Lambizione
principale resta quella di mettere limpresa al centro della
cultura e degli interessi della società
meridionale, creando aree
di eccellenza nel contesto di un
sistema integrato.
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Il carro dei robivecchi si muove lentamente, illuminato dai colori
degradanti del tramonto. La morte del sole dà sempre tristezza,
ma aggiunge anche tanta solitudine al tabù di periferia
relativa che ci siamo cuciti addosso e con il quale veniamo
classificati. Diventano più nitidi i confini della periferia
dellanima, più nette le inquietudini tra le radici
provinciali e le tentazioni urbane, la vita di trincea e quella
della foresta cosmopolita. Con i bisogni di solidarietà che
aumentano e i valori che si smarriscono nel tentativo surreale di
mandare avanti un mulino che macina a vuoto, senza grano dentro.
Lera buonista delle grandi comunità aggreganti e dialoganti
con i canoni della tolleranza e del laissez-faire a tutto campo
è giunta al capolinea. Colpita da paralisi istituzionale
e politica. Non a caso nelle voragini che si aprono prendono il
sopravvento sentimenti nostalgici per le categorie del passato,
promuovendo nuove simpatie per gli scenari di rigidità e
contrapposizione, per la ridefinizione dei rapporti tra sicurezza
collettiva e libertà individuale. È il prezzo della
distrazione, del protezionismo esasperato, delle opzioni poco mobili;
pratiche sempre coltivate dalle élites cosmopolite e denazionalizzate,
ora messe alle corde da un vento reazionario che produce drammi
collettivi senza frontiere, rendendo esplicito il conflitto tra
credo illuminista ed eresia feudale.
Pensando alle diseguaglianze del secolo giovane viene in mente la
metafora dissacrante della Città invisibile di Calvino, sdoppiata
in quella delle rondini (vita del suolo) e quella dei topi (vita
del sottosuolo). A dispetto dellimmagine di efficienza e di
governance della democrazia americana (con un capo che alterna comportamenti
di guerriero ad altri di buon samaritano), un senso disperato di
vuoto domina i comportamenti diffusi e induce a guardare al remake,
al recupero del passato, dando spiegazione dei tanti caos in circolo,
del fenomeno fondamentalista mediaticamente dominante con i suoi
confini di sangue, la moralizzazione della violenza, i presunti
valori etico-religiosi connessi alla sua radicalità politica.
Sotto la spinta di un nemico assoluto che richiede mobilitazione
globale cè il rischio di conseguire prodotti anticati.
Credevamo di vivere in unera minimalista e invece scopriamo
limperioso ritorno del massimalismo, con prodotti confezionati
senza condivisione progettuale, subiti per paura o per fame, affidati
con incerte speranze di successo a laboratori di democrazia approntati
in tutta fretta (Afghanistan, Palestina, Iraq, Romania, Paesi ex
Urss).

A noi meridionali e mediterranei corre lobbligo di fare in
questo contesto tumultuoso delle scelte di campo precise, scrollandoci
di dosso le diffuse tendenze allattendismo. La guerra di movimento
è più utile delle sonnacchiose operazioni di trincea.
Viviamo giorni cruciali per i nuovi equilibri geopolitici che usciranno
dalla riforma dellOnu e delle altre istituzioni internazionali
(Wto, Fmi, Banca mondiale); dagli assetti costituzionali dellUnione
europea; dalla fibrillazione del mondo arabo, africano, asiatico;
dalle tendenze imperiali in ascesa, con le deflagrazioni che producono
attraverso lerosione dei princìpi di democrazia costituzionale
per mano del potere esecutivo.
Al pessimismo storico e al vittimismo cronico bisogna contrapporre
uno spregiudicato realismo, poiché si deve pur dare una voce
alle questioni che la comunità internazionale classifica
sbrigativamente irregolarità marginali. Facendo
riferimento a segmenti di umanità implicitamente declassati
ma comunque insediati in territori di frontiera strategicamente
importanti per i nuovi assetti del potere globale.
Per uscire dallisolamento di alcuni importanti momenti decisionali
si avverte lesigenza di creare nuove centralità politiche.
