LAmerica ci
supera per tasso
di innovazione
e per motivi
demografici, perché è più
giovane, mentre lEuropa invecchia velocemente.
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È stato scritto che si tratta di unEuropa -tartaruga,
al confronto degli Stati Uniti, e che è tale soprattutto
in due campi spesso trascurati nelle analisi: linvecchiamento
demografico e la lentezza nel costruire unUnione più
stretta. Non è poco, ma è diverso dal quadro di unEuropa
meno dinamica dellAmerica. Anche lEconomist, che non
è mai tenero con il Vecchio Continente e mai troppo severo
con lAmerica, ha più volte smentito la favola di un
Nuovo Mondo strutturalmente più dinamico dellEuropa.
In realtà, unAmerica sprecona da anni ormai
consuma il 5 per cento in più di quanto produce, e il suo
dollaro sfida la legge di gravità come nessunaltra
moneta potrebbe: con una bilancia commerciale in deficit strutturale
e un Tesoro che di frequente ha un solo mese di autonomia valutaria,
fino a quando i creditori stranieri continueranno a compensare il
deficit Usa, reinvestendo i ricavi del loro export in una moneta
che si deprezza? Prima o poi una moneta di riserva deve rinunciare
al proprio ruolo, se diventa un cronico fattore di perdita per chi
la detiene; e il dollaro rischia spesso di trovarsi su questa strada,
ancora una volta per motivi strutturali.

Nel report Europe versus America, pubblicato esattamente
un anno fa, lEconomist ricordava che lAmerica non è
strutturalmente più dinamica dellEuropa: nel decennio
1994-2003 il Prodotto interno lordo pro capite americano, la vera
misura della prestazione economica di un Paese, è cresciuto
del 2,1 per cento lanno, contro l1,8 per cento delleuroarea.
E aggiungeva che questa piccola differenza era tutta imputabile
al rallentamento della Germania conseguente alla costosa riunificazione
del 1990. Scomputando la Germania, il tasso di crescita europeo
del Prodotto interno lordo pro capite nellultimo decennio
è stato esattamente uguale a quello Usa: 2,1 per cento. E
se in seguito il Pil americano è cresciuto più di
quello europeo (3,3 per cento contro 2,1 per cento), ciò
è dovuto precisamente alla differenza nei tassi annui di
crescita delle popolazioni: 1,2 per cento lamericana, zero
leuropea.
Quanto al Pil pro capite europeo, complessivamente inferiore del
30 per cento rispetto a quello americano, due semplici considerazioni:
il cittadino americano deve pagarsi di tasca sua la scuola, la sanità
e la previdenza, tutti servizi a costi crescenti, a differenza delleuropeo;
e poi lamericano lavora più ore/anno delleuropeo
(1.800 contro 1.600), per scelte di vita che la maggioranza degli
europei difende, trasformando parte degli aumenti di produttività
in tempo libero invece che in salario, come invece ha preferito
lamericano. Il quale gode di soli dieci giorni di ferie/anno,
contro i trenta degli europei, ed è costretto sempre più
spesso a lavorare oltre i settantanni per integrare una pensione
sociale che, pari al 30 per cento del salario, (75 per cento del
salario in Europa), non gli basta per vivere.

Se lamericano gode di una vita media più corta di
due anni rispetto alla media del cittadino europeo, questo dipende
anche dal fatto che 50 milioni di americani sono completamente privi
di assicurazione sanitaria, perché non sufficientemente poveri
per entrare nel Medicare pubblico, e non abbastanza ricchi da potersi
pagare unassicurazione privata. Quanto ai tagli fiscali, che
sicuramente hanno accelerato, anche drogandola, leconomia
americana, basterebbe ricordare il Wall Street Journal: «Dei
tagli fiscali hanno beneficiato soltanto i redditi elevati, mentre
i salari sono rimasti invariati e i salari reali si sono ridotti».
Perché non far risaltare con più precisione i punti
di debolezza veri del nostro Continente, che non sono pochi, e i
punti di forza da cui dobbiamo partire per rilanciare uneconomia
europea che effettivamente non brilla da qualche anno? Per crescere
di più ci serve più Europa, e non meno Europa, con
burocrazie locali, nazionali e comunitarie, più efficienti.
Abbiamo un export superiore a quello di Usa e Sud-Est asiatico messi
insieme, produciamo più di quello che consumiamo, quando
ci impegniamo diventiamo campioni del mondo, (per esempio nelle
telecomunicazioni e nelle costruzioni aeronautiche: si vedano lAirbus
europeo, che dallanno scorso ha piazzato più ordini
della Boeing, gli alimentari, i telefoni cellulari, la farmaceutica
e lauto), e abbiamo sistemi di Welfare che dobbiamo ammodernare,
senza cancellare, come invece è successo negli Stati Uniti.
Perché allora da alcuni anni a questa parte cresciamo meno
di quanto ci consentono le nostre potenzialità? A questa
domanda sono state date risposte convincenti: «Di ragioni
ce ne sono tante, ma una sta alla radice di tutto: manca la fiducia
La fiducia viene anche dalleconomia, ma la ripresa americana
non sarà sufficiente a innescarla. La fiducia viene soprattutto
dalla Politica, quella con la maiuscola».
Le difficoltà, dunque, sono soltanto politiche? Non proprio.
LAmerica ci supera per tasso di innovazione, per il maggiore
impegno nella ricerca e nellistruzione, per il superiore ruolo
che la meritocrazia ha in quella società. Ma ci supera in
modo particolare per motivi demografici, perché è
più giovane, mentre lEuropa invecchia velocemente,
vista la miopia con cui conduce le sue politiche per la famiglia
e limmigrazione. La differenza nei tassi di crescita della
popolazione è oggi il primo fattore di svantaggio anche economico
del Vecchio Continente.
Liberiamoci dal complesso di unEuropa-tartaruga in tutto versus
unAmerica brillante in tutto. Entrambi i Continenti hanno
problemi da risolvere e opportunità da sviluppare. Costruiamo
innanzitutto più Europa, che non ha esaurito il suo potenziale
di integrazione economica. Molte iniziative si pensi ai progetti
Galileo, Airbus, Eurofigther sono più facili da realizzare
in un contesto europeo.
Rincorrere al ribasso i nuovi concorrenti è stato
scritto è impossibile oltre che stupido, perché
metterebbe a rischio il Welfare, che è e deve rimanere un
vantaggio competitivo di lungo periodo. Si potrebbe fare una politica
industriale europea a favore di aziende strategiche in difficoltà,
se avessimo unUnione più stretta, come ebbe a notare
a suo tempo il commissario Mario Monti, senza incorrere in infrazione
alcuna e senza turbare la concorrenza. Non è poco, considerando
i problemi di nanismo industriale e di competitività dellItalia.
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