Spetta ai bancari del Centro-Sud la poco invidiabile
palma della
maggiore
anzianità
riscontrabile
in ogni categoria professionale.
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Lobiettivo è rimasto inalterato rispetto allo scorso
anno, ma unaltra parte del cammino è stata percorsa.
È questa la sensazione che si trae dalla lettura dellultimo
rapporto curato dallAssociazione Bancaria Italiana (ABI) sul
mercato del lavoro nellindustria finanziaria e il cui sottotitolo
Retribuzioni e costo del lavoro nelle banche italiane ed europee
fotografa in modo eloquente e preciso lambizioso perimetro
di questa ricerca. Ricerca che, in realtà, è giunta
alla sua dodicesima edizione, ma che comunque è capace di
rinnovare i motivi di interesse e di suscitare il dibattito su uno
spicchio del mercato del lavoro definito non a caso lo scorso anno
un laboratorio di tendenza.
Ancora una volta, alla luce dellabbondanza dei dati raccolti
e della complessità delle riflessioni formulate, sembra quindi
opportuno procedere con ordine per offrire al lettore alcune chiavi
di lettura di questa accurata ricerca.
Si accennava allinizio dellobiettivo fissato e del percorso
compiuto, elementi sui quali calano quasi come un sigillo le parole
(pressoché simili a quelle dello scorso anno) pronunciate
dal presidente dellABI, Maurizio Sella: «Le imprese
bancarie hanno proseguito [
] la fase di crescita e di razionalizzazione
dei propri assetti organizzativi, tendente ad avvicinare la struttura
dellattivo, del patrimonio e dei margini reddituali a quella
dei competitors europei [
]; il sistema bancario ha fatto segnare
in questi anni significativi progressi nella dimensione media delle
imprese e nella gamma dei servizi offerti».

Affermazioni che rinfrancano e che fanno da premessa/sintesi ad
alcune considerazioni di merito che scaturiscono dalla lettura delle
singole parti della ricerca. Il punto di partenza iniziale del nostro
viaggio di ricognizione lungo gli aspetti occupazionali parte da
un primo dato particolarmente significativo: lulteriore ridimensionamento
degli organici con una flessione dello 0,5% a fine 2003 (e dell1,1%
nel biennio 2002-2003). Un dato che sicuramente non stupisce, ma
semmai conferma una tendenza consolidata da tempo (precisamente
dal 1998 con lunica eccezione del 2000) che ha punteggiato
per le banche la costante ricerca di migliori margini di efficienza.
La politica di razionalizzazione e di ridimensionamento degli organici
può essere egualmente colta anche attraverso un secondo dato
che combina il flusso di assunzioni e di cessazioni, registrandosi
un turnover inferiore allunità (lo 0,6 contro lo 0,9
dellanno precedente). In altri termini, il mondo bancario
ha assunto 6 nuove unità per ogni dieci cessati: una fotografia
complessiva del sistema bancario italiano che assomma in sé
valori coerenti al risultato finale, sia pure con livelli differenziati,
nelle banche maggiori, grandi e medie (secondo la nomenclatura ufficiale
della Banca dItalia) e valori positivi in controtendenza per
le realtà aziendali minori e piccole. Una conferma di equilibri
gestionali difformi in relazione a dimensioni decrescenti.
Ma non vi è il solo elemento dimensionale a svolgere un ruolo
differenziatore, concorrendo a questa funzione anche il fattore
geografico con un saldo tra assunzioni e cessazioni che pur presentandosi
con il segno negativo per tutte le regioni italiane risulta variabile
tra il minimo dello -0,4% per le banche del Nord -Est e il massimo
del -3,8% per quelle del Nord-Ovest.
Dopo il ridimensionamento, ecco un secondo aspetto che vale la pena
di sottolineare, sia pure sinteticamente, lo slittamento verso lalto
delle qualifiche professionali: così nel caso dei dirigenti
(dall1,8% all1,9%) come in quelli dei quadri direttivi
(dal 31,9% al 32,3%) e dei dipendenti della 3ª area professionale
(1° e 4° livello).
Un terzo aspetto concerne la tipologia contrattuale del personale
in servizio, con unassoluta prevalenza dei rapporti a tempo
indeterminato (97,1% dei dipendenti, di cui l89,6% full-time)
mentre residuali appaiono le incidenze da un lato dei rapporti a
termine e di formazione lavoro (complessivamente 2,4%) dallaltro
dei lavoratori temporanei (0,4%). Circa la diminuzione delle assunzioni
con contratti formazione lavoro si può dire che è
giustificata dalla riforma del mercato del lavoro attuata con la
legge Biagi che ha eliminato tale tipologia contrattuale sostituendola
con i lavori a progetto. Per i lavoratori temporanei, invece, la
ricerca dellABI fornisce una disamina importante di questi
dati, segnalando un rimarchevole interesse delle banche per questa
forma contrattuale testimoniata dalla percentuale del ricorso ad
essi sul fronte delle assunzioni.