Attivando tra i Paesi insediati lungo le sponde del Mediterraneo
un laboratorio socio-politico (un Osservatorio, che nella fase operativa
può utilizzare un Segretariato entro cui far lavorare gruppi
di contatto su temi specifici) per trasformare lanonimato
delle periferie in offerta di stabilizzazione, per dare contenuti
a unidentità mediterranea sottratta alla marginalità
e resa indispensabile al concerto delle potenze che disegnano le
nuove geometrie del potere. La sua autorevolezza dipenderà
da una leadership credibile che dovrà esprimersi attraverso
un ruolo istituzionale stabile, capace di sviluppare nel tempo attività
di governance indipendente. Producendo una continua interazione
tra i mercati nazionali e le strategie di cooperazione tra soggetti
istituzionali, politici e imprenditori.
Cosa possiamo fare noi cittadini e classe dirigente del Mezzogiorno
italiano per facilitare la nascita di questo laboratorio politico?

Potremmo diventare un importante ingrediente dellidentità
mediterranea se acquisissimo consapevolezza del nostro ruolo e delle
nostre potenzialità di polo di riferimento.
Possiamo anche immaginare un Sud italiano con un sistema bancario
autopropulsivo, unindustria fiorente, una larga presenza di
investimenti stranieri, una Borsa prestigiosa di nuovo conio, infrastrutture
efficienti e servizi sociali davanguardia. Ma tutto ciò
sospenderebbe le pratiche dellattivismo protestatario, fermerebbe
il vociare corrosivo dei localismi, annullerebbe il bisogno individuale
di un protettorato? Se restiamo tutti devoti allideologia
dello scontento, attaccati a quel poco di stato sociale che ancora
sopravvive, non si potrà scalfire la predisposizione a vivere
rannicchiati nelle nicchie, a conservare più che a innovare,
anche quando saremo sopraffatti da un meticciato imposto dal turismo
forzato, equo e solidale. I fatti recitano argomenti testardi dinerzia
e di rifiuto del rischio di crescere, mentre i percorsi dello sviluppo
richiedono scelte in condizioni costanti dincertezza e di
gestione del rischio. Il capitalismo presente nel Mezzogiorno è
destinato a restare in sofferenza, per le scarse possibilità
ambientali a posizionarsi in sintonia con la cultura dello sviluppo
globalizzato.
Così unico propulsore attivo resta la coincidenza esistenziale
tra il culto soggettivo del vittimismo e una pratica politica che,
essendo portata per vocazione al controllo di tutti gli spazi sociali,
crea un ambiente-serra animato da forze vitali di sussistenza targata.
La necessità di fare sistema ha bisogno invece di realtà
molto diverse. Di impegni collettivi operosi, senza riforme che
producono altre riforme nel segno di una precarietà stagnante.
Con inizio dalla virtù politica di semplificare i processi
decisionali. Servono sforzi concreti per risolvere un problema grave
che ci portiamo appresso dallunificazione nazionale. Occorre
creare certezza e stabilità là dove si riscontra continuo
pendolarismo tra il principio delluniformità (applicazione
di leggi generali) e il principio della differenziazione (adozione
di leggi speciali), con le conseguenti tendenze ondivaghe verso
laccentramento e lautonomia. Un altro limite allefficienza
e allautonomia istituzionale risiede nel noto fenomeno della
politicizzazione del personale pubblico che, oltre a rendere oneroso
il funzionamento della macchina amministrativa, mina limparzialità
e la credibilità dei servizi offerti.
Va ancora considerato che nelle economie in via di sviluppo una
consistente percentuale della forza lavoro è impegnata nei
servizi (terziario). Una tecnologia sempre più sofisticata
ha creato una sorta di moto perpetuo che trasforma continuamente
il processo produttivo fordista. Ciò rende indispensabile
un costante monitoraggio delle trasformazioni che intervengono nelle
professionalità, nella struttura del lavoro e nellassetto
delle dinamiche organizzative del ciclo degli affari. Questa esigenza
di razionalizzazione non solo non è stata colta nel nostro
Mezzogiorno, ma cozza contro il frazionismo dei distretti che ha
dimostrato scarsa utilità per uno sviluppo di sistema (anche
lutile esperienza dei Por ha il limite della dimensione regionale).
