Nella maggior parte dei casi, anche quando
apre il capitale ai privati, il pubblico azionista non molla il
controllo delle società.
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Si fa presto a dire privatizzazioni: nella maggior parte dei casi,
anche quando apre il capitale ai privati e vende la maggioranza
delle azioni, il pubblico azionista non molla il controllo delle
società. Uno degli ultimi esempi è quello della Aem
di Milano, dove il Comune è sceso sotto la soglia del 50
per cento del capitale, ma poi, con unautentica capriola statutaria,
si è arrogato il diritto di mantenere il controllo di fatto
sul Consiglio di Amministrazione e sullazienda.
Purtroppo, tutto il mondo è paese, e lescamotage inventato
dalla giunta comunale meneghina non è un caso isolato. Lo
ha documentato uninedita ricerca sulle privatizzazioni in
area Ocse condotta da studiosi dellUniversità di Torino,
della Fondazione Eni Enrico Mattei e dellamericana Vanderbilt
University.
La ricerca prende in esame un campione di 140 società privatizzate,
in tutto o in parte, nel quinquennio che va dal 1996 al 2000, e
non potrebbe avere un titolo più eloquente: Privatizzazioni
riluttanti.
Perché mai riluttanti? A chiarirlo è il
più clamoroso dei risultati della ricerca e dellindagine
empirica che la sorregge: attraverso residue partecipazioni azionarie
dirette o indirette, golden share o varie forme di diritti speciali,
lazionista pubblico influenza ancora il 62,4 per cento delle
società privatizzate. In altri termini: in quasi
due terzi delle società privatizzate lo Stato mantiene ancora
poteri di veto o di controllo.
Unaltra sorpresa di grande interesse che emerge dalla ricerca
in questione è che nel 29,79 per cento dei casi presi in
considerazione lo Stato non solo è ancora presente nelle
società formalmente privatizzate, ma di fatto risulta ancora
il principale azionista. E, da primo azionista, conta molto di più
di quanto non conti il primo socio privato in società comparabili.
Uno dei casi più emblematici che la ricerca mette sotto i
riflettori è quello della Lufthansa, la compagnia aerea tedesca
privatizzata in più tranches negli anni Novanta del secolo
scorso. Nella struttura della catena di controllo post-privatizzazione,
ufficialmente lo Stato, alla fine del 1996, aveva soltanto una modesta
partecipazione diretta, pari all1,77 per cento intestato al
Land della Renania-Westfalia. Ma se invece si considerano le proprietà
indirette, la situazione appare molto diversa e i rapporti di forza
risultano letteralmente capovolti.
Infatti il 37,45 per cento era in mano alla KfW, una società
formalmente privata, ma comunque controllata dallo Stato, come la
nostra Cassa Depositi e Prestiti, che non rientra nella pubblica
amministrazione, ma che risponde pur sempre al governo.
E, come se non bastasse, la longa manus pubblica non cessava di
allungarsi anche su altri soci privati: su Deutsche Postbank AG
e su Deutsche Bahn AG, che nel 1996 detenevano rispettivamente l1,03
e lo 0,4 per cento dellaerolinea, ma che sono posseduti al
cento per cento dalla Repubblica tedesca, e persino su Mgl, che
aveva in portafoglio il 10,05 per cento di Lufthansa, ma che è
a sua volta controllata da azionisti dietro la metà dei quali
cè lo Stato bavarese. Sommando anche le partecipazioni
indirette, lo Stato risultava così il maggiore azionista
di Lufthansa anche dopo la privatizzazione.
Secondo la ricerca, la riluttanza dellazionista pubblico a
mollare la presa è indubbia, ma è un dato di fatto
che va letto in modo non schematico, visto che la propensione dellazionista
pubblico a mantenere uninfluenza sulle società privatizzate
avviene sotto tutti i cieli e persino in Paesi, come il Regno Unito,
che hanno conosciuto la rivoluzione thatcheriana, e che non possono
certo essere sospettati di statalismo, ma che, tuttavia, hanno mantenuto
in vita una forma sia pure abbastanza leggera di golden share.
Diritti speciali che nel caso della Gran Bretagna valgono ancora
per diciassette delle società privatizzate e che proprio
di questi tempi anche lItalia, su sollecitazione di Bruxelles,
sta cambiando, alleggerendo in alcuni casi, e ripromettendosi di
alleggerire in altri, la propria presenza: per Enel, Finmeccanica,
Eni, Telecom...
La prima considerazione che va fatta, e che la ricerca non manca
di mettere in evidenza, è che la permanenza di poteri speciali
dellazionista in società aperte ai privati riguarda
principalmente le public utilities, vale a dire imprese di particolare
importanza strategica per qualunque Paese (come è il caso
dellenergia e delle telecomunicazioni).
In secondo luogo e questo è un altro spunto dellindagine
che merita di essere attentamente considerato lesistenza
di una qualche forma di controllo pubblico, diretto o indiretto,
non sembra penalizzare il valore e le performances di Borsa delle
società privatizzate. I casi classici sono sotto gli occhi
di tutti, e sono proprio quelli dellEni e dellEnel,
dove la partecipazione pubblica viene percepita dal mercato non
tanto come un vincolo frenante, quanto come un fattore di stabilità.
Anche a costo di una minore efficienza e di una minore contendibilità
del loro modello societario. Un motivo in più per riavviare
la battaglia per le privatizzazioni, sia al centro che ancor di
più a livello locale, ma per condurla nel modo più
pragmatico possibile e alla luce di quanto lesperienza degli
ultimi ventanni suggerisce.
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