La valutazione della fotografia del personale del sistema bancario
non esaurisce certo qui i propri spunti di interesse, emergendo
ad un ulteriore approfondimento altri significativi dettagli. Si
prenda, così, letà media dei dipendenti neo-assunti
che è al di sotto dei 32 anni, ma che per le già ricordate
caratteristiche del turnover del personale non riesce a migliorare
il livello di invecchiamento della popolazione bancaria, passata
da 41,7 a 42,2 con il minimo di 40,3 per gli appartenenti alle aree
professionali e il massimo di 50 per i dirigenti. E in questa specifica
ottica non può certo sfuggire che spetta ai bancari del Centro-Sud
la poco invidiabile palma della maggiore anzianità riscontrabile
in ogni categoria professionale.
Passando, poi, agli aspetti positivi, rientra sicuramente in questo
campo il dato relativo al tasso di scolarizzazione della popolazione
bancaria con il 63,3% in possesso almeno di un diploma di scuola
media superiore e un 24% di laureati (23% lanno precedente).
Su questo specifico punto il Rapporto ABI così commenta:
«Laumento del personale laureato potrebbe essere connesso
alla composizione del mercato del lavoro nel quale è consistente
la quota di laureati in cerca di occupazione». Da notare che
la percentuale di laureati è massima nelle realtà
bancarie minori (33%) e minima in quelle maggiori (23%).
Un secondo aspetto che si può prestare ad una chiave di lettura
in positivo è, poi, la presenza femminile nel mondo bancario,
presenza ormai pari a quasi il 38% della popolazione complessiva
con una crescita che risulta veramente considerevole, se raffrontata
alla percentuale di alcuni anni fa (31,1% nel 1997).
Ma la presenza femminile non merita attenzione solo per il proprio
peso ma rileva, come si vedrà subito, anche su altri versanti:
ad esempio, per il contributo fornito allinnalzamento del
livello di scolarità dei dipendenti, risultando il 24,9%
delle donne in possesso di un titolo di laurea (contro il 24,1%
dei colleghi).
Ed ancora, così come sottolinea il Rapporto, «In termini
prospettici ci si aspetta un ulteriore incremento del personale
femminile nelle qualifiche più elevate, mentre per ora è
massima la concentrazione nel terzo livello della categoria della
3ª Area Professionale) quale risultato dellaumento delle
assunzioni di tale personale negli ultimi anni».
Fin qui lanalisi del cammino percorso; ma, come si diceva
allinizio, la valenza del Rapporto può essere spesa
anche nellottica dellavvicinamento delle banche italiane
agli standards europei, un processo questo sicuramente lungo e lontano
dallessersi concluso. Su questo terreno il viaggio parte come
sempre dal raffronto sul costo unitario del lavoro su base europea
con lItalia che risulta dividere con Olanda e Svizzera il
poco invidiabile primato di essere ben al di sopra della media continentale;
e quindi, a maggior ragione, lontanissima ancora dai valori del
mondo bancario inglese tradizionalmente campione in positivo di
questa classifica.
Se, poi, si passa a considerare il valore della redditività
delle banche italiane, si rileva che il suo livello inferiore rispetto
ai partners europei può attribuirsi al concorrere di tre
elementi sfavorevoli: il maggior costo medio del lavoro (+15%),
la minore efficienza in termini di cost-income ratio (circa sette
punti percentuali sopra la media continentale) e conseguentemente
il maggior rapporto tra costo del lavoro e margine di intermediazione
(circa 8 punti percentuali in più del valore medio europeo).
In definitiva, una griglia di valori che ci indica con la severa
crudezza delle cifre quanto cammino lItalia deve ancora percorrere.
Alla luce di questa diagnosi lABI stila con chiarezza la propria
ricetta che per essere efficace deve investire tre aree: la prima,
quella delle retribuzioni, dove appare ineludibile il nodo del maggiore
spazio da riconoscere agli aspetti di merito e di performance individuali;
la seconda area riguarda, invece, il mercato del lavoro nei suoi
aspetti strutturali allindomani dellavvio della riforma
Biagi che sta lentamente muovendo i primi passi nel segno di una
maggiore flessibilità complessiva. E, detto per inciso, una
prima sommaria lettura del nuovo contratto collettivo nazionale
dei bancari ancora fresco di approvazione lascia intravedere un
orientamento preciso in questa direzione.
Il terzo capitolo della ricetta ABI concerne ladozione di
politiche occupazionali coerenti con valori più equilibrati
di cost-income ratio attraverso ladozione di strumenti di
aggiustamento. In questa specifica ottica si colloca il Fondo di
solidarietà, «che ha sin qui consentito di poter gestire
in modo soft e senza oneri per la collettività situazioni
ad impatto sociale potenzialmente rilevante» la cui piena
operatività è essenziale per le finalità di
riequilibrio gestionale e di prevenzione delle crisi aziendali.
In realtà, più che una ricetta le considerazioni conclusive
dellABI tracciano i contorni di una sfida sempre più
delicata alla quale è chiamato a rispondere con tempestività
e appropriata efficacia il sistema bancario del Paese. Un auspicio
al quale volentieri ci uniamo!
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