La logica dei distretti non può creare la Svizzera del Sud
poiché rende difficile lo sviluppo di economie di scala dimensionate
secondo le esigenze dellera digitale, della geografia delle
reti materiali e immateriali. Ci sono riscontri di una forte competizione
locale e interregionale che fa perdere il senso di unità,
producendo stanche cronache di appartenenza ad una comunità
che fa abuso di cellulari, ma si organizza per cellule.
Certo, iniettare unità di intenti e razionalità nei
meccanismi di mercato e di gestione dei servizi non crea consenso
politico e toglie tasselli agli equilibri fondati su una conduzione
parcellizzata e patrizia degli affari. Un intreccio che trova collusi
gli interessi organizzati dellestablishment, ma crea solitudine
e squilibrio nella società civile (imprese, professioni,
volontariato), per gli spazi di crisi che si aprono con i meccanismi
bloccati, con la frammentazione delle proposte, con linaridirsi
del desiderio di cominciare e ricominciare. Nei percorsi della memoria
si consolidano motivazioni psicologiche negative che producono fiacchezza
danimo e di pensiero positivo, in un contesto sociale che
non può dimenticare la straordinarietà delle vicende
culturali del passato.
Un fenomeno che si riflette anche nella letteratura meridionale,
incapace di dare risposte alle domande inquietanti del nostro futuro.
Manca la rappresentazione dei fattori di complessità, il
coraggio del movente corale (Pasolini), la ricerca del nesso di
causalità tra giudizio storico e giudizio morale, rapportato
ad una società composita, bloccata dal dovere della memoria
e dalle ferite dellanima. Manca lanalisi del mosaico
che può produrre fermento sociale, che può dare significato
ad un cammino comune, nella transizione dal passato alla modernità.
Anche se la provincia e il formato-paese sono più ricchi
di umanesimo sperimentale per la familiarità tra compaesani
e una predisposizione culturale underground estranea ai meccanismi
metropolitani della cultura omologata.
Un approccio utile alla creazione di un Sistema Mezzogiorno ha bisogno
di forti novità culturali e di modello. Cè bisogno
di nuove pulsioni dellanima per recuperare lorgoglio
di una società civile dubbiosa e distratta e restituire fiducia
ad una generazione sovraccarica di diplomi, lauree e master, ma
priva del diritto di sognare. Cè bisogno di nuove aggregazioni
collettive caratterizzate da un forte spirito di solidarietà
e di condivisione. Fuori di retorica, ciò è possibile
se si avverte il dramma sottostante al declino della società
della noia e dunque la necessità di serrare le fila e fare
squadra aggregandosi in nuovi gruppi sociali.
Quando si parla di aggregazioni collettive il pensiero va ai movimenti
(sottoprodotto della politica) o ai corpi intermedi, cioè
alle organizzazioni sindacali (lavoratori o datori di lavoro). Noi
pensiamo ad altro. Le spinte della modernità pongono nuove
tematiche organizzative allattenzione della società
civile, non più rappresentabili con i parametri tradizionali
del conflitto capitale-lavoro. Pensiamo al ruolo significativo che
possono svolgere le Fondazioni (quelle bancarie, in particolare)
nellelaborare progetti strategici nei settori della ricerca,
dellistruzione, della sanità, dei beni culturali, ecc.
Ad esse possono aggiungersi Associazioni e Organizzazioni non profit
che, operando in una logica di sussidiarietà verso lintervento
pubblico e privato, possono dare contributi notevoli al potenziamento
di nuovi strumenti di crescita. In un impegno collettivo che attraverso
un accresciuto tasso di condivisione determini un aumento reale
del potere del cittadino e dunque nuovi standard di qualità
per la politica.
Finiremo sempre più spiazzati se non riusciremo a costruire
nuovi fondamentali sociologici: per parlare lo stesso
linguaggio nelle questioni essenziali, per avere gli stessi sentimenti,
le stesse passioni e gli stessi turbamenti, per trovare finalmente
il collante di unidentità comune capace di creare un
blocco di tradizionalisti innovativi. Con unavvertenza per
i politici illuminati che intendono sottrarsi al coro dei distributori
di melassa. Il superamento dellenunciato e mai realizzato
modello integrativo Nord-Sud esige adesso uno spirito di rivolta
fondato sulla riprovazione morale. Non basta più il semplice
rimorso psicologico. È il caso di ricordare che negli stimoli
alla domanda e nellutilizzo delle risorse viene sollecitata
più la funzione del consumo che quella della produzione e
dunque il divario è destinato a restare incolmabile per oggi
e per domani.
