritti autografi dei
grandi musicisti della scuola napoletana, sono custoditi nel Conservatorio,
e costituiscono un patrimonio unico al mondo. Non per niente il
San Pietro a Maiella ha avuto tre direttori nominati per chiara
fama: Giuseppe Martucci, Francesco Cilea e Roberto De Simone. Vi
hanno svolto i loro studi il pianista Aldo Ciccolini, il violinista
Salvatore Accardo, il direttore d’orchestra Giuseppe Patanè
e l’eccelso Riccardo Muti.
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