In unottica di riforme strutturali, liberatorie delle varie
forme di dipendenza delleconomia meridionale, viene vista
con favore la costituzione di società meridionali di gestione
del risparmio. SIM autonome e indipendenti dalle banche (controllano
tutta lindustria del risparmio gestito), con il compito di
effettuare operazioni locali di raccolta e gestione del risparmio,
assicurando impieghi connessi allinnovazione e allo sviluppo
del territorio, creando sinergie tra Università e committenza
nei poli di ricerca. Promuovendo concorrenza tra le banche per ottenere
servizi più efficienti alle migliori condizioni e rianimando
un volontarismo ora decisamente appannato.
Non sarebbe uneresia dal momento che nel mercato più
importante del mondo, quello americano, le società di gestione
dei maggiori fondi sono indipendenti, strutturalmente coinvolte
nei processi di sviluppo delle attività produttive e nella
valorizzazione dei territori a basso insediamento industriale (Silicon
Valley, ad esempio).
Lambizione principale resta quella di mettere limpresa
(momento trainante di cointeressenze e valori sociali) al centro
della cultura e degli interessi della società meridionale,
creando aree di eccellenza nel contesto di un sistema integrato.
Con il chiaro intendimento di posizionarsi sui mercati emergenti
con nuovi prodotti ad alto valore aggiunto (farmaceutica, nuove
fonti energetiche, microelettronica) e dunque reagire razionalmente
(non emotivamente) ai preoccupanti fenomeni di crisi e di delocalizzazione
(calzaturiero, tessile, abbigliamento, agroalimentare, mobilio,
ecc.). Utilizzando in positivo i fattori di crisi attraverso la
promozione e la valorizzazione di nuove identità collettive
e nuovi percorsi di progettualità economica. Nella ricerca
di strategie appropriate lapproccio ai mercati dei Paesi mediterranei
appare una naturale proiezione operativa se si superano con una
felice operazione di marketing politico i riti e i miti del reciproco
sospetto.
Ai leader realisti si chiede lattivazione di un Modello Mezzogiorno
capace di gestire un progetto riformista unitario (con idee e modelli
di business da esportazione), legato ad una lettura parallela e
complementare delle diverse istanze regionali. Dal Tavoliere alla
Piana del Sarno e del Vulture, dallAppennino dauno ai borghi
marinari sparsi lungo le coste e le isole grandi e piccole.
Quando si appronta la simulazione di un modello gli economisti cominciano
a chiedersi quali siano i vantaggi comparati. Le nostre risorse
più significative sono la natura, la storia, larte
e il capitale umano. Una dote più che dignitosa
se si vuole guardare alle cose da fare oltre i confini del pluralismo
autarchico. Cè in questo senso una forte responsabilità
della borghesia locale nel rendere operativo il concetto di responsabilità
sociale dellimpresa (esemplare la biografia di Bruno Visentini,
Cierre Edizioni, 2005). Uscendo dalle anguste logiche campanilistiche,
con un impegno a tutto campo per una crescita non più coloniale,
in ragione delle verifiche di sopravvivenza richieste da un futuro
a dominio imperiale, poco segmentato e dialetticamente complesso.
Smentendo con i fatti la scommessa sullimpossibilità
di crescita della società e delleconomia meridionali.
Fino a convincere anche un alieno che in preda a curiosità
turistiche avesse voglia di atterrare a Cagliari, Napoli, Bari,
Palermo, Brindisi. Non mandiamolo via con la convinzione di amare
il genere umano e non capire la nostra gente. Non potrà mai
capire perché noi, mediterranei umani, amiamo gli sbalzi
di temperatura, piangiamo di giorno e complottiamo di notte, divulghiamo
usi censori e pratichiamo trame oblique, alterniamo certezze assolute
con attacchi di panico frequenti